“Se Raffaella Carrà davvero pensa di risolvere questo conflitto fra azienda e maestranze, fra metallurgici e padroni delle ferriere portando i duellanti davanti alle telecamere di Domenica In, allora dice Calzoni, non ha capito proprio nulla: la signora Carrà faccia il suo mestiere e lasci a noialtri il compito di dirimere le questioni aziendali, ha commentato con inesistente diplomazia Calzoni.” così arrabbiato rispondeva il braccio destro del padrone delle ferriere, Lucchini, presidente di Confindustria, alla denuncia delle condizioni degli operai della Lucchini.
I problemi messi in luce dalla partecipazione dell’operaio
dell’acciaieria Lucchini alla trasmissione della Carrà riguardavano: condizioni del locale
mensa, infermeria, permesso per andare in bagno, “ferie” obbligatorie, salari
bassi, cassa integrazione non pagata…
Riportiamo l’intervista alla Carrà fatta dal Manifesto e
ripubblicata nell’edizione di oggi e inoltre un interessante articolo della
Repubblica di allora che racconta come è proseguito lo scontro dopo la
trasmissione.
Quell’operaio è proprio un
uomo a posto
Domenica In . Ripubblichiamo una intervista uscita sul «manifesto» del 2 novembre del 1986, a seguito di un rovente scontro sociale nella cornice di una trasmissione popolare e leggera. L'incontro di Valentino Parlato con la soubrette nel suo camerino per parlare di fabbriche e diritti
Incontro Raffaella Carrà nel suo camerino, sabato è una giornata durissima; mettere a registro la trasmissione di Domenica In deve essere una gran fatica, La ragione dell’incontro è intuitiva: Bisider, Lucchini e, soprattutto, l’operaio Varianti Mario. Lo scontro tra i sindacati
metalmeccanici bresciani Fìom e Firn e il presidente della Confìndustrìa è inopinatamente esploso in una trasmissione televisiva «leggera».Raffaella Carrà è
gentilissima, e pronta a spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto giusto
invitare l’operaio Varianti.
Comincerei col dire «Grazie Raffaella», come cittadino e come utente della Rai Tv. Il fatto che una trasmissione di intrattenimento e che, forse per errore, non mi appassiona, abbia portato a milioni di telespettatori un problema della condizione operaia lo considero positivo, e tutto il contrario della politica spettacolo: la gente deve vedere e sapere come stanno le cose, anche nelle fabbriche.
Quando dico che Domenica in è una trasmissione popolare dico questo, dico che ci debbono essere anche i fatti e le persone della realtà. Se tutto questo fa nascere polemiche, è per la forza stessa delle cose e non perché qualcuno abbia pensato che la polemica avrebbe accresciuto il numero dei telespettatori. In linguaggio popolare, direi che questa polemica è stata il destino che l’ha voluta. Abbiamo intervistato il presidente della Confindustria Luigi Lucchini senza neppure sapere che Varianti esistesse. E ne è uscito fuori come un grosso personaggio. Un protagonista di quella rinascita dell’industria italiana che consente a tutti noi di vivere meglio. Piero Ottone gli ha fatto molte domande, anche sul suo carattere e sulla sua scarsa propensione a incontrarsi con gli operai. In ogni caso, ne è venuto fuori un personaggio forte, di rilievo.
Ma la cosa non è
finita lì.
Sì, il giorno dopo abbiamo visto che il manifesto titolava sulle «bugìe dì
Lucchini», e poi abbiamo ricevuto il telegramma di Mario Varianti, che chiedeva
di poter dire la sua.
E come mai avete
deciso di ricevere Mario Varianti?
La ragione è molto semplice. Viviamo in uno stato democratico dove tutti hanno
diritto di replica, specie in un programma televisivo che si dichiara popolare
e che non deve limitare il suo pubblico ai grandi protagonisti ed escludere
quelli che Manzoni chiamava gii umili.
Come l’avete visto
l’operaio Varianti? Dalla televisione sembrava che vi apparisse come una specie
di «oggetto misterioso».
Niente affatto. A me è
sembrato una persona per bene, a posto, ovviamente molto emozionato, un signore
agitato che sudava. Francamente si fa un abuso delle parole «umanamente»,
«umano» eccetera, e poi questo atteggiamento non si pratica spesso. In questa
situazione ho sentito la necessità di mettere una mano sul braccio di questo
signore per aiutarlo a essere sereno protagonista di quella trasmissione, Era
il meno che si potesse fare.
Quale domanda ha
pensato di fare?
Da romagnola, ho chiesto subito: «Lei di che si lamenta?». In fondo era la
ragione per la quale aveva mandato il telegramma ed era venuto a Roma. Piero
Ottone gli ha chiesto delle condizioni di fabbrica: quale era il suo salario,
l’infermeria, la mensa. Era un modo di metterlo a suo agio. Le risposte che
tutti ricordano ci sono sembrate incredibili, ma lo abbiamo lasciato parlare senza
sovrapporre commenti. Quanto a me, sono rimasta appassionata dal rapporto
forte, di affetto che questo operaio aveva con la sua fabbrica, con i suoi
compagni di lavoro. Alla mia domanda : perché è venuto da noi a raccontarci
queste cose invece di discutere con la controparte e col presidente Lucchini?
«Non l’ho mai visto», mi ha risposto. Capisco che i grandi dirigenti non
possono incontrarsi tutti i giorni con i loro dipendenti, ma parlarsi è
necessario. Il mio augurio in quella puntata di Domenica in e ancora
oggi è che la direzione della Bisider si incontri non solo e non tanto con i
sindacati, ma con i lavoratori di quella fabbrica, mettersi seduti attorno a un
tavolo.
Dopo questa
trasmissione di Domenica in alla Bisider c’è stato uno sciopero.
Guardi, lei può anche considerarmi conservatrice, ma io non sono affatto per il
ritorno alla guerra sociale. Si può e si deve sempre discutere e ragionare fino
a raggiungere un’intesa.
Poi è arrivata la
lettera della Bisider, che Ottone ha tetto, ed è arrivata anche una
risposta della Fiom e della Firn di Brescia. La leggerete oggi, domenica?
Certamente. Ottone aveva letto la prima lettera e io leggerò questa seconda.
Senta, non è un po’
orgogliosa del fatto che dopo la vostra trasmissione alla Bisider abbiano ripulito
i locali, messo l’infermeria e forse anche la mensa?
Non mi sentirò soddisfatta fino a quando la direzione della Bisider non si
incontrerà con gli operai. Ma insisto ancora — e non mi importa nulla delle
vostre possibili critiche di sinistra — penso che ci voglia calma. Siamo nel
1986 e anche gli operai se vogliono guadagnarsi il rispetto o l’ampliamento dei
propri diritti devono avere calma e gesso, come dicono i giocatori di biliardo.
Ma lei pensa che
questo famoso incontro al quale tiene tanto avverrà o no?
Quel che penso non glielo dico, ma mi auguro fortemente che avvenga.
DUELLO ALL' ULTIMO DOSSIER TRA LUCCHINI E IL SUO OPERAIO
BRESCIA Bisider, una storia senza fine. O i Buddenbrock alla
tondinara. Prima si va tutti a Domenica In, poi a piazza della Repubblica,
nella ex casa del fascio oggi sede della Camera del Lavoro, un palazzaccio che
ridonda colonne e graniti un po' sbrecciati. Su al primo piano, salone Buozzi:
il sindacato parla, espone le ragioni dell'Operaio Varianti Mario, reo di aver
detto in televisione che lavorare nella fabbrica del Padrone Lucchini non è lo
stesso che coglier fiori. Il sindacato ora presenta un dossier, allegando 34
documenti: la risposta alle pagine pubblicitarie di venerdì 31 ottobre, volute
dalla Bisider le bugie hanno le gambe corte... e la lingua lunga. Con inedite
foto del locale mensa, lindo da ricordare certe pensioni riminesi: perché mai
allora il pretore del lavoro Annalisa Terzi, dopo un sopralluogo (21 maggio
1986) scrisse a proposito dei locali dove entravano dipendenti a consumare il
pasto: si tratta di locali annessi e comunicanti con locali di produzione con
pavimenti luridi, coperti di immondizia, dotati di tavoli sporchi di grasso delle
macchine di produzione? E ancora: l'Operaio disse che alla Bisider mancavano
adeguate strutture igienico-sanitarie, ed infatti ecco testimonianze di ex
operai, ecco ispezioni delle Usl, ecco la guardia di portineria che per gli
infortuni leggeri si trasforma in infermiere: per andare a far pipì, dice
l'Operaio, Occorre il permesso del capo con il controllo delle guardie. Più che
una fonderia, una caserma. Per arrivare al caso del Varianti Mario e dei suoi
dati relativi alle voci dello stipendio: questi dati noi li forniamo su
autorizzazione dello stesso Varianti osservano non senza ironia i capi del
sindacato bresciano mentre l' azienda ha dato pubblicità senza nessuna sua
autorizzazione.... Varianti, aveva fatto scrivere il Padrone, è stato in ferie 274
ore. Per forza, risponde il sindacato, il contratto dei lavoratori siderurgici
ne prevede 268 di ore: una buona quota di queste vacanze sono dovute a una
imposizione unilaterale dell'azienda che nel mese di maggio dell' 86 ha messo
in ferie tutto il reparto di varianti per 15 giorni, rifiutando ogni
discussione e trattativa, come da lettere allegate. E inoltre, nelle ore
elencate manca la Cassa Integrazione che pure Varianti ha effettuato. Forse che
non si vuol far sapere che in un'azienda di Lucchini c' è cassa integrazione?.
