giovedì 18 agosto 2022

pc 18 agosto - Il lavoro sulla nostra storia: il Pcd'I, Antonio Gramsci - 2° Parte: le tappe del cammino dei comunisti

Stralci dal lavoro di studio e dibattito - 2° 

Riprendere il filo rosso della storia, non significa che da oggi noi reinterpretiamo la storia del movimento comunista. Noi dobbiamo appropriarci delle sue lezioni. Non dobbiamo ripartire da zero ma ripartire da oggi, ereditando il patrimonio storico e il bilancio storico che il comunismo ha già fatto lungo la sua strada.

Anche i borghesi hanno fatto il bilancio del comunismo dalla loro parte, descrivendo una catena di errori ed orrori. La borghesia ha bisogno di sostenerlo per cercare di esorcizzare il pericolo costante che il proletariato, la classe operaia, ritrovino le armi, primo fra tutte il Partito Comunista, della critica radicale che poi armino le mani, le braccia dei proletari e masse popolari. Se c'è una cosa che Marx ci ha insegnato è che di questo sistema, di questi governi, di questi padroni non potremo liberarci senza una rivoluzione proletaria armata, senza una rivoluzione violenta. Su questo non si può tergiversare. La violenza rivoluzionaria è la levatrice della storia e, nelle mani del proletariato, è l'arma fondamentale della rivoluzione socialista.

Entrando più nel merito del processo storico, di ricostruzione storica, guardiamo alle tappe di questo "nostro" cammino. 

Il PCd’I è stato fondato nel 1921 e certamente ciò non è scaturito dal nulla. È avvenuto nel quadro di una guerra imperialista mondiale che aveva trovato nella Russia l’anello debole e la sua trasformazione in guerra rivoluzionaria, che portò i bolscevichi, il partito di Lenin, al potere in Russia. Fare come la Russia fu un'indicazione fondamentale, centrale, perché così si ragiona nel movimento proletario: la lotta in ciascun paese è parte di una lotta mondiale, la vittoria in un paese è la vittoria di tutto il proletariato mondiale. Chi vince indica la strada a chi ancora non è in grado di farlo.

Ma non era stato decisivo soltanto l'elemento esterno, la rivoluzione bolscevica, ma anche ciò che era avvenuto all'interno del nostro paese, che aveva attraversato un Biennio rosso in cui gli operai,

contadini, le masse popolari, dalle fabbriche di Torino al Sud, avevano messo a ferro e fuoco il paese, avevano mostrato quanto grande potesse essere la forza del proletariato e come ci fossero le condizioni per rovesciare coloro che li avevano trascinati nella guerra e che ne erano i beneficiari. Il biennio rosso nel nostro paese aveva mostrato agli occhi di tutti che la forma organizzata dei proletari dell'epoca, il Partito Socialista, non era adeguata a trasformare l'ondata rivoluzionaria che attraversava il nostro paese nella conquista del potere politico, nel rovesciamento effettivo del potere della classe dominante.

Su questa base il messaggio della rivoluzione d'ottobre si sposò con le realtà del movimento comunista ancora all’interno del Partito Socialista nelle sue due principali correnti, incarnate dalla linea di Bordiga e da quella de l’Ordine Nuovo, che nel loro percorso pervengono alla necessità di dotare il proletariato di un partito che ne raccogliesse effettivamente le avanguardie, delimitandole dalle influenze della borghesia e delle classi intermedie, e trovasse il modo per dotare proletariato di un partito in grado di risolvere i problemi non risolti dal Biennio rosso.

Senza la dinamica tra la Rivoluzione d'Ottobre e Biennio Rosso non ci sarebbero state quelle che si chiamano le condizioni oggettive per la costruzione del partito nel nostro paese.

Il terzo elemento fondamentale fu l’esistenza della Terza Internazionale. L'internazionalismo non è un di più per i comunisti. L'Internazionale fu elemento costitutivo del Partito Comunista in Italia. È sulla base dei 21 punti indicati per l'ammissione alla Terza Internazionale che si consuma la scissione dal Partito Socialista e la fondazione del partito comunista.

Dentro quel Partito Comunista si sviluppa una lotta fra due linee, due concezioni e due prassi: una rappresentata dal primo fondatore del Partito Comunista, Bordiga, l’altra da Gramsci, applicatore più magistrale nel nostro paese delle idee del leninismo, delle lezioni che venivano dalla Rivoluzione d’Ottobre assunte non come dogma o modellistica astratta ma come strumento per applicare alla realtà del nostro paese la via della rivoluzione bolscevica. 

Tutto questo trova nelle Tesi di Lione uno straordinario documento, la pietra miliare della fondazione del Partito Comunista e del ruolo storico del suo capo, la più grande figura del comunismo italiano, rappresentata da Gramsci, la cui opera complessiva ha avuto un impatto generale nel movimento comunista internazionale ed è ancora oggi un punto di riferimento di pensiero, di azione e di riflessione per l'insieme del movimento comunista internazionale. 
Le tesi di Lione forgiate da Gramsci sono l'atto di nascita effettivo del partito, in quanto programma, strategia e tattica per la rivoluzione nel nostro paese. 
Esse purtroppo, però, non sono state sufficienti soprattutto nella forgia di un’organizzazione clandestina in grado di resistere all’ondata del fascismo che avanzava. Su questo l'azione di Gramsci tracciata dalle tesi di Lione viene in ritardo, dopo il periodo di gestione di essa da parte di Bordiga che ne aveva comportato, diciamo così, la “imbalsamazione”. È l'elemento debole che impedì ai comunisti di fronteggiare il fascismo al momento topico in cui esso marciava verso la sua ascesa, di dotare il partito degli strumenti necessari, soprattutto di analisi, di programma e prassi, di un metodo d'azione che avrebbero permesso di fronteggiare il fascismo in quella fase.

Gli anni del fascismo e della lotta del Partito Comunista contro di esso, come partito della Terza Internazionale, guidata fondamentalmente da Stalin, sono stati anni e strumenti importanti, che hanno dimostrato ancora una volta l'intreccio tra la la natura dei comunisti italiani e il legame con la Terza Internazionale come fattore fondamentale che ha permesso al partito di resistere, agendo nella clandestinità, di non essere cancellato, anzi di reincarnarsi continuamente, con un grande numero di perdite di vite e di carcerazioni, che ha permesso a quel partito di resistere anche nel lungo buio del ventennio fascista senza perdere né suoi legami con le avanguardie operaie né gli elementi di analisi e di programma che ne costituisce l'arma di controffensiva, di ricostruzione e aggiustamento tattico e strategico che il dominio del fascismo imponeva.

Questo si sposa con il lavoro straordinario dei Quaderni dal Carcere che Gramsci, in condizioni assolutamente inedite per un dirigente comunista svolse. Un lavoro senza precedenti nell’intera storia del movimento comunista. Un'elaborazione raffinata, attenta alle dinamiche affettive che produsse il fenomeno del fascismo e la natura sociale, politica, culturale del contrasto che in questo paese si poneva tra l'ideologia, la cultura della classe dominante, la sua storia, la sua formazione, e la formazione del proletariato. 
L'elaborazione di Gramsci nei Quaderni dal Carcere è fonte continua di ispirazione, di attenzione ma non si tratta di un pensiero compiuto, purtroppo, perché la condizione del carcere, l'impossibilità di concretizzarsi in forma organizzata nella conduzione della lotta di classe nel nostro paese da parte del Partito Comunista, impedisce di considerarlo un pensiero compiuto. In questo senso, il riferimento a Gramsci, che è indispensabile per i comunisti italiani, non significa riferirsi a un pensiero compiuto da cui si può facilmente attingere, da applicare.

La capacità di resistere negli anni del fascismo e una delle condizioni materiali fondamentali che ha permesso a questo partito, in particolare a partire dagli scioperi del ‘43 e dalla nascita dei gruppi partigiani, di essere la guida pratica e programmatica della Resistenza. Anche la Resistenza, anche la sua vittoria, non possono essere separate dalla linea del movimento comunista internazionale tracciata dal VII congresso della Terza Internazionale. E il PCd’I è in questo ruolo, anche se la sua direzione già all'epoca non si poteva considerare pienamente forgiata dalle lezioni del marxismo-leninismo e ben presto, dopo la Resistenza, mostrerà la sua natura.

Ciò non toglie che la guida di classe che il Partito Comunista ha rappresentato, quale espressione dell'avanguardia di classe, il fattore decisivo che ha permesso nel contesto la II Guerra Mondiale la grande Resistenza antifascista, primo esempio, embrione, di una guerra di popolo in un paese imperialista, una fusione magistrale tra guerra di classe, guerra civile e guerra patriottica, nella fase particolare dell'occupazione nazista, sì che la Resistenza è la pietra miliare che il Partito Comunista fondato a Livorno ci ha lasciato come eredità e lezione imperitura.

