Alcuni operai ArcelorMittal fanno proprie le ragioni dell'azienda che
giustifica i suoi interventi di attacco al lavoro degli operai a causa
della crisi dell'acciaio, dei dazi messi dagli Usa, per il mercato...
Da
qui si passa facilmente a ritenere inevitabile che il padrone riduca la
produzione, metta in cig gli operai... Non è colpa sua... E' la
crisi...
E' vero che c'è la crisi dell'acciaio, è vero
che Trump ha messo i dazi, è vero che il mercato si restringe e viene
occupato da altri produttori, MA
E' proprio chi provoca le crisi che si lamenta delle crisi!
Allora cerchiamo di capire.
Alle radici delle crisi, come di questa che dura da parecchio tempo, vi sono i limiti e le contraddizioni del capitale stesso.
Per
il capitale la produzione ha come solo e unico scopo il profitto, non
gli interessa il soddisfacimento dei bisogni sociali. La base principale
della crisi è la contraddizione tra uno sviluppo delle forze produttive
e della produzione sempre più grande e i rapporti di produzione; per
cui per il capitale ciò che conta della produzione è la realizzazione
privata del profitto.
Non è che c'è troppo acciaio in generale, c'è troppo rispetto alla realizzazione del capitale investito.
Scrive
Marx: “non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto
alla popolazione esistente. Al contrario. Se ne producono troppo pochi
per soddisfare in modo decente e umano la
massa della popolazione” Il
punto è un altro: “vengono prodotte troppe merci per potere, nelle
condizioni di distribuzione e nei rapporti di consumo peculiari della
produzione capitalistica, realizzare il valore e plusvalore in esse
contenuti e riconvertirli in nuovo capitale”.
Sono insomma i
rapporti di produzione (e quindi quelli di distribuzione e di consumo)
che caratterizzano la società capitalistica a rappresentare il
principale ostacolo allo sviluppo delle forze produttive.
La
crisi è il momento in cui tale contraddizione tra forze produttive e
rapporti di produzione si manifesta, e al tempo stesso, il mezzo brutale
attraverso cui si ripristinano le condizioni di accumulazione del
capitale: “le crisi sono sempre soluzioni violente soltanto temporanee
delle contraddizioni esistenti ed eruzioni violente che servono a
ristabilire l'equilibrio turbato” (Marx). Come? Profitto e accumulazioni
vengono ripristinate per mezzo della distruzione di capitale e di forze
produttive: licenziamenti, abbassamento dei salari, chiusure di
fabbriche, ecc.
Sul mercato mondiale avviene una acuta
lotta di concorrenza tra i capitali: il più forte scaccia il meno forte,
si appropria di fette di mercato, sbaraglia i capitalisti esistenti. Ma
in questa lotta non c'è il cattivo e il buono, non è una questione
morale o di chi ha ragione. Mittal, finora il più grande produttore di
acciaio nel mondo, ha sbaragliato, fatto fuori eccome altri capitalisti,
per divenire tale; come Riva e più di Riva non ha guardato in faccia a
nessuno, si è appropriato di fabbriche a prezzi irrisori, ne ha fatto
chiudere altre, ha sfruttato, spremuto fabbriche finchè potevano
produrre e consentivano profitto, senza metterci granchè di propri
capitali. Anche Mittal ha messo una sorta di "dazi" protettivi. Ora si
lamenta dei dazi imposti dagli Usa di Trump e dell'occupazione dei
mercati da parte di altri paesi, la Turchia, la Cina; ma prima ha fatto
lui la guerra!| E ha usato tutti i mezzi, leciti e illeciti.
(Dice
Marx) “...il capitale tende a trascendere sia le barriere e i
pregiudizi nazionali, sia l'idolatria della natura, sia il
soddisfacimento tradizionale, modestamente chiuso entro limiti
determinati, dei bisogni esistenti, e la tradizionale riproduzione di un
vecchio modo di vivere. Nei confronti di tutto ciò esso è distruttivo e
agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tutte le
barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l'espansione
dei bisogni, la molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo
scambio delle forze della natura e dello spirito”.
Ma
l'universalità alla quale il capitale tende irresistibilmente “trova
nella sua stessa natura ostacoli che ad un certo livello del suo
sviluppo metteranno in luce che esso stesso è l'ostacolo massimo che si
oppone a questa tendenza e perciò spingono al suo superamento”. “Il vero
limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è il fatto
che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di
partenza e punto d'arrivo, come fine della produzione” (Marx)
La
crisi è il momento in cui si manifestano le contraddizioni del
capitalismo e i limiti allo sviluppo del capitale che sono connaturati
al capitale stesso.
Per far fronte alla crisi, il
capitale, Mittal, licenza, mette in cassintegrazione, taglia cioè il
costo del lavoro, taglia i salari, mentre intensifica il lavoro degli
altri operai.
La crisi iniziata nel 2007 ha assunto col
passare degli anni le caratteristiche di una vera e propria crisi
generale. Attraverso di essa si è verificata una enorme distruzione di
capitale su scala mondiale. La distruzione di capitale che si verifica
nelle crisi non è un accidente, ma una condizione necessaria al fine di
ripristinare condizioni più elevate di redditività del capitale
investito.
Questa distruzione è di due tipi.
La
distruzione di “capitale reale”, “in quanto il processo di riproduzione
si arresta, il processo lavorativo viene limitato o talvolta interamente
arrestato, viene distrutto capitale reale. Il macchinario che non viene
usato non è capitale. Il lavoro che non viene sfruttato equivale a
produzione perduta. materia prima che giace inutilizzata non è capitale.
Costruzioni che restano in utilizzate (altrettanto quanto nuovo
macchinario costruito) o restano incompiute, merci che marciscono nel
magazzino, tutto ciò è distruzione di capitale” (Marx).
Questo
aspetto della crisi “si risolve in una diminuzione reale della
produzione, del lavoro vivo – allo scopo di ristabilire al giusta
proporzione tra lavoro necessario e pluslavoro, su cui in ultima analisi
tutto si fonda” (Marx).
Tale proporzione può essere ristabilita
in quanto la crisi comporta licenziamenti di massa e la creazione di un
esercito industriale di riserva: da questo discende una diminuzione del
potere contrattuale dei lavoratori, e pertanto un aumento della quota
del lavoro non pagato e del saggio del plusvalore.
Durante la
crisi e per superare la crisi chi ci perde sono solo i lavoratori e le
masse popolari, con aumento dei prezzi (a causa della distruzione di
merci, quelle restanti aumentano di prezzo), indebitamento e
strozzamento da parte di usurai legali (banche) e illegali, ma
soprattutto con licenziamenti e abbassamento dei salari.
Per
far fronte alla crisi e alla guerra commerciale, i capitalisti
pretendono interventi degli Stati a loro favore. Così vediamo Mittal che
se la prende anche con l'Europa perchè non fa una adeguata guerra ai
dazi. Ma, primo, il problema è sempre dei rapporti di forza tra
imperialismi, gli Usa sono più forti, sicuramente più forti
dell'imperialismo italiano; secondo se l'Italia, l'Europa rispondesse
con delle contromisure, gli effetti di queste ricadrebbero sempre sui
lavoratori, in termini sempre di favorire licenziamenti, chiusura di
fabbriche, riduzione del costo del lavoro, ecc.
“Per tenere
su i prezzi (per es. dell'acciaio) - dice Marx - lo Stato dovrebbe
pagare i prezzi in vigore prima dello scoppio del panico commerciale e
scontare delle cambiali che non sono più altro che il controvalore delle
bancarotte altrui. In altre parole, il patrimonio dell'intera società,
che il governo rappresenta, dovrebbe ripianare le perdite subite dai
capitalisti privati” (Marx).
(E aggiungono Marx ed Engels) “E'
proprio bello che i capitalisti, che gridano tanto contro il “diritto al
lavoro”, ora pretendano dappertutto “pubblico appoggio” dai governi...
facciano insomma valere il “diritto al profitto” a spese della
comunità”.
L'intervento dello Stato in soccorso dell'economia
capitalista, del profitto attraverso soprattutto misure che
impoveriscono i lavoratori e le masse popolari in realtà confermano il
ruolo dello Stato è unicamente a difesa degli interessi della classe
dominante.
La crisi attuale dell'acciaio, quindi, fa parte integrante del funzionamento normale del modo di produzione capitalistico.
"...
la sola vera soluzione della crisi può venire dall'intendere che il
capitalismo è il problema e dall'operare di conseguenza: ossia per il
superamento di questa “ultima configurazione servile assunta
dall'attività umana, con l'obiettivo di far sì che i produttori
assoggettino la produzione – che oggi li sovrasta come una “legge cieca”
al “loro controllo comune come intelletto associato” (Marx).
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