giovedì 7 marzo 2019

pc 7 marzo - FORMAZIONE OPERAIA online - riprendiamo lo studio di 'Le lotte di classe in Francia'

premessa
Dopo le lezioni sui capitoli del libro di Marx dello scorso anno,  abbiamo sospeso e attivato numerosi gruppi di studio con operai, lavoratori, lavoratrici, militanti che da gennaio ad oggi stanno studiando e commentando il testo. Stiamo pubblicando parte dei resoconti e interventi di questi gruppi di studio e proseguiremo a farlo, dato i buoni risultati che stanno avendo.
Ora riprendiamo lo studio- lezioni- commento online per andare a una conclusione dello studio di questo testo, che si fonde con i gruppi distudio e ne attiva altri.
Ribadiamo che gruppi di studio online e diretti si possono fare ovunque lo si voglia.
Su metodo, date, partecipazione confrontiamoci. info pcro.red@gmail.com

Pubblichiamo ora stralci dal testo della prima parte de 
Introduzione a"Le lotte di classe in Francia" (edizione 1895) di Friedrich Engels
giovedi prossimo la seconda parte - quindi riprenderemo il commento
 
Il lavoro che qui viene ristampato fu il primo tentativo di Marx di spiegare mediante la sua concezione materialistica un frammento di storia contemporanea partendo dalla situazione economica corrispondente. Nel "Manifesto comunista" la teoria era stata applicata a grandi linee a tutta la storia moderna negli articoli di Marx e miei nella "Neue Rheinische Zeitung" essa era stata continuamente impiegata per interpretare gli avvenimenti politici correnti. Qui invece si trattava di dimostrare, nel corso di uno sviluppo di parecchi anni, altrettanto critico quanto caratteristico per tutta l'Europa, l'intimo nesso causale, e quindi, secondo il concetto dell'autore, di ricondurre gli avvenimenti politici all'azione di cause in ultima istanza economiche.
.... Il metodo materialistico dovrà .... ricondurre i conflitti politici a lotte di interesse delle classi
sociali e delle frazioni di classe preesistenti, determinate dalla evoluzione economica, e a ravvisare nei singoli partiti politici l'espressione politica più o meno adeguata di queste stesse classi o frazioni di classe.....
Quando Marx si accinse a questo lavoro la accennata fonte di errori era ancora più inevitabile. Durante il periodo rivoluzionario del 1848-49 era semplicemente impossibile seguire le fluttuazioni economiche che si compivano in quello stesso momento, o anche solo abbracciarle con uno sguardo generale. Lo stesso dicasi dei primi mesi dell'esilio di Londra, nell'autunno e nell'inverno 1849-50. Ebbene, fu appunto quello il momento in cui Marx incominciò il suo lavoro. E nonostante queste circostanze sfavorevoli, l'esatta conoscenza tanto della situazione economica della Francia prima della rivoluzione di febbraio, quanto della storia politica di questo paese dopo questa rivoluzione, gli permise di dare una esposizione degli avvenimenti che rivela la loro intima connessione con una perfezione che non fu più raggiunta in seguito,
.... la crisi commerciale mondiale del 1847 era stata la vera madre delle rivoluzioni di febbraio e di marzo, e che la prosperità industriale ristabilitasi a poco a poco dalla metà del 1848 e giunta al suo apogeo nel 1849 e nel 1850, fu la forza che dette vita e nuovo vigore alla reazione europea. Ciò fu decisivo.
: "Una nuova rivoluzione non è possibile se non in seguito a una nuova crisi. L'una è però altrettanto sicura quanto l'altra".
....Ciò che conferisce inoltre un'importanza del tutto speciale al nostro scritto è che esso enuncia per la prima volta la formula in cui l'unanimità dei partiti operai di tutto il mondo riassume brevemente la sua rivendicazione della trasformazione economica: l'appropriazione dei mezzi di produzione da parte della società. Nel secondo capitolo, a proposito del "diritto al lavoro" che viene designato come "prima formulazione goffa in cui si riassumono le rivendicazioni rivoluzionarie del proletariato", si dice: "Ma dietro il diritto al lavoro sta il potere sul capitale, dietro il potere sul capitale sta l'appropriazione dei mezzi di produzione, il loro assoggettamento alla classe operaia associata, e quindi l'abolizione del lavoro salariato, del capitale e dei loro rapporti reciproci" . qui è dunque - per la prima volta - formulata la proposizione secondo la quale il socialismo operaio moderno si distingue nettamente tanto da tutte le diverse sfumature di socialismo feudale, borghese, piccolo-borghese, ecc., quanto dalla confusa comunità dei beni del comunismo utopistico e del comunismo operaio primitivo..... Quando Marx, in seguito, estese questa formula all'appropriazione anche dei mezzi di scambio, questa estensione, che del resto sulla base del "Manifesto comunista" si comprende da sé, non esprimeva che un corollario della proposizione principale. Recentemente in Inghilterra alcuni sapientoni hanno ancora aggiunto che anche i "mezzi della distribuzione" debbono essere passati alla società. Sarebbe difficile a questi signori dire quali siano questi mezzi economici di distribuzione, diversi dai mezzi di produzione e di scambio, a meno che non si parli di mezzi di distribuzione politici, imposte, assistenza ai poveri, ..... Ma in primo luogo questi sono già ora mezzi di distribuzione in possesso della comunità, dello Stato o del comune, e in secondo luogo noi li vogliamo appunto abolire.
