martedì 24 ottobre 2017

pc 24 ottobre - IL CASO TRUCK CENTER, OVVERO COME FARSI BEFFE DI GIUSTIZIA E VERITÀ

(dal "comitatotremarzo" - Molfetta)
L’ultima sentenza relativa alla vicenda, ribaltando in appello quella di primo grado, ha assolto o prosciolto per prescrizione tutti gli imputati, con l’unica eccezione della stessa Truck Center, il cui socio accomandatario e rappresentante legale è una delle cinque persone decedute per intossicazione da acido solfidrico il 3 marzo 2008. Insomma, allo stato, si potrebbe quasi dire che per il sistema giudiziario italiano l’unico colpevole sia il morto.
Certo non possono negarsi le responsabilità della Truck Center e del suo amministratore per le omissioni delle misure di sicurezza, il cui rispetto avrebbe evitato la tragedia. Tuttavia, va rammentato che non di rado realtà aziendali poco rilevanti o marginali si trovano a doversi accollare i lavori più ingrati, pericolosi e malpagati, talora ai limiti della regolarità e della legalità, che le
imprese più importanti non hanno interesse o non ritengono opportuno svolgere direttamente, e, per realizzare un margine di profitto, ricorrere alla compressione della spesa a tutela della sicurezza, della salute e dell’ambiente, in violazione o elusione delle relative norme.
Va, d’altro lato, rimarcato che alcuni imputati sono stati prosciolti per prescrizione, ossia che la Corte d’Appello li ha ritenuti colpevoli, ma hanno evitato la condanna per il mero fatto che si sono lasciati trascorrere più di nove anni dal tragico evento.
È pure da sottolineare che tra gli imputati del ramo di processo in argomento non era compresa l’Eni, oggetto di procedimento a parte. La suddivisione in più tronconi ha nei fatti agevolato la difesa degli imputati e favorito la svolta sconvolgente e inaccettabile fino al grottesco della vicenda processuale. Particolarmente grave è che tutto ciò abbia nei fatti consentito di non considerare la configurabilità della fattispecie del dolo indiretto o eventuale, oltre che della complicità e della associazione per delinquere, nei rapporti fra Eni e Nuova Solmine, rispettivamente mittente e destinataria del carico di zolfo fuso con annesso acido solfidrico in quantità letale. Eppure non mancavano pesanti e concordanti elementi a sostegno di una tale configurabilità, essendo stata provata la totale consapevolezza delle due imprese circa la presenza di acido solfidrico in quantità abnorme nelle ferro-cisterne che trasportavano zolfo fuso, tanto che la Nuova Solmine aveva ottenuto uno sconto sul prezzo in considerazione di tale circostanza.
Nell’altro processo, l’Eni e sette suoi dipendenti sono stati assolti in primo grado dall’accusa di omicidio e lesioni colposi. Il giudice ha ritenuto che sussistesse un dubbio insuperabile sulla prova.
Il dubbio non ha riguardato il fatto che la ferro-cisterna contenesse acido solfidrico in quantità e concentrazione letali, che tale gas tossico abbia causato le morti e le lesioni, che ad immetterlo nella cisterna sia stata l’Eni, che le vittime fossero del tutto ignare del pericolo mortale che correvano introducendosi nella cisterna. Fuori di dubbio è, altresì, che l’Eni fosse consapevole della presenza del gas letale in quantità abnorme, a causa del malfunzionamento dei propri impianti. È stato inoltre accertato che la stessa società, rilevato il problema, aveva deliberato di eliminarlo e di effettuare gli investimenti a tal fine, ma ne aveva rinviato l’esecuzione, evitando di sostenerne i relativi costi. Altrettanto consapevole della presenza abnorme di acido solfidrico nelle ferro-cisterne utilizzate per il trasporto di zolfo fuso era la Nuova Solmine di Scarlino, destinataria del carico.
Pure accertato è che, nel contratto di fornitura, le due società avevano omesso ogni riferimento alla presenza nelle cisterne di acido solfidrico, quale rifiuto tossico indesiderato derivante dalle operazioni di produzione e caricamento di zolfo fuso. Non, quindi, per caso o per errore, ma per preciso accordo tra le parti contraenti, le ferro-cisterne non recavano le indicazioni della presenza dell’acido tossico e del pericolo mortale per inalazione del medesimo. L’acido solfidrico, in quanto rifiuto speciale, doveva essere smaltito in osservanza delle norme vigenti secondo procedure di tutela della vita e dell’integrità dei lavoratori e dei cittadini e della sicurezza ambientale, con conseguente sopportazione del relativo onere economico. La corretta indicazione del contenuto tossico delle cisterne e del pericolo mortale da esso rappresentato avrebbe infatti imposto la bonifica accurata delle ferro-cisterne o la loro sostituzione o altra soluzione comunque onerosa a fronte della pura e semplice omissione della segnalazione della presenza dell’acido. L’Eni ha consapevolmente scelto di non eliminare il pericolo né nelle fasi della produzione e del caricamento, né in quelle di trasporto, scarico e bonifica o sostituzione delle ferro-cisterne, in quanto ciò avrebbe comportato un rilevante aumento dei costi ed una conseguente notevole riduzione dei livelli di profitto. Non si è, inoltre, preoccupata di seguire e controllare le operazioni di scarico e bonifica, al fine di garantire condizioni di sicurezza e rispetto dell’ambiente, nonostante fosse a conoscenza delle condizioni di grave rischio da essa stessa determinate per la omessa segnalazione della presenza di acido solfidrico in quantità certamente abnorme e potenzialmente letale.
I fatti accertati sono tali da far ritenere quantomeno non manifestamente infondato che l’Eni abbia deciso consapevolmente, al fine di un maggior profitto, di accettare la concreta possibilità, in termini di elevata probabilità, che si realizzasse un evento luttuoso, quale quello che si è verificato. Numerosi elementi consistenti e concordanti portano a ritenere che l’Eni, con le sue omissioni e violazioni di norme di legge, abbia accettato il rischio dell’evento, non voluto né desiderato dai soggetti agenti, ma in concreto altamente probabile, alla luce delle conoscenze scientifiche e tecniche in loro possesso. Essi, pur non avendo di mira quel determinato accadimento, hanno scelto di operare anche a costo che si realizzasse, per cui esso è da considerarsi riferibile alla loro volontà e, come tale, configurabile come dolo indiretto o eventuale, in quanto, benché a conoscenza dell’esistenza certa del rischio, decisero di correrlo, pur sapendo, potendo e dovendo eliminarlo. Responsabilità analoghe sono da addebitarsi alla Nuova Solmine, anch’essa a conoscenza del pericolo rappresentato dalla presenza abnorme di acido solfidrico e delle violazioni ed omissioni finalizzate ad occultarla. Tra le società sarebbe pertanto ravvisabile una vera e propria complicità o associazione per delinquere. Non vi è motivo, quindi, per cui le violazioni ed omissioni di Nuova Solmine debbano escludere quelle dell’Eni, come ha ritenuto il Gup, anziché sommarsi ad esse ed anzi aggravarle, in coerenza con i numerosi elementi probatori emersi.
La sentenza di assoluzione dell’Eni, non considerando minimamente la possibilità del dolo eventuale e quella della complicità tra le due società, si è fondata su un dubbio relativo ad una ipotesi non verificatasi nella realtà. Il giudice ha infatti ritenuto che non fosse da escludere la possibilità, qualora la presenza dell’acido solfidrico fosse stata correttamente segnalata dall’Eni, che Nuova Solmine rimovesse comunque le segnalazioni, riproducendo una situazione di pericolo.
Una tale motivazione appare tragicamente risibile e perfino irridente. Parrebbe infatti che le leggi poste a salvaguardia della vita e dell’integrità dei cittadini esistano perché tutti, comprese le multinazionali con profitti miliardari e a forte partecipazione statale, vi si debbano attenere, non come un optional eludibile con argomenti cavillosi e capziosi e supercazzole estemporanee.
Si suole affermare che le sentenze si rispettano; ma ciò non vuol dire che si debbano condividere. E quelle in questione appaiono palesemente offensive per la giustizia e la verità, oltre che per la logica e l’intelligenza e per la memoria delle vittime, la democrazia e la dignità dei cittadini, nel cui nome è esercitata la funzione giudiziaria. I giudici hanno manifestato estrema benevolenza verso l’Eni e, quantomeno, noncurante distrazione e negligente superficialità nel valutare gli elementi a suo carico. Ma quando vicende di questo genere si evidenziano chiaramente come pesanti prese in giro, risultano devastanti per la credibilità delle istituzioni e anche dei media, che nei fatti ignorano o minimizzano la vicenda, facendo risaltare il sostanziale distacco di entrambi dalla realtà, su cui avrebbero il compito o la pretesa di intervenire, giudicare e informare.
La situazione parrebbe a questo punto irrimediabilmente compromessa, salvo che, tramite ricorso in Cassazione, non si ottenga la riunificazione dei processi e la riconsiderazione delle imputazioni, ossia la configurabilità nei confronti di Eni e Nuova Solmine dei reati di omicidio plurimo volontario, nel senso del dolo indiretto o eventuale, di concorso e complicità nel medesimo e di associazione per delinquere. In mancanza, in tanti cittadini comuni e perbene si rafforzerebbero la frustrazione e la convinzione dell’impunità dei ricchi e potenti, quasi non vi fosse stato nulla di male negli atti commissivi ed omissivi delle due imprese ed esse possano tranquillamente ripeterli, in attesa che il tempo ne cancelli di nuovo colpe e ricordo e che magari ci si rassegni definitivamente al fatto che le norme penali valgano solo per i deboli, i poveri e … i morti.


SE NE PARLA ALLA FIERA DELLE AUTOPRODUZIONI IL 29 OTTOBRE 2017 A MOLFETTA IN PIAZZA PARADISO

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