Mettiamoci le scarpe!
Vi domandate perché questo titolo? A cosa si riferisce? Cosa propone?
Quella frase si sente risuonare, ogni tanto, nelle carceri. È un
grido che interrompe i monotoni rituali del carcere e viene gridata
dalle persone detenute nelle situazioni di tensione massima.
Quando nel corridoio del reparto di un carcere echeggia il grido “mettiamoci le scarpe”
vuol dire che si sono avvertiti movimenti delle guardie che si
preparano a caricare per un pestaggio oppure per una perquisizione
devastante o per un trasferimento improvviso.
Normalmente in cella le persone detenute stanno in ciabatte, del
resto che
senso avrebbe stare vestiti e calzati di tutto punto per 20 ore al giorno senza dover fare nulla? Ma quando si profila la possibilità di una colluttazione, affrontarla in ciabatte non è gradevole, molto meglio affrontarla con vestiti, meglio se consistenti e con le scarpe ben allacciate.
senso avrebbe stare vestiti e calzati di tutto punto per 20 ore al giorno senza dover fare nulla? Ma quando si profila la possibilità di una colluttazione, affrontarla in ciabatte non è gradevole, molto meglio affrontarla con vestiti, meglio se consistenti e con le scarpe ben allacciate.
Mettiamoci le scarpe è quindi un grido d’allarme, o
meglio, è un appello a prepararsi per affrontare uno scontro, una lotta
ed è meglio avere scarpe e vestiti adeguati.
Perché oggi lanciamo questa esortazione per chi sta dentro ma anche per chi in libertà?
Gli intendimenti delle compagini di governo e degli apparati statali,
negli ultimi decenni, in questo paese, ma non solo, stanno arrivando a
una prima conclusione: i decreti Minniti sul “daspo urbano” e
sulla criminalizzazione del vagabondaggio, dell’accattonaggio, di chi
disegna sui muri e di chiunque non rispetta l’ordine, si sono fatte più
rigide. La messa a punto del Daspo ha visto coinvolti e partecipi ministri, governi e apparati statali degli ultimi vent’anni, nessuno escluso.
Il precedente governo, per mezzo del ministro della giustizia
Orlando, aveva messo in moto una gigantesca girandola riformatrice su
alcuni aspetti del carcere, in sostanza si voleva dare attuazione alle
leggi del 2012 e 2014 che dovevano permettere l’accesso alle misure alternative (restrizioni della libertà di movimento e di frequentazione da eseguirsi fuori dal carcere,
nel proprio domicilio) per chi fosse a 4 anni dal termine della pena,
oppure avesse subito una condanna inferiore ai 4 anni, dando maggior
potere discrezionale (nel concedere oppure no) alla magistratura di
sorveglianza su ogni condanna di ciascun/a recluso/a.
Quella riforma dell’Ordinamento Penitenziario (O.P.) approvata dal
Parlamento precedente (legge 23 giugno 2017, n. 103 ) con cui si
delegava il governo ad emettere decreti esecutivi, in realtà non ha mai
visto la luce. Lanciato il sasso, la maggioranza di allora ha nascosto
la mano, preferendo dare di se un’immagine manettara per racimolare voti
nelle elezioni che si prospettavano. Voti che poi non sono arrivati,
per la semplice ragione che l’onda manettara, nutrita e coccolata dai
media e dai politici, ha preferito premiare chi era più esplicito nel
gridare “più carcere”, “più repressione”, “più militarizzazione”. Quella
girandola riformatrice di Orlando possiamo catalogarla nelle
rappresentazioni proprie della società dello spettacolo!
Riforme No! Controriforme Si!
È questo, in
sintesi, il programma su cui i neo-governanti, manettari doc., si stanno
impegnando. Il nuovo ministro della giustizia Alfonso Bonafede, ha
affermato, in diverse interviste “stop alle riforme perché minano alla
base il principio della certezza della pena“ (dimostrando, anche lui, di non conoscere affatto il significato di questa espressione), proponendo di:
–dare impulso all’edilizia penitenziaria per costruire nuove carceri;
-ripenalizzazione dei reati lievi, come ad esempio furti e
scippi, tolti da tempo dal codice penale, affiancati da aumenti delle
pene per molte violazioni.
-revisione (in negativo, cioè restringimento) di tutte le misure
premiali, introdotte dal 1986 con la legge Gozzini e successive.
-linee guida sul cd. 41bis così da ottenere un maggior ed effettivo rigore nel funzionamento del regime del carcere duro.
-inoltre, le limitazioni al diritto d’asilo, i respingimenti e
confinamenti, le misure discriminatorie nei confronti dei rom,
l’abbassamento della responsabilità penale per i minori (a 13 anni in
galera?), la difesa armata sempre legittima.
Gli avvocati penalisti, per bocca del presidente dell’Unione camere
penali italiane, l’avvocato Beniamino Migliucci, denunciano una “svolta
giustizialista” nel contratto di governo, perché prevede aumenti di
pena, costruzione di nuove carceri, più carcere per tutti e prescrizione
all’infinito
Gli ultimi decenni hanno dimostrato, anche ai più scettici, che il
carcere non è riformabile e che la repressione non si può mitigare.
Questa è la realtà! I tempi che i spettano non saranno piacevoli.
Rimane la lotta!
Questa sì! Partecipata, massiccia, continua! La lotta può incrinare i progetti
criminali delle classi al potere. Non lotta difensiva per cercare di
attenuare i colpi della repressione, anche perché l’esperienza ha
dimostrato che non paga! Lotta per resistere agli attacchi repressivi e
rilanciare l’offensiva!
Sul terreno della repressione e del carcere vuol dire costruire:
un movimento per l’abolizione della galera!
Un movimento che raccolga e rilanci tutte le lotte in corso dentro e
fuori le carceri sui problemi scottanti (dall’abolizione dell’ergastolo,
alla lotta al sovraffollamento, ai troppi suicidi, fino alle
rivendicazioni specifiche di ogