(dal "comitatotremarzo" - Molfetta)
L’ultima sentenza
relativa alla vicenda, ribaltando in appello quella di primo grado,
ha assolto o prosciolto per prescrizione tutti gli imputati, con
l’unica eccezione della stessa Truck Center, il cui socio
accomandatario e rappresentante legale è una delle cinque persone
decedute per intossicazione da acido solfidrico il 3 marzo 2008.
Insomma, allo stato, si potrebbe quasi dire che per il sistema
giudiziario italiano l’unico colpevole sia il morto.
Certo non possono negarsi
le responsabilità della Truck Center e del suo amministratore per le
omissioni delle misure di sicurezza, il cui rispetto avrebbe evitato
la tragedia. Tuttavia, va rammentato che non di rado realtà
aziendali poco rilevanti o marginali si trovano a doversi accollare i
lavori più ingrati, pericolosi e malpagati, talora ai limiti della
regolarità e della legalità, che le
imprese più importanti non
hanno interesse o non ritengono opportuno svolgere direttamente, e,
per realizzare un margine di profitto, ricorrere alla compressione
della spesa a tutela della sicurezza, della salute e dell’ambiente,
in violazione o elusione delle relative norme.
Va, d’altro lato,
rimarcato che alcuni imputati sono stati prosciolti per prescrizione,
ossia che la Corte d’Appello li ha ritenuti colpevoli, ma hanno
evitato la condanna per il mero fatto che si sono lasciati
trascorrere più di nove anni dal tragico evento.
È pure da sottolineare
che tra gli imputati del ramo di processo in argomento non era
compresa l’Eni, oggetto di procedimento a parte. La suddivisione in
più tronconi ha nei fatti agevolato la difesa degli imputati e
favorito la svolta sconvolgente e inaccettabile fino al grottesco
della vicenda processuale. Particolarmente grave è che tutto ciò
abbia nei fatti consentito di non considerare la configurabilità
della fattispecie del dolo indiretto o eventuale, oltre che della
complicità e della associazione per delinquere, nei rapporti fra Eni
e Nuova Solmine, rispettivamente mittente e destinataria del carico
di zolfo fuso con annesso acido solfidrico in quantità letale.
Eppure non mancavano pesanti e concordanti elementi a sostegno di una
tale configurabilità, essendo stata provata la totale consapevolezza
delle due imprese circa la presenza di acido solfidrico in quantità
abnorme nelle ferro-cisterne che trasportavano zolfo fuso, tanto che
la Nuova Solmine aveva ottenuto uno sconto sul prezzo in
considerazione di tale circostanza.
Nell’altro processo,
l’Eni e sette suoi dipendenti sono stati assolti in primo grado
dall’accusa di omicidio e lesioni colposi. Il giudice ha ritenuto
che sussistesse un dubbio insuperabile sulla prova.
Il dubbio non ha
riguardato il fatto che la ferro-cisterna contenesse acido solfidrico
in quantità e concentrazione letali, che tale gas tossico abbia
causato le morti e le lesioni, che ad immetterlo nella cisterna sia
stata l’Eni, che le vittime fossero del tutto ignare del pericolo
mortale che correvano introducendosi nella cisterna. Fuori di dubbio
è, altresì, che l’Eni fosse consapevole della presenza del gas
letale in quantità abnorme, a causa del malfunzionamento dei propri
impianti. È stato inoltre accertato che la stessa società, rilevato
il problema, aveva deliberato di eliminarlo e di effettuare gli
investimenti a tal fine, ma ne aveva rinviato l’esecuzione,
evitando di sostenerne i relativi costi. Altrettanto consapevole
della presenza abnorme di acido solfidrico nelle ferro-cisterne
utilizzate per il trasporto di zolfo fuso era la Nuova Solmine di
Scarlino, destinataria del carico.
Pure accertato è che,
nel contratto di fornitura, le due società avevano omesso ogni
riferimento alla presenza nelle cisterne di acido solfidrico, quale
rifiuto tossico indesiderato derivante dalle operazioni di produzione
e caricamento di zolfo fuso. Non, quindi, per caso o per errore, ma
per preciso accordo tra le parti contraenti, le ferro-cisterne non
recavano le indicazioni della presenza dell’acido tossico e del
pericolo mortale per inalazione del medesimo. L’acido solfidrico,
in quanto rifiuto speciale, doveva essere smaltito in osservanza
delle norme vigenti secondo procedure di tutela della vita e
dell’integrità dei lavoratori e dei cittadini e della sicurezza
ambientale, con conseguente sopportazione del relativo onere
economico. La corretta indicazione del contenuto tossico delle
cisterne e del pericolo mortale da esso rappresentato avrebbe infatti
imposto la bonifica accurata delle ferro-cisterne o la loro
sostituzione o altra soluzione comunque onerosa a fronte della pura e
semplice omissione della segnalazione della presenza dell’acido.