Nel contesto della situazione determinatasi dopo la Seconda Guerra Mondiale, la morte di Stalin e il cambio di natura del Unione Sovietica, causata non certo dalla morte di Stalin ma in seguito agli errori commessi nel periodo in cui Stalin era alla guida del socialismo hanno contribuito alla presenza in seno alla società sovietica e nel movimento comunista internazionale del revisionismo. Revisionismo che alla morte di Stalin dilaga, dopo il ventesimo congresso, carta di nascita della nuova borghesia URSS che prende il potere attraverso un colpo di Stato, che, al di là delle dinamiche, porterà alla degenerazione del movimento comunista internazionale e dell’affermarsi nelle sue file del revisionismo, cioè del riformismo, la via parlamentare, l'abbandono della via rivoluzionaria.

In Italia, il dopoguerra, la linea opportunista di destra nell'interpretazione della democrazia progressiva, porta con sé pagine decisive per la sconfitta dei proletari prima, dei comunisti dopo. Il disarmo dei Partigiani, i limiti della Costituzione, il governo di coalizione incubano l'affermazione del revisionismo e il cambio di natura del PCI, anche questo nel contesto internazionale. 

Il ruolo dei comunisti a quel punto è di essere una frazione interna al PCI che critica la direzione, ruolo sicuramente interpretato dalla sinistra comunista rappresentata da Pietro Secchia. Ma le forme con cui questa battaglia viene condotta nel partito, come ci insegneranno poi Mao Tse-tung e la lotta tra le due linee, elaborazione teorica nel solco del marxismo e del leninismo, impediranno alla sinistra interna di rappresentare una vera alternativa al dilagare del revisionismo, al suo affermarsi, al cambio di natura del partito.

A livello internazionale, la guerra contro il revisionismo al potere in Russia è rappresentata dalla battaglia intrapresa dal Partito Comunista Cinese e dal Partito del Lavoro di Albania guidato da Enver Hoxha. Ma ormai il PCI non è più il partito della classe operaia, della continuazione della Resistenza, della lotta per il socialismo. È’ d’allora che si pone il problema della ricostruzione del Partito Comunista in Italia. Questa fase ha il suo salto di qualità, sempre in un contesto internazionale, con la polemica del Partito Comunista Cinese centrata su due principali opuscoli “Sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi”, e culminerà nel ‘66 nella fondazione del PCdI m-l. 

Ma intanto il vento del rosso della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria e il movimento rivoluzionario che scuote anche dall'interno i paesi imperialisti con lo straordinario nuovo biennio rosso in Italia del 68-69 e poi i primi anni 70 hanno affermato senza ombra di dubbio che il PCI non è più, semmai lo sia stato, la destra del movimento operaio ma è parte integrante del sistema borghese sul piano politico e statale. Così come che il partito comunista che bisogna ricostruire non è una riedizione ortodossa e conservatrice dei principi che avevano ispirato la fondazione e l'azione del PCd’I ma un partito comunista di tipo nuovo, fondato sugli sviluppi del pensiero teorico, politico rappresentato dal marxismo-leninismo maoismo.

Le forze che dal 68 in poi si battono per ricostruire il partito non riescono nello scopo. Questo periodo, che ormai dura da 50 anni, ha dimostrato che questo compito non è stato assolto e i comunisti oggi hanno il compito di fare un bilancio di questa ultima sconfitta. Questa ultima sconfitta è la nostra vera sconfitta, la nostra sconfitta di partenza, diciamo, nel tracciare il percorso per raggiungere l'obiettivo della ricostruzione del partito comunista. Però il biennio rosso nostro e gli anni 70 hanno dimostrato che il nuovo partito comunista era necessario e possibile - diverse energie si sono mosse in questa direzione - e che senza concludere questo lavoro, che in un certo senso oggi dovremmo riprendere quasi da zero, non è possibile pensare che si possa attaccare lo Stato Borghese, sia la dittatura aperta della borghesia sia la dittatura mascherata di democrazia, di socialdemocrazia repressiva, che sembra in qualche maniera avere come tendenza odierna un moderno fascismo.

A 100 anni dalla fondazione del PCdI, quindi, i comunisti hanno il problema di riprendere a 360° questa opera incompiuta. Si tratta di un'esigenza storica oggettiva del movimento operaio oggi e la nostra capacità di comunisti deve essere quella di riuscire a trovare il bandolo della matassa per dare un contributo soggettivo alla risposta oggettiva di cui il proletariato e il movimento comunista hanno oggi bisogno nel nostro paese.

(CONTINUA)

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