Vincenzo Boccia, presidente della Confindustria propone ai sindacati un nuovo patto per il "lavoro", una sorta di fase due del "patto di fabbrica" del marzo scorso. Con i sindacati - ha detto - «c’è un tavolo aperto, dovremmo continuare a parlare dell’evoluzione del patto per la fabbrica, che includa anche la partecipazione alle politiche industriali e, si spera, la mai attuata norma sulla rappresentanza delle imprese».
Proprio in una fase - che dura da tempo e il cui futuro è sempre più nero (vedi anche le statistiche ufficiali sull'occupazione) - in cui tanti lavoratori vengono licenziati dal nord al sud o bene che vada si aggiungono alla marea di lavoratori in cassintegrazione, e anche la misera sponda dei contratti precari, a termine è venuta meno col "decreto dignità" (che non ha certo obbligato i padroni a mettere fine al loro abuso assumendo i lavoratori a termine), in una fase in cui tante vertenze sono sul Tavolo del Mise, la parola "lavoro" in bocca al capo dei padroni non può dire certo difesa e miglioramento dei lavoratori, dei posti di lavoro, delle condizioni di lavoro, ma ha un solo significato: difesa dell'economia dei padroni.
Questa proposta Boccia, guarda caso, l'ha fatta in un incontro organizzato da Intesa Sanpaolo in merito alla nomina del nuovo leader della Cgil, la cui nomina a segretario sembra essere stata accolta
bene dalla Confindustria, e fa capire, al di là dei toni movimentisti, gridati di Landini, quale politica sindacale porterà avanti la Cgil.
I sindacati confederali, tutti, e in primis proprio la Cgil, si dicono pronti a raccogliere la proposta:
Cgil: «Gli importanti accordi sulle relazioni industriali e sulle regole della rappresentanza raggiunti con Confindustria e con tutte le altre associazioni imprenditoriali pongono la questione di aprire la fase della loro piena applicazione. Oltre ad una legge capace di misurare la rappresentanza sindacale e datoriale e dare certezza alla validità erga omnes degli accordi sottoscritti»
Per la Cisl, quella di Boccia è «un’apertura importante... Serve un grande Patto sociale, al cui centro va messo il lavoro, per la crescita in modo da scongiurare i rischi di una nuova fase di recessione».
UIL Carmelo Barbagallo: «È giunto il tempo di un vero patto per il lavoro: noi siamo pronti a fare la nostra parte.
Ma cosa è stata la "fase uno", il "patto di fabbrica"? Riprendiamo da alcuni articoli usciti su questo blog a febbraio/marzo 2018.
"...Questo "patto di fabbrica" - meglio chiamarlo patto con i padroni":
codifica il pesante attacco al salario della stragrande maggioranza dei lavoratori; il salario verrà ridotto per tutti a "salario minimo", a cui si potranno eventualmente aggiungere forme di welfare che di fatto sono soldi sottratti al salario dei lavoratori;
opera una divisione tra lavoratori che neanche ai tempi delle "gabbie salariali" era così rilevante, dato che non solo ogni territorio avrà il suo salario rapportato allo stato economico delle aziende, ma ogni azienda darà un salario diverso - fino, con la questione della produttività anche individuale, a dare a stessi lavoratori che lavorano in una stessa fabbrica o posto di lavoro un salario differente.
Ciò che c'è di certo e, questo sì, unificante è l'aumento dello sfruttamento (nascosto dietro il nome "incremento della produttività").
E' chiaro che perchè tutto questo passi senza ostacoli, questo "patto" doveva mettere e mette il "catenaccio" alle rappresentanze sindacali, leggi sindacati di base, di classe (in particolare a quelli che non hanno accettato il TU sulla rappresentanza già firmato il 10 gennaio 2014). I mass media fanno passare questo punto dell'accordo soprattutto come "certificazione della rappresentanza datoriale"; ma in realtà mentre questa certificazione è solo fumo, rinviata sine die, ciò che è certa e agisce da subito è il nuovo pensante attacco al sindacalismo di classe, ai diritti sindacali dei lavoratori.
L’UNITA’ CORPORATIVA DEL “PATTO DI FABBRICA”
Boccia, presidente della Confindustria: "L'intesa è un esempio di come si possa passare dalla stagione del conflitto a quella del confronto...".
Sull'accordo sulla nuove relazioni industriali non sono da meno le reazioni entusiaste di Camusso (Cgil); Furlan (Cisl) e di Barbagallo (Uil).
La realtà è che centralità del capitale, dei suoi interessi, le sue line-guida (meglio chiamarle diktat) ben espresse nell'Assise generali di Verona della Confindustria, hanno trovato subito una prima concretizzazione con questo "Patto di fabbrica".
Così come chiariscono le inguardabili strette di mano e sorrisi per la nuova unità ritrovata di Camusso, Furlan e Bentivogli, sintetizzata dalla Cisl: "Noi pensiamo che questo accordo concorra alla crescita del paese, creando le condizioni per aumentare la competitività delle imprese con la qualità del lavoro (cioè il lavoro degli operai al servizio della competitività, del profitto dei padroni - ndr)".
Ma leggiamo cosa scrive entusiasta il tristemente famoso "Tiziano Treu, attuale presidente del Cnel, si Sole 24 Ore: "L'accordo riconosce la possibilità e l’utilità di diverse sperimentazioni... a questo proposito i contratti di categoria hanno autonomia di individuare i percorsi più adatti... l’accordo prevede che le parti considerano «una opportunità la valorizzazione di forme di partecipazione nei processi di definizione degli indirizzi strategici dell’impresa». Questa è non solo una novità ma un obiettivo decisivo di fronte alle innovazioni digitali, specie nelle imprese 4.0, che sono destinate a cambiare la geografia dei sistemi produttivi e del lavoro..."
Cioè, sulla pelle dei lavoratori, delle lavoratrici, azienda e OO.SS. faranno "sperimentazioni", con un sindacato che parteciperà in prima persona agli "indirizzi strategici dell'impresa".
Questo si chiama "CORPORATIVISMO", che non solo subordina ancora più strettamente le condizioni dei lavoratori agli interessi del profitto padronale, ma chiama una parte di essi a farsi agenti, pratici, politici, ideologici, tra la massa dei lavoratori di tali interessi.
A questa politica corporativa chiaramente serve irregimentare la rappresentanza sindacale che decide e tratta.
"A tal fine - dice ancora Treu - l’intesa affida al Cnel due compiti rilevanti: effettuare una precisa ricognizione sia dei perimetri della contrattazione collettiva di categoria sia dei soggetti stipulanti i contratti nazionali dei diversi settori per verificare l’effettiva rappresentatività sulla base di dati oggettivi".
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