Quando scoppiò la rivoluzione di febbraio ci trovavamo ancora tutti, per quanto riguarda le nostre concezioni circa le condizioni e lo sviluppo dei movimenti rivoluzionari, sotto l'influenza della precedente esperienza storica, specialmente della Francia. Era proprio quest'ultima, infatti, che aveva dominato tutta la storia europea a partire dal 1789, e da cui anche ora era stato nuovamente dato il segnale del rivolgimento generale. Era quindi naturale e inevitabile che le nostre concezioni della natura e dello sviluppo della rivoluzione "sociale" proclamata a Parigi nel febbraio 1848, della rivoluzione del proletariato, fossero fortemente colorite dai ricordi dei modelli del 1789-1830  E specialmente quando il sollevamento di Parigi trovò la sua eco nelle insurrezioni vittoriose di Vienna, Milano, Berlino, quando tutta l'Europa sino alla frontiera russa venne trascinata nel movimento; quando poi in giugno a Parigi venne combattuta la prima grande battaglia per il potere tra il proletariato e la borghesia; quando la vittoria stessa della propria classe scosse a tal punto la borghesia di tutti i paesi che essa si rifugiò di nuovo nelle braccia della reazione feudale monarchica poco prima rovesciata, date le condizioni di allora non poteva più esistere per noi nessun dubbio che era scoppiata la grande lotta decisiva e che questa lotta doveva venir combattuta in un solo periodo rivoluzionario di lunga durata e pieno di alternative, il quale però poteva chiudersi soltanto con la vittoria definitiva del proletariato.
Dopo la sconfitta del 1849 non condividemmo in nessun modo le illusioni della democrazia volgare raccolta attorno ai governi provvisori futuri in partibus [Questa contava su una vittoria rapida, decisiva una volta per tutte, del "popolo" sugli "oppressori"; noi su una lotta lunga, dopo l'eliminazione degli "oppressori", tra gli elementi contraddittori che si celavano precisamente in questo "popolo".......
....Tutte le passate rivoluzioni hanno condotto alla sostituzione del dominio di una classe con quello di un'altra; ma sinora tutte le classi dominanti erano soltanto piccole minoranze rispetto alla massa del popolo dominata. Così una minoranza dominante veniva rovesciata, un'altra minoranza prendeva il suo posto al timone dello Stato, e rimodellava le istituzioni politiche secondo i propri interessi. E ogni volta si trattava di quel gruppo di minoranza che le condizioni dello sviluppo economico rendevano atto e chiamavano al potere, e appunto per questo e soltanto per questo avveniva che la maggioranza dominata partecipava al rivolgimento schierandosi a favore di quella minoranza, oppure si adattava tranquillamente al rivolgimento stesso. Ma se prescindiamo dal contenuto concreto di ogni caso, la forma comune di tutte quelle rivoluzioni consisteva nel fatto che esse erano tutte rivoluzioni di minoranze. Anche quando la maggioranza prendeva in esse una parte attiva, lo faceva soltanto, coscientemente o no, al servizio di una minoranza; questo fatto però, o anche solo il fatto dell'atteggiamento passivo e della mancanza di resistenza della maggioranza, dava alla minoranza l'apparenza di essere rappresentante di tutto il popolo.
Dopo il primo grande successo la minoranza vittoriosa in generale si scindeva: una metà era soddisfatta dei risultati raggiunti, l'altra voleva andare più avanti e presentava nuove rivendicazioni, che corrispondevano almeno in parte all'interesse reale o apparente della grande massa popolare. Queste rivendicazioni più radicali vennero in certi casi anche realizzate, ma spesso solo per un momento, ché il partito più moderato prendeva di nuovo il sopravvento e le ultime conquiste andavano in tutto o in parte perdute di nuovo. Gli sconfitti gridavano allora al tradimento, o attribuivano la sconfitta al caso. In realtà però le cose stavano per lo più a questo modo: le conquiste della prima vittoria non erano state assicurate che dalla seconda vittoria del partito più radicale; raggiunto questo punto, e quindi anche ciò che era momentaneamente necessario, i radicali e i loro successi sparivano nuovamente dalla scena....
Tutte le rivoluzioni dell'età moderna, incominciando dalla grande rivoluzione inglese del secolo XVII, hanno presentato questi lineamenti, che sembravano inseparabili da ogni lotta rivoluzionaria.

(fine prima parte)

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