L’Eni ha consapevolmente scelto di non eliminare il pericolo né
nelle fasi della produzione e del caricamento, né in quelle di
trasporto, scarico e bonifica o sostituzione delle ferro-cisterne, in
quanto ciò avrebbe comportato un rilevante aumento dei costi ed una
conseguente notevole riduzione dei livelli di profitto. Non si è,
inoltre, preoccupata di seguire e controllare le operazioni di
scarico e bonifica, al fine di garantire condizioni di sicurezza e
rispetto dell’ambiente, nonostante fosse a conoscenza delle
condizioni di grave rischio da essa stessa determinate per la omessa
segnalazione della presenza di acido solfidrico in quantità
certamente abnorme e potenzialmente letale.
I fatti accertati sono
tali da far ritenere quantomeno non manifestamente infondato che
l’Eni abbia deciso consapevolmente, al fine di un maggior profitto,
di accettare la concreta possibilità, in termini di elevata
probabilità, che si realizzasse un evento luttuoso, quale quello che
si è verificato. Numerosi elementi consistenti e concordanti portano
a ritenere che l’Eni, con le sue omissioni e violazioni di norme di
legge, abbia accettato il rischio dell’evento, non voluto né
desiderato dai soggetti agenti, ma in concreto altamente probabile,
alla luce delle conoscenze scientifiche e tecniche in loro possesso.
Essi, pur non avendo di mira quel determinato accadimento, hanno
scelto di operare anche a costo che si realizzasse, per cui esso è
da considerarsi riferibile alla loro volontà e, come tale,
configurabile come dolo indiretto o eventuale, in quanto, benché a
conoscenza dell’esistenza certa del rischio, decisero di correrlo,
pur sapendo, potendo e dovendo eliminarlo. Responsabilità analoghe
sono da addebitarsi alla Nuova Solmine, anch’essa a conoscenza del
pericolo rappresentato dalla presenza abnorme di acido solfidrico e
delle violazioni ed omissioni finalizzate ad occultarla. Tra le
società sarebbe pertanto ravvisabile una vera e propria complicità
o associazione per delinquere. Non vi è motivo, quindi, per cui le
violazioni ed omissioni di Nuova Solmine debbano escludere quelle
dell’Eni, come ha ritenuto il Gup, anziché sommarsi ad esse ed
anzi aggravarle, in coerenza con i numerosi elementi probatori
emersi.
La sentenza di
assoluzione dell’Eni, non considerando minimamente la possibilità
del dolo eventuale e quella della complicità tra le due società, si
è fondata su un dubbio relativo ad una ipotesi non verificatasi
nella realtà. Il giudice ha infatti ritenuto che non fosse da
escludere la possibilità, qualora la presenza dell’acido
solfidrico fosse stata correttamente segnalata dall’Eni, che Nuova
Solmine rimovesse comunque le segnalazioni, riproducendo una
situazione di pericolo.
Una tale motivazione
appare tragicamente risibile e perfino irridente. Parrebbe infatti
che le leggi poste a salvaguardia della vita e dell’integrità dei
cittadini esistano perché tutti, comprese le multinazionali con
profitti miliardari e a forte partecipazione statale, vi si debbano
attenere, non come un optional eludibile con argomenti cavillosi e
capziosi e supercazzole estemporanee.
Si suole affermare che le
sentenze si rispettano; ma ciò non vuol dire che si debbano
condividere. E quelle in questione appaiono palesemente offensive per
la giustizia e la verità, oltre che per la logica e l’intelligenza
e per la memoria delle vittime, la democrazia e la dignità dei
cittadini, nel cui nome è esercitata la funzione giudiziaria. I
giudici hanno manifestato estrema benevolenza verso l’Eni e,
quantomeno, noncurante distrazione e negligente superficialità nel
valutare gli elementi a suo carico. Ma quando vicende di questo
genere si evidenziano chiaramente come pesanti prese in giro,
risultano devastanti per la credibilità delle istituzioni e anche
dei media, che nei fatti ignorano o minimizzano la vicenda, facendo
risaltare il sostanziale distacco di entrambi dalla realtà, su cui
avrebbero il compito o la pretesa di intervenire, giudicare e
informare.
La situazione parrebbe a
questo punto irrimediabilmente compromessa, salvo che, tramite
ricorso in Cassazione, non si ottenga la riunificazione dei processi
e la riconsiderazione delle imputazioni, ossia la configurabilità
nei confronti di Eni e Nuova Solmine dei reati di omicidio plurimo
volontario, nel senso del dolo indiretto o eventuale, di concorso e
complicità nel medesimo e di associazione per delinquere. In
mancanza, in tanti cittadini comuni e perbene si rafforzerebbero la
frustrazione e la convinzione dell’impunità dei ricchi e potenti,
quasi non vi fosse stato nulla di male negli atti commissivi ed
omissivi delle due imprese ed esse possano tranquillamente ripeterli,
in attesa che il tempo ne cancelli di nuovo colpe e ricordo e che
magari ci si rassegni definitivamente al fatto che le norme penali
valgano solo per i deboli, i poveri e … i morti.
SE NE PARLA ALLA FIERA
DELLE AUTOPRODUZIONI IL 29 OTTOBRE 2017 A MOLFETTA IN PIAZZA PARADISO
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