mercoledì 18 luglio 2018

pc 18 luglio - 1948 - attentato a Togliatti/insurrezione - Ripartire dalla memoria storica per un giudizio storico oggi - 1

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Lo sciopero del 14 Luglio


Pietro Secchia | Secchia, Lo sciopero del 14 Luglio, CDS, Roma, 1948

16/07/1948

A 70 anni dall'evento, riproponiamo. Resistenze.org
Indice
L'attentato e lo sciopero generale
Esperienze di un grande sciopero
L'unità della classe operaia e le sue alleanze
Considerazioni conclusive
Documenti

L'attentato e lo sciopero generale

Il 14 Luglio 1948 alle ore 11,40 venivano sparati a tradimento contro Palmiro Togliatti quattro colpi di rivoltella che lo ferivano mortalmente.
Sulla soglia di Montecitorio sotto gli occhi "imparziali" della polizia, il delinquente aveva potuto compiere indisturbato il brigantesco attentato.
Chi ha armato la mano di Pallante? A questa domanda il governo De Gasperi non ha voluto e non vuole rispondere. Tanto Pallante quanto gli assassini degli organizzatori sindacali e dei lavoratori comunisti vengono definiti dei pazzi, isolati, senza complici. Nessuna indagine, nessuna ricerca di responsabilità. Nessuno è stato chiamato a rendere conto di quanto era avvenuto sotto gli occhi della polizia. Non il ministro degli interni, non il capo della polizia, non il questore, nessuno!
Questo atteggiamento è di per se stesso una confessione di responsabilità.
Gli assassini di Antonio Gramsci sono gli stessi che hanno armato la mano di colui che tentò di uccidere Palmiro Togliatti.


Oggi come ieri si tratta di settari al servizio di chi vuole eternare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, di chi vuole ricacciare il genere umano in un nuovo e più barbaro medioevo.
Si tratta di banditi al servizio dello straniero, ieri tedesco, oggi dell'imperialismo americano, ch
e
vorrebbe trasformare la nostra terra in campi di battaglia di sangue e di rovine.
Il nemico sa che sino a quando Palmiro Togliatti guiderà la lotta del Partito Comunista e delle forze democratiche, l'Italia non diventerà mai una colonia americana, che l'Italia non diventerà mai il deposito delle bombe atomiche e la base militare di eserciti imperialistici.

«Il nostro dovere oggi (aveva gridato il compagno Togliatti nel suo discorso al Parlamento qualche giorno prima dell'attentato) è quello di chiamare il popolo italiano a combattere per la pace d'Italia, d'Europa e del mondo intero».
Egli aveva innalzata, in quel suo magnifico discorso, più alta che mai la bandiera della pace, della libertà, dell'indipendenza nazionale.
La sua voce fu udita da tutti gli italiani e dagli stranieri, dagli amici e dai nemici. Questi ultimi vollero far tacere quella voce, far cessare di funzionare quel cervello, sopprimere quella forza geniale che è garanzia di pace e democrazia.

Quei quattro colpi di pistola furono uditi da tutto il Paese. Furono un segnale di allarme. Un nome solo corse di bocca in bocca in Italia e fuori d'Italia, Jaurès.
La tragica notizia corse di bocca in bocca, fu trasmessa dal telegrafo, volò sulle onde della radio, in pochi minuti fu conosciuta da un capo all'altro d'Italia.
Il rumore operoso delle grandi città cessò di colpo.
Solo gli urli delle sirene chiamarono a raccolta gli operai e i lavoratori tutti. I contadini abbandonarono le falci e le trebbiatrici, gli impiegati, i tecnici, i commessi, gli uffici pubblici e privati. I treni, i tram gli autotrasporti si fermarono. I possenti motori restarono senza vita. I porti deserti, sulle banchine le merci rimasero a mezz'aria, appese alle gru; guardanti dall'alto la vita del lavoro che si spegneva.
Sulle strade delle campagne e delle città marciavano le folle dei lavoratori verso le Camere del Lavoro, verso le sedi del Partito Comunista, verso le loro Associazioni, per unirsi, per conoscere, per sapere.
Prima: costernazione, dolore, ansia. Poi: sdegno, incontenibile e rinnovato proposito di lotta.
Tutto il mal contento contro la politica di odio e di divisione praticata dal governo, tutto lo sdegno per la truffa del 18 aprile, per gli arbitrii e le violenze organizzate dal ministro di polizia, tutta la ribellione per la politica reazionaria e antinazionale delle classi dirigenti esplodevano con impeto.
Tutto il paese colpito, commosso si muoveva.