Risultato: per Lucchini nelle tasche di Varianti dovrebbe entrare la paga netta
media mensile (calcolata su dodici mensilità) di 1.462.723, per l'Operaio che i
conti li ha fatti ogni mese, i soldi ricevuti sono stati 1.147.000 di media da
gennaio a settembre. Se Varianti non avesse fatto sciopero per 99,5 ora, se la
Bisider avesse retribuito tutte le 176 ore di cassa integrazione (invece di
pagarne 96), al Varianti sarebbe arrivato uno stipendio di un milione e 240
mila lire. Questo raccontavano ieri i dirigenti della Fiom-Fim, non quelli
della Uilm (come vedremo, un'assenza significativa). Arriva l'una, dopo due ore
di serrata conferenza stampa pro Operaio. Si emigra al lussuoso e centralissimo
hotel Vittoria. Anche qui si sale al primo piano. Altro salone, questa volta
tutto specchi e velluti, nonché gentil nome, delle Rose. Ci attende Ugo
Calzoni, consigliere della Bisider, braccio destro del Padrone. Luigi Lucchini
è assente, oggi parte per la Cina. E poi, quel che riferisce Calzoni è come se
lo pronunciasse lo stesso presidente della Confindustria... Insomma, il duello
è continuato. Colpa del mio carattere impetuoso, ammette Calzoni. Una sfida
senza apparente soluzione, come in quel film inglese dove Keith Carradine
ufficiale napoleonico ha un rivale irriducibile in Harvey Keital, si affrontano
per anni nelle pause delle battaglie di Buonaparte, ferendosi ma mai a morte.
Se Raffaella Carrà davvero pensa di risolvere questo conflitto fra azienda e
maestranze, fra metallurgici e padroni delle ferriere portando i duellanti
davanti alle telecamere di Domenica In, allora dice Calzoni, non ha capito
proprio nulla: la signora Carrà faccia il suo mestiere e lasci a noialtri il
compito di dirimere le questioni aziendali, ha commentato con inesistente
diplomazia Calzoni. Sull' altro fronte c' è infatti un sindacato che accusa
pesantemente Lucchini e però auspica di concludere la vicenda al più presto:
Non vogliamo operazioni spettacolo, siamo pronti ad un faccia a faccia solo se
questo sarà l'inizio della trattativa dicono i dirigenti della Fiom-Fim di
Brescia, noi siamo disponibili a chiudere col passato purché ci sia un futuro
diverso. Apriti cielo. Ugo Calzoni sembra d'accordo: Certo, bisogna chiudere
questa vicenda che non ha nulla di costruttivo e propositivo. Ma noi non
possiamo far finta che nulla sia successo, con quello che si è scatenato da
quando noi abbiamo la Bisider. Vogliamo che le relazioni industriali siano meno
tribolate. Ad un patto: che si cambino gli interlocutori. Con questo sindacato,
con certa gente, con la Fiom io non discuto. Altrimenti la nostra sarà davvero
una scuola di antisindacalità. Mica male come inizio di un'eventuale
trattativa... Calzoni se la prende senza mezzi termini con il bolognese Giorgio
Cramaschi, segretario della Fiom bresciana che nel 1979 lo bloccò davanti all'
ingresso della Bisider occupata dalle maestranze apostrofandolo: Lo Stato dà il
titolo, ma il possesso siamo noi a deciderlo così ricorda Calzoni. Erano i
giorni del passaggio dalle Partecipazioni Statali al gruppo Lucchini, trenta
giorni durò l'occupazione, dopodiché sette anni di controversie, ricorsi al
pretore del lavoro, denunce, ripicche, decisioni unilaterali aziendali, sette
anni di incomunicabilità. Con chi vuole impedire la mediazione istituzionale e
predica la conflittualità io non tratto. Io non ce l'ho con Varianti, ottimo
operaio, strumento di chi non è capace di assumersi le proprie responsabilità.
Se lavorasse e non scioperasse, e facesse quindi tutte le 173 ore al mese,
guadagnerebbe nette la cifra che abbiamo pubblicato. Siamo stati costretti a
quell' azione per difendere la nostra immagine, non per arroganza o per
prevaricazione bensì per stato di necessità. La verità è che alla Bisider noi
abbiamo cambiato le regole del gioco, tagliando il cordone ombelicale a certo
sindacalismo delle macerie.... Dopodiché, le cifre della Bisider, anticipazioni
cioè del bilancio che fra qualche giorno verrà approvato, dove si scopre che
per le due pagine pubblicitarie si è sborsato lo 0,022 per cento del fatturato,
meglio una somma pari a quanto non si produce in due ore di sciopero in
acciaieria.
dal nostro inviato LEONARDO COEN04 novembre 1986 sez.
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1986/11/04/duello-all-ultimo-dossier-tra-lucchini-il.html
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