“Oltre 60 tavoli aperti, 180.000 lavoratori coinvolti, dalla
Brianza alla Sicilia. E alcuni casi che si trascinano da anni con cassa
integrazione eterna e precari piani di riconversione”. Così inizia un articolo
di Affari&Finanza del 6 maggio che si occupa della crisi delle industrie in
Italia. Ed è sotto gli occhi di tutti che “Alcune vertenze, ormai, si sono
incancrenite, per altri si prospetta una via d'uscita, anche se si sono persi
posti di lavoro per strada.”
Ci sono “Nomi che sono entrati nella cronaca quotidiana per
scioperi e picchetti, come l'Industria Italiana Autobus tra Bologna e Avellino,
la GKN di Firenze, la Portovesme di Cagliari, la Wärtsilä di Trieste, la Lear
di Grugliasco o la Bosch di Bari. Pure un marchio storico della lingerie, come La
Perla, è finito nelle secche per colpa delle speculazioni finanziarie.” Tra gli
scioperi bisogna aggiungere quelli alla Stellantis (che l’articolo non cita!),
da Torino a Pomigliano e Melfi.
“Da gennaio a oggi sono stati aperti altri tavoli al ministero delle Imprese del Made in Italy guidato da Adolfo Urso, per un totale di 1.867 nuovi lavoratori di aziende in crisi. I soli addetti coinvolti nei tavoli ministeriali sono 59.893. Tra le ultime imprese entrate in crisi c'è da segnalare la Vibac, che produce film e nastri adesivi. Due le fabbriche a rischio, Termoli e Potenza. Poi la Denso di San Salvo, in provincia di Chieti, così come la Baomarc, sempre in provincia di Chieti, a Lanciano. Entrambe sono del settore automotive. Da non dimenticare la Unilever di Pozzilli, provincia di Isernia, che è del
comparto chimico, e la Siae microelettronica di Cologno, in provincia di Monza, 160 addetti a rischio per la delocalizzazione in Cina.”Come si vede la delocalizzazione è ancora e sempre
uno degli espedienti dei padroni per sfruttare forza-lavoro a basso costo.
La cosiddetta “transizione all’elettrico” coinvolge poi “altre
121 mila persone” si tratta di “Imprese concentrate soprattutto nell'indotto
auto, dove sono 70.000 gli addetti in pericolo, e nella siderurgia altri
25.000 a rischio. Per non parlare dei settori che non paiono in difficoltà,
come l'energia, dove sono 8mila gli occupati delle centrali a carbone
che sono avviate alla chiusura, come confermato anche dal ministero
dell'Ambiente e della sicurezza energetica del governo, Gilberto Pichetto
Fratin, nella riunione del G7 Clima.”
“Anche passaggi che non sembrano critici, come la fine
del mercato tutelato, potrebbero provocare emorragie: 2 mila i posti a
rischio. Altri 4000 nella chimica di base, quasi 3.500 nel
petrolchimico e poi 8.500 nelle telecomunicazioni. Quest'ultimo
compatto, che si sta riorganizzando, come dimostra l'operazione Swisscom a marzo:
acquisire Vodafone Italia per fare le nozze con Fastweb. Oppure lo scorporo
della rete da Tim, regista il governo Meloni, grazie al Fondo americano KKR.”
Questo “censimento sulla base dei tavoli aperti al ministero delle Imprese e del Made in Italy”, è stato fatto dalla Cgil, dice il giornalista. Cgil che rispetto a questa crisi ripete il solito ritornello stonato che cantano anche i padroni che si lamentano con il loro governo e cioè: “migliorare la capacità di attrarre gli investimenti.” Ad “attrarre investimenti” il governo ci sta pensando eccome, non solo tenendo bassissimi i salari, negando anche la legge sul salario minimo, ma anche cercando di fare dell’Italia un’unica grande Zona economica speciale, dove i padroni godono di aiuti, oltre a quelli già messi in campo per miliardi di euro ogni anno!
E' chiaro che quando si parla di crisi, è bene ripeterlo, non
si parla della ricchezza e dei profitti dei padroni, ma di qualcosa di
strutturale del sistema capitalista-imperialista che tocca essenzialmente
operaie e operai che vengono licenziati o messi in cassa integrazione e
costretti a subire condizioni di lavoro sempre peggiori.
Le fabbriche in crisi elencate sono tante e tutte insieme
raccolgono un grande esercito operaio, crisi o non crisi sempre di esercito
si tratta; tra queste fabbriche, quelle più importanti, per settore di
produzione, per grandezza e quantità di lavoratori coinvolti, sono l’ex Ilva di
Taranto e la Stellantis e né sull’una né sull’altra le manovre dei padroni e
del governo lasciano spazio ad alcuna “soluzione” positiva per gli operai che
devono per forza passare dallo scontro con i padroni innanzi tutto, con il loro
governo e i sindacati confederali complici, prendere in mano il loro destino
per ristabilire rapporti di forza favorevoli alla classe operaia.
[sull’ex Ilva: https://proletaricomunisti.blogspot.com/2024/05/pc-15-maggio-ex-ilva-taranto-contro-i.html]
[sulla Stellantis: https://proletaricomunisti.blogspot.com/2024/04/pc-24-aprile-stellantis-quello-che.html]
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