A Torino: già prima delle ore 14 tutti i tram erano rientrati in rimessa, i negozi avevano chiuso le saracinesche, le fabbriche grandi e piccole, erano ferme e presidiate dagli operai. Nella notte dal mercoledì al giovedì, l'on. Scelba impartì l'ordine di attaccare con le armi la Fiat col pretesto di "liberare" il prof. Valletta, presidente del consiglio di amministrazione della Fiat, il quale però in seguito dichiarò - smentendo l'On. Scelba - di essere rimasto alla Mirafiori di sua volontà. Ad ogni modo, nella notte dal mercoledì al giovedì, l'ordine insensato e provocatorio del ministro degli Interni trovò titubanti le autorità torinesi e non venne eseguito né allora né dopo.

A Milano: alle 13,30 il lavoro cessava spontaneamente in tutte le aziende e negli uffici. Le fabbriche venivano presidiate dagli operai. Due ore dopo l'attentato lo sciopero si era esteso a tutta la provincia. Alle ore 16,00 i tram cittadini e provinciali avevano cessato di circolare. I teatri, i cinematografi e i negozi chiudevano. Mentre centinaia di migliaia di lavoratori si riversavano verso la piazza del Duomo per partecipare al grande comizio di protesta, i grossi papaveri dell'industria facevano a gara a chi fuggiva più in fretta. Le autostrade e tutte le strade che conducono ai monti delle vicine province di Novara, Varese, Como, Sondrio e Bergamo e specialmente quelle in direzione della vicina Svizzera erano percorse da centinaia di macchine cariche di valigie, bauli, materassi, ecc.. In quattro ore la città si era vuotata di questi vampiri i quali poi per giustificare la loro paura e la loro fuga hanno messo in circolazione la storiella che lo sciopero aveva carattere insurrezionale.

A Genova: non appena gli operai e la popolazione appresero la notizia dell'attentato contro il compagno Togliatti le fabbriche si fermarono, i negozi si chiusero, i tramvai cessarono di circolare, il porto si arrestò. Le strade furono invase da interminabili cortei di lavoratori, di donne casalinghe, di studenti, di professionisti, di commessi, che si avviarono verso il centro per il grande comizio che si tenne alle ore 16,00 in piazza De Ferrari.
Sin dal primo momento l'avversario manifestò le sue intenzioni provocatorie. Sei autoblinde della polizia si presentarono sulla piazza dove centoventimila lavoratori si radunavano pacificamente per ascoltare la voce dei loro dirigenti. Le sei autoblinde furono sommerse dalla marea della folla e immobilizzate prima che potessero far uso delle armi, il che evitò una tragedia che qualcuno voleva provocare. Si ebbero in ogni parte della città episodi di fraternizzazione fra le masse popolari e reparti delle forze armate.

A Venezia: in tutte le località del Veneto, nelle province di Venezia, Padova, Rovigo, Vicenza, Verona, Pordenone, Udine, Treviso esplose il risentimento di larghissime masse popolari che abbandonarono il lavoro e organizzarono in ogni località forti manifestazioni di protesta.
A Venezia lo sciopero fu totale in città e in provincia. Le fabbriche e gli stabilimenti vennero presidiati dagli operai.

A Udine: lo sciopero assunse uno slancio tale che non solo le masse popolari ma tutti i partiti e i movimenti democratici ritrovarono lo stesso spirito unitario e di lotta che li animava nell'aprile-maggio 1945.

A Rovigo: nelle prime ore del pomeriggio affluirono in città da tutti i centri della provincia, masse di contadini e lavoratori che avevano abbandonato i campi. Il comizio che si tenne il giorno 15 a Rovigo fu di una imponenza senza precedenti.

A Bologna: il lavoro cessò ovunque alle ore 13,00 appena la radio diffuse la notizia dell'attentato al compagno Togliatti. La quasi totalità degli ex gerarchi repubblichini, degli agrari e degli industriali si rese irreperibile sin dal primo annuncio dell'attentato. Parecchie fabbriche vennero presidiate dagli operai.
Lo sciopero è stato totale anche in provincia. Le masse lavoratrici bolognesi dimostrarono grande disciplina, sensibilità politica e combattività.
Nella provincia di Reggio Emilia centoottantamila lavoratori parteciparono attivamente allo sciopero, ma si può dire che tutta la popolazione partecipò al movimento di protesta.

A Firenze: la notizia dell'attentato al compagno Togliatti fu conosciuta alle ore 12,10 a mezzo dell'ANSA. Alle ore 14,00 tutta la provincia era già completamente ferma. Tutte le categorie di lavoratori avevano abbandonato il lavoro. Alle 15 già si vendeva l'edizione straordinaria del quotidiano «Toscana Nuova».
Lo sciopero dei giorni 14, 15 e 16 fu di tale tempestività, ampiezza e profondità da sorpassare di gran lunga tutti i precedenti.
Lo sciopero mise in movimento tutte le categorie lavoratrici: operai, impiegati, contadini, artigiani, commercianti, ecc. In ogni Comune anche laddove (Marradi, Palazzuolo, Londa, Regello, Carmignano) le forze e le influenze del Partito sono più limitate esso riuscì perfettamente.

A Siena: i primi a scioperare furono gli operai delle officine Tortorella, Lolini e Muzzi, delle fornaci di laterizi di Val di Chiana, i minatori dell'Amiata, gli operai delle officine di Colle  d'EIsa e di Poggibonsi, i metallurgici, i fornaciai, i vetrai, i minatori e i lanieri. I ferrovieri cessarono pure il lavoro alle ore 14. Gli altri operai, i mezzadri, i braccianti e gli artigiani cessarono il lavoro nel corso del pomeriggio del 14 man mano che venivano a conoscenza dell'attentato.
In tutta la provincia comprese le zone politicamente meno influenzate da noi come il Chianti, Cetona e Radicofani, al giungere della notizia la vita si arrestava nei campi e nei villaggi.

A Roma: dopo appena tre quarti d'ora dall'attentato il lavoro veniva sospeso nelle aziende industriali, nei trasporti tranviari, nei negozi, negli uffici pubblici. Nel pomeriggio lo sciopero generale si estese alle ferrovie e alle aziende del gas. Nelle aziende elettriche si ebbe la sospensione della corrente sino alle ore 20.
Masse di decine di migliaia di scioperanti nelle prime ore del pomeriggio affluirono nelle vie del centro e specialmente in piazza Colonna. Numerose manifestazioni avevano luogo anche negli altri quartieri della città. Pure nella provincia lo sciopero assunse ovunque una ampiezza e un carattere popolare e totale. Forte lo spirito di lotta e di combattività dei lavoratori.
Nell'Agro Romano lo sciopero è stato completo.

Nelle Marche: immediato lo sciopero generale nelle province di Ancona, Pesaro, Macerata, Ascoli Piceno. Nelle prime ore del pomeriggio avevano luogo grandi manifestazioni di protesta in tutte le località delle quattro province e particolarmente nei capoluoghi e a Porta Civitanova, a Porto San Giorgio, a Tolentino, a Fano, a Urbino a Jesi, a Fabriano, a Senigallia.

Nell'Umbria: lo sciopero fu imponente tanto negli stabilimenti di Terni quanto nelle fabbriche di Spoleto, presidiate dagli operai. Lo sciopero dei contadini si estese in tutte le zone. I negozi e gli uffici chiusi. Uno sciopero così compatto non si era mai visto nel passato, neppure nel lontano 1919

Nell'Abruzzo: per la prima volta queste terre videro un movimento così esteso di lavoratori, una manifestazione di protesta alla quale la popolazione così largamente partecipò.
Lo sciopero fu totale ad Avezzano ed in molti centri della Marsica.
L'Associazione Combattenti aderì allo sciopero

A Potenza: alla manifestazione di protesta la cittadinanza partecipò in misura superiore a qualsiasi precedente manifestazione. Largamente rappresentato il ceto medio cittadino che costituisce la maggioranza della popolazione del capoluogo.

A Napoli: poche ore dopo l'attentato la vita normale della città e della provincia era paralizzata. Migliaia di lavoratori abbandonavano il lavoro e si riversavano verso la sede della Camera del Lavoro e del Partito Comunista per chiedere la proclamazione ufficiale dello sciopero generale. In poco tempo malgrado la paralisi dei mezzi di trasporto, migliaia e migliaia di persone si trovavano davanti alla Camera del Lavoro ove aveva luogo un grande comizio. È a questo punto (terminato il comizio, mentre la massa dei lavoratori si avviava alle sedi delle organizzazioni sindacali e politiche) che in piazza Dante avveniva la seconda grave provocazione della polizia. La "Celere" che già aveva caricato la folla sotto la sede della Federazione Comunista attaccava di nuovo i lavoratori dando luogo ad un conflitto nel quale cadevano due compagni studenti: Quinto e Fischetti.
L'uccisione dei due compagni non smorzava lo slancio degli operai. L'estensione dello sciopero nella città e nella provincia assunse proporzioni mai raggiunte a Napoli. Anche in piccolissimi paesi delle zone contadine più interne e della costiera sorrentina arrivò l'ondata dello sciopero (Pompei, Capri, Scisciano, ecc.)

Nelle Puglie: in tutti i centri agricoli delle Puglie e nelle città lo sciopero generale venne realizzato nelle prime ore del pomeriggio. Le masse dei lavoratori dei campi affluivano dai borghi nelle città con tutti i mezzi di fortuna. Bari, Foggia, Brindisi, Lecce, Cerignola, Gravina, Barletta manifestarono fortemente il loro sdegno per il vile attentato.

A Taranto: mentre gli operai abbandonati i Cantieri Navali e gli stabilimenti affluivano verso la camera del Lavoro vennero attaccati dalla polizia. Nel conflitto che ne seguì caddero un compagno socialista e un agente di polizia.
Il segretario democristiano della Camera del lavoro di Taranto aderì in pieno allo sciopero generale e a tutte le manifestazioni di protesta.
Venne indirizzato alla cittadinanza un manifesto firmato dal Partito Comunista, dal Partito Socialista, dai partiti Saragattiano e Repubblicano nel quale si stigmatizzava il crimine, si chiedeva una severa inchiesta, l'accertamento delle responsabilità e la punizione dei responsabili dell'attentato e di coloro che avevano provocato i luttuosi incidenti.

Nelle Calabrie: a Reggio Calabria, a Cosenza, a Catanzaro, a Crotone e negli altri centri minori il lavoro fu immediatamente interrotto nelle officine, nei cantieri, nelle ferrovie, nei negozi man man che con la rapidità del vento si diffondeva la notizia dell'attentato al compagno Togliatti.
Nella stessa sera del 14 furono tenuti molti comizi di protesta la cui imponenza era superiore a quella delle più grandi manifestazioni elettorali. Tutti gli strati della popolazione vi partecipavano. Nello sciopero si distinsero particolarmente per slancio e compattezza i ferrovieri, gli edili, i metallurgici.

A Palermo: non appena la radio annunciò l'attentato contro il compagno Togliatti, tutte le fabbriche metallurgiche della città, i cantieri navali, l'Aeronautica Sicula, l'Onsa, la Panzeri e le altre minori, cessarono immediatamente il lavoro. Nel pomeriggio sospesero il lavoro i servizi pubblici cittadini mentre i negozi chiudevano.
All'indomani lo sciopero era totale in tutta la città.

A Cagliari: i primi a scioperare furono i portuali, i salinieri, gli edili e i lavorai delle piccole e medie officine. Alle ore 17 la Camera del Lavoro proclamava ufficialmente lo sciopero e il movimento si estendeva così a tutte le altre categorie di lavoratori e a tutta la provincia.

A Nuoro: allo sciopero parteciparono pure i dipendenti degli enti militarizzati come la Direzione di artiglieria. In provincia lo sciopero ebbe luogo nei cantieri dell'alto Flumendosa, nelle miniere di Talco Galisai e in molti centri agricoli.

* * *
Queste scheletriche notizie siriferiscono solo ai capoluoghi di regione: ci è impossibile riferire seppure succintamente il notiziario dello sciopero estesosi a tutti i centri agricoli italiani.
Di città in città, di valle in valle, da Aosta a Trapani, da Biella a Foggia, da Alessandria a Campobasso, da Modena a Catanzaro, dai centri agricoli dell'Emilia e della Toscana a quelli della Lucania sino ai più sperduti paesi di montagna, le sirene e i fischi dei treni urlarono la dolorosa notizia, chiamarono a raccolta milioni di uomini semplici, di giovani, di donne, di contadini, di impiegati, colpiti in ciò che essi avevano di più caro. Li chiamarono a manifestare la loro indignazione al grido di "via il governo della discordia, della fame e della guerra". Questo grido esprimeva la coscienza della gravita di quanto era avvenuto e la volontà insopprimibile degli italiani di lottare per dare all'Italia un governo veramente democratico che sappia garantire la libertà, difendere la Costituzione repubblicana, la pace e l'indipendenza del Paese.

Quando alle ore 12 precise del 16 Luglio, come da disposizione della Confederazione Generale del Lavoro lo sciopero cessò e disciplinati milioni e milioni di lavoratori ripresero la loro attività, tutti avevano avuto la dimostrazione della possenza delle forze del lavoro e della democrazia in Italia.
Tutti avevano avuto la prova della forza della coscienza e del senso di responsabilità del Partito Comunista.

La vita di Palmiro Togliatti era fuori pericolo. Il disegno dei nemici del popolo era fallito. Da tutte le parti del mondo continuavano a giungere messaggi di indignazione degli uomini liberi.
Gli operai, i contadini, gli intellettuali d'avanguardia di tutti i paesi avevano sentito la lotta dei lavoratori italiani come una propria lotta.
Lo sciopero generale aveva segnato l'inizio di una nuova grande battaglia per la pace e la libertà.

continua

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