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Leggi, norme e ricorsi che hanno permesso ai manager responsabili dei morti alla Thyssenkrupp di uscire di galera.
“[N]on è socialmente pericoloso e, in carcere, ha mantenuto un comportamento corretto”
con questa motivazione dei giudici del tribunale di sorveglianza di
Torino, che hanno accolto l’istanza di assegnazione ai servizi sociali
presentata dai suoi avvocati, Cosimo Cafueri, ex responsabile della
sicurezza dello stabilimento ThyssenKrupp di Torino, condannato a 6 anni
e 8 mesi per omicidio colposo plurimo, a seguito del rogo che nel
dicembre 2007 uccise sette operai, è libero dal dicembre 2018. Con le
stesse motivazioni, questa volta del tribunale di Terni, è libero, già
da qualche mese, anche l’ex manager Marco Pucci, condannato per lo
stesso reato a 6 anni e 10 mesi (comunque aveva già ottenuto, dal giugno
2017, un permesso per svolgere attività di consulenza presso un’azienda
locale). E a breve con le stesse istanze saranno liberati anche l’altro
manager, Daniele Moroni, condannato a 7 anni e 6 mesi e l’ex direttore
dello stabilimento, Raffaele Salerno, condannato a 8 anni e 6 mesi. L’ex
amministratore delegato di Thyssekrupp, Harald Espenhahn, condannato a 9
anni e 8 mesi e l’altro manager, Gerald Priegnitz, condannato a 6 anni e
10 mesi non sono stati mai arrestati perché cittadini tedeschi. La pena
la dovrebbero scontare in Germania dove però, per il reato contestato,
la pena massima è di 5 anni. E, qualora, la Germania dovesse applicare
la sentenza anche per loro le porte del carcere resteranno chiuse per
poco.
Quindi,
a quasi 12 anni dall’uccisione dei 7 operai della Thyssenkrupp, dopo
quasi nove anni per arrivare ad una sentenza definitiva di condanna e
dopo poco più di due anni di galera tutti i responsabili di quelle morti
sono o saranno liberi a breve perché “non socialmente pericolosi”!
Il
rogo della Thyssenkrupp aveva aperto, per un attimo, uno squarcio sulle
condizioni intollerabili in cui sono costretti a lavorare gli operai in
fabbrica. Perciò la rabbia e lo sdegno per l’accaduto dovevano essere
immediatamente neutralizzati. Il processo di primo grado ha avuto questa
funzione.
Il
processo di primo grado si apre nel 2009 e si conclude nel 2011 con
condanne esemplari. L’amministratore delegato viene condannato ad una
pena di 16 anni e 6 mesi di reclusione per il delitto di omicidio
volontario e gli altri imputati a pene comprese tra 13 anni e 6 mesi di
reclusione e 10 anni e 10 mesi di reclusione, per i delitti di omicidio
colposo, incendio colposo con l’aggravante della previsione dell’evento e
della omissione dolosa (volontaria) di cautele contro gli infortuni sul
lavoro. “Questa è una sentenza epocale, non era mai successo che per
una vicenda di morti sul lavoro venisse riconosciuto il dolo eventuale
[la volontarietà dell’azione pur sapendo delle conseguenze della stessa.
Ndr.]” dichiara il PM Guariniello,
L’illusione
di una giustizia per gli operai morti per mano della magistratura dura
lo stretto necessario affinché tutto torni alla normalità. La
Thyssenkrupp naturalmente ricorre in appello e la Corte d’Assise di
Appello di Torino, nel 2013 emette una nuova sentenza che ribalta la
sentenza di primo grado e ristabilisce l’ordine delle cose per i
condannati. Elimina il dolo [la volontarietà] dell’azione degli imputati
e riduce i reati alla fattispecie colposa. Si parla di delitto colposo
ogni volta che l’evento (nel nostro caso la morte) non è voluto ma si è
verificato “a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per
l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Le pene
naturalmente vengono notevolmente ridotte. Nel 2014 la Cassazione
conferma la sentenza d’appello ma chiede di rivedere le pene. Solo nel
maggio del 2016 la Cassazione conferma definitivamente le pene (oramai
quasi dimezzate rispetto alle richieste iniziali del PM Guariniello). A
questo punto inizia il lavoro degli avvocati che, in considerazione del
profilo dei loro clienti (manager pieni di soldi), hanno gioco facile
nel fare richiesta di misure alternative di detenzione e ottenerle come
abbiamo visto sopra.
Insomma,
per la legge morire in fabbrica è una fatalità, come essere investito
da un’auto. Il padrone, i manager non vogliono la mia morte: infatti è
proprio l’assenza dell’intenzionalità che distingue l’omicidio colposo
dall’omicidio volontario! Ogni giorno, in Italia, muoiono in media 4
operai, una strage. Una strage che nonostante le condanne, le denunce,
continua anno dopo anno. Si muore per mancanza di sicurezza, per la
fatica ed i ritmi infernali, per le sostanze pericolose e velenose
utilizzate. Chi stabilisce e chi costringe a lavorare in quelle
condizioni gli operai? Con quali finalità? Alla Thyssen, come in tutte
le aziende, amministratore delegato, manager, direttori, responsabile
alla sicurezza, persone che hanno studiato, fatto carriera,
professionalmente preparate ed affermate, si riunivano nei loro uffici
ben arredati, decidevano, elaboravano, numeri alla mano, strategie,
metodi, azioni per massimizzare i profitti del padrone che li pagava
profumatamente. I soldi devono fruttare profitti e non vanno sprecati
(eccetto che per i loro stipendi naturalmente), gli operai è naturale
che devono essere spremuti. Non è certo colpa loro se il mercato
richiede che si produca a certi prezzi e che gli operai debbano essere
trattati così. Così come non aveva senso spendere soldi nei sistemi di
sicurezza di un impianto che a breve andava trasferito e su cui, tra
l’altro, gli enti di controllo (compiacenti e conniventi) non avevano
mai verificato anomalie, anche se questo metteva a rischio la vita degli
operai che ci lavoravano. Cosa c’è di più naturale per questi uomini
che ragionare così ed agire di conseguenza. Non è questione di volontà
ma sono le leggi del mercato – ci diranno -, ed intanto decidono di
condannare a morte sette operai.
L’omicidio
di un operaio non viene giudicato come tale ma come fatalità che non
dipende dalla loro volontà di arricchirsi. La sentenza Thyssen, ci
dimostra ancora una volta che, anche di fronte ad un omicidio, la tutela
dell’interesse del padrone a ottenere i propri profitti non può essere
messa in discussione. Chi detiene il potere economico e politico non può
essere considerato “socialmente pericoloso”. Sarebbe la rivoluzione
sociale.
P.S.
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