giovedì 2 novembre 2023

pc 2 novembre - La condizione operaia e la lotta nelle grandi fabbriche del nostro paese, inserite in un contesto sempre più internazionale -Dalla controinformazione rossoperaia del 1/11


Non è vero che gli operai non possono lottare e vincere in Italia e in altri paesi. Il recente grande sciopero degli operai americani dell'auto ne è un esempio. Ne stiamo parlando da tempo e abbiamo portato il messaggio alla Stellantis, in particolare alla Stellantis di Melfi, come all'ex Ilva di Taranto e, in generale, in tutte le fabbriche in cui operiamo. 

Questo sciopero si è parzialmente concluso proprio in questi ultimi giorni con accordi che le grandi multinazionali dell'auto negli Stati Uniti sono stati obbligati a fare. Via via sono caduti come pere mature tutti i gruppi, dalla Ford alla Stellantis e, infine, alla General Motors. 

Chiaramente l'accordo che è stato fatto deve essere sottoposto alle assemblee dei lavoratori e va considerato approvato solo quando le grandi assemblee degli operai americani che hanno partecipato allo sciopero lo approveranno. Pensiamo che questo avverrà, ma anche fonti stampa dicono che in alcune realtà operaie dell'auto vi sarà pure una critica ai risultati di quest'accordo, e questo non certo perché non siano stati dei grandi risultati in paragone a quello che avviene nelle lotte operaie - non solo negli Stati Uniti ma in tutti i paesi del mondo, Italia compresa - quanto perché gli operai in questo sciopero hanno preso coscienza della loro forza e prendendo coscienza della loro forza hanno alzato il tiro delle loro rivendicazioni e delle prospettive della lotta operaia negli Stati Uniti, e per quello che essa ha significato per gli operai in tutti i paesi capitalisti e imperialisti nel mondo. 

Uno sciopero che aveva obiettivi molto avanzati: forti aumenti salariali che permettessero

effettivamente di recuperare la perdita di salario che gli operai in tutto il mondo hanno avuto per lo scaricamento della crisi economica mondiale sulla loro pelle, per le conseguenze delle guerre, della pandemia e così via. Tutto questo si è tradotto per la classe operaia di tutto il mondo in perdite di salario, di posti di lavoro, peggioramenti della sicurezza e in generale della condizione operaia. 

Il secondo punto legato ai forti aumenti salariali era quello della scala mobile. Tutti gli operai italiani sanno quanto abbia pesato l'abolizione della scala mobile, dovuta alle politiche dei governi dei padroni e alla complicità su questo delle grandi confederazioni sindacali, che non rappresentano gli interessi immediati e generali della classe operaia e non sono stati in grado di tutelare salari, lavoro, condizioni di lavoro e sicurezza sui posti di lavoro. 

Gli operai americani hanno lottato per introdurre la scala mobile, per difenderla e farla diventare uno strumento automatico di difesa, parziale, ma pur sempre importante, a fronte del carovita. 

La terza questione era quella dell'abolizione dei contratti a tempo determinato, con il passaggio dei lavoratori a tempo indeterminato. Soprattutto le nuove generazioni operaie e i livelli più bassi all'interno delle fabbriche sono assunti a tempo determinato, restando precari a vita, e in una certa misura, quest'operazione di dividere gli operai influisce notevolmente sull'unità degli operai e sulla loro lotta per difendere salario, lavoro e condizioni di lavoro. 

Altre questioni sono state poste. In una sola questione questa grande lotta degli operai dell'auto negli Stati Uniti non ha raggiunto i risultati in questa tornata: quello della riduzione dell'orario di lavoro generalizzata. E’ chiaro che su questo pensiamo si esprimerà una parte del dissenso operaio rispetto anche all'accordo che gli operai certamente considereranno una conquista parziale. 

Questa lotta ha riguardato praticamente tutta la classe operaia dell'auto americana, nonostante non tutta la classe operaia dell'auto americana sia organizzata nel sindacato che ha promosso questi scioperi. Una svolta c'è stata anche nel cambiamento di direzione dei sindacati, perché chiaramente gli operai americani che avevano visto come le direzioni sindacali avevano permesso questo peggioramento sulle condizioni di lavoro e sul lavoro, sulla precarietà e sui diritti dei lavoratori, hanno imposto un cambiamento della direzione del sindacato che ha permesso lo sviluppo di questa lotta. 

Perché è stato fatto? E' stato fatto per evitare che esplodesse la lotta autonoma e selvaggia dei lavoratori? E' stato fatto al servizio della contesa politica tra i grandi gruppi capitalistici, del capitale industriale finanziario che esistono negli Stati Uniti? Questa è una questione evidentemente da approfondire. Però nella sostanza è stata lanciata una nuova grande lotta con una strategia precisa, una strategia che è partita da scioperi che colpivano le industrie dove c'erano stati profitti maggiori, e che erano maggiormente in funzione, proprio per colpire al cuore il sistema automobilistico, ridurre il peso generale dello sciopero pur agendo per fare il massimo danno ai grandi padroni.

Via via questo sciopero è stato esteso, via via ha toccato tutte i grandi gruppi industriali che poi sono le grandi multinazionali dell'auto nel mondo. Non solo, ma all'interno degli scioperi, sono state sviluppate forme di lotta molto creative: la ripresa, per esempio, degli scioperi a gatto selvaggio, degli scioperi improvvisi, spesso organizzati in assemblee in diretta Facebook che colpivano via via padroni e queste grandi multinazionali nel momento in cui potevano fare il massimo danno. E chiaramente il danno anche economico proveniente da questa strategia di scioperi ha pesato tantissimo in questo scontro. Danni da scioperi di 3 miliardi dichiarano le multinazionali. 

Si è generato un clima positivo tra gli operai che, giustamente, hanno detto che è una lotta contro i ricchi, tra ricchi e proletari, tra sfruttati e sfruttatori. Questa coscienza diffusa negli operai ha alimentato gli scioperi, le forme di lotta, i momenti di manifestazione e ha polarizzato l'attenzione in tutti gli Stati Uniti, tanto che i due candidati presidenziali sono stati costretti ad andare agli stabilimenti perché hanno considerato che non potevano starne fuori (Biden ha usato questa lotta di più pro domo sua rispetto a Trump, che però aveva usato una parte del malcontento operaio nella elezione che l'aveva portato alla presidenza precedentemente).

Quindi la lotta ha costretto tutti a guardare ad essa e i risultati sono stati conseguenti: i lavoratori hanno ottenuto aumenti medi del 25%, più il recupero dell'inflazione, raggiungendo complessivamente un 30% di aumento, portando il salario a 40 $ l'ora nei maggiori stabilimenti della Ford. 

Pensiamo al salario effettivo che prendono gli operai nel nostro paese, per non dire il clamoroso divario esistente tra la conquista salariale che ha portato a 40 $ l'ora negli Stati Uniti e i salari che percepiscono milioni di lavoratori poveri a cui si nega anche un salario minimo garantito di 10 - 9 € all'ora, da parte dei governi dei padroni.

Certo, le condizioni relative dell'economia americana e dei profitti dell'economia americana, per la collocazione degli Stati Uniti come maggiore potenza capitalista/imperialista nel mondo rispetto ai paesi europei,  sono differenti. Ma evidentemente non così differenti quanto lo sono i salari, quanto lo sono le condizioni di lavoro, quanto lo è la differenza che esiste tra salari e condizioni di lavoro degli operai nel nostro paese, degli operai dell'auto e così via. Quindi, in sostanza, una grande lotta. 

E’ inutile dire che si sono raggiunti risultati importantissimi anche sul fronte dell'unità dei lavoratori, della fine della differenziazione dei lavoratori precari, l'assunzione in pianta stabile dei lavoratori a tempo determinato, l'incremento delle pensioni. 

Giustamente è stato scritto: nessuno dica che non si può fare. La classe operaia lo ha fatto andando all'offensiva e ha vinto! Una vittoria parziale come sono tutte le vittorie nei paesi imperialisti. 

Questo ci riporta alla situazione che c'è nel gruppo Stellantis in Italia. Siamo stati gli unici che sono andati con decisione laddove si riusciva, a dire agli operai che si può fare, che bisogna intraprendere questa strada, certo adeguata al nostro paese, alle difficoltà che ci sono nel movimento operaio. Ma la piattaforma, le forme di lotta, che si sono realizzate negli Stati Uniti sono piattaforme e forme di lotta pienamente realizzabili nel nostro paese se gli operai le impugnano in forme collettive. Non lo fanno i sindacati confederali? C'è l'opzione dei sindacati di base, anche se solo alcuni di essi ogni tanto parlano degli operai, perché i sindacati di base in Italia ci hanno messo una croce sopra in generale sulla classe operaia industriale, la classe operaia delle grandi fabbriche, dall'Ilva alla Stellantis, eccetera. 
Si può fare con movimenti dal basso. Ci sono stati nei mesi scorsi sintomi di questi movimenti dal basso: alcuni scioperi a Pomigliano, uno sciopero anche alla Stellantis, e si è visto innanzitutto che questi scioperi potevano essere fatti, erano sentiti dagli operai. Questa strada è inevitabile da percorrere, se si vuole rialzare la testa di fronte ai padroni. 

Di un'altra realtà dovremo parlare, benchè non potremo farlo a lungo nell'economia del tempo a disposizione della Controinformazione odierna.

Ed è la situazione nella siderurgia nel gruppo ArcelorMittal-ex Ilva che è stato teatro recentemente di uno sciopero generale con manifestazione a Roma e che è giunta a un nodo a cui tutti gli operai devono guardare, perché da come va questo nodo attualmente dipende la sorte della fabbrica, la sorte degli operai, la sorte della siderurgia. I padroni sono pronti a dire che i movimenti dell'acciaio degli stabilimenti Ilva influiscono per il 30/40% sull'economia generale del sistema industriale, sul PIL e così via. Ma questo è un ragionamento che dovrebbero fare soprattutto gli operai per capire quanta forza stia nelle loro mani se, alla maniera degli operai dell'auto in America, prendono in mano realmente la lotta sui loro interessi, sulla loro piattaforma e non siano alla mercé della guerra tra bande su cui si sta giocando la partita Ilva (guerra fra bande su cui abbiamo già fatto una diretta telematica e che chiaramente è disponibile sul blog tarantocontro e sul blog proletari comunisti e ne continueremo a parlare). 

Ora il vero problema è mantenere il punto. Alla manifestazione di Roma si è detto continueremo la lotta. Sappiamo che altre volte i sindacati confederali hanno detto questo ai lavoratori, ma poi non è avvenuto e non certo perché i lavoratori non la volessero continuare, ma perché, appunto, ritornando alla lotta dell'auto, è mancata una strategia precisa che innescasse un ciclo di lotta che rovesciasse la situazione in questo contesto. 

Va considerato che l'Ilva è dentro la siderurgia mondiale, e la siderurgia mondiale attraversa una fase di crisi tra sovrapproduzione e influenze della guerra e delle contraddizioni intercapitaliste e interimperialiste che toccano i mercati, le materie prime, i costi dell'energia (su questo lo Slai Cobas di Taranto e proletari comunisti hanno prodotto un dossier che fa una radiografia del gruppo ArcelorMittal e della sua dinamica). 

Ma due cose è bene dirle subito. Il più grande stabilimento siderurgico d'Europa di ArcelorMittal è collocato in Ucraina, per di più nella stessa città di Zelensky, ed è stato uno dei terreni della guerra, soprattutto in tutta la fase iniziale. Quanta influenza abbia avuto questa guerra in quel grande stabilimento lo possiamo facilmente immaginare. Che influenza ha avuto il venir meno di questo grande stabilimento nella siderurgia europea e nel gruppo ArcelorMittal è ancora poco conosciuto, ma è importante. ArcelorMittal su scala internazionale è diventata famosa in questi ultimi giorni per il gravissimo incidente avvenuto nel suo grande stabilimento nel Kazakistan - uno di quegli stabilimenti che il dossier prodotto dallo Slai Cobas sc aveva già radiografato, considerandolo uno di quei centri in cui di più si era manifestata la caratteristica di fondo degli impianti siderurgici: la contraddizione tra lavoro e morti sul lavoro. All'impianto di ArcelorMittal del Kazakistan sono morti 32 minatori perché ArcelorMittal gestisce anche la miniera che fornisce il carbone allo stabilimento. Un incidente tra i più mortali della storia del Kazakistan dalla sua indipendenza dall'Unione Sovietica, avvenuto in uno stabilimento in cui prima dell'incendio erano morti 12 dipendenti, mentre si erano registrati, secondo le stesse cifre che forniscono le autorità in Kazakistan, 1000 violazioni delle norme di sicurezza. Va aggiunto che nel 2006 ci sono stati altri 41 morti che hanno perso la vita in una miniera di ArcelorMittal e che in circa 15 anni sono morti più di 100 lavoratori in questo gruppo: uno scenario Ilva, per così dire, aggravato dal fatto che ArcelorMittal lì gestisce anche la miniera del carbone. 

Il governo del Kazakistan, che ha permesso obiettivamente tutto questo, a fronte di questa nuova tragedia parla di ArcelorMittal come la peggiore azienda nella storia del Kazakistan. Il governo kazaco ha interrotto i rapporti con Mittal, gli revocherà la miniera e annuncia l'intenzione di raggiungere un accordo preliminare con gli azionisti di ArcelorMittal -TEMIRTAU finalizzato a trasferire la proprietà della società a favore della Repubblica del Kazakistan. 

Ecco il contesto generale e particolare della lotta nel gruppo ArcelorMittal, in cui proprio in questa settimana si stanno facendo i giochi sulla testa e contro gli operai, ma anche sulla testa degli stessi sindacati confederali, fatto che è stato all'origine della loro cosiddetta "alzata di voce" che ha portato alla manifestazione di Roma del 20 ottobre. 

Mettere al centro la classe operaia significa mettere al centro il fondamento stesso della lotta di classe, la possibilità del cambiamento in una situazione in cui i padroni del mondo e i padroni del nostro paese fanno il bello e il cattivo tempo con i loro governi, sempre più comitati di affari dei loro interessi e che nei confronti dei lavoratori usano spesso come unica arma la repressione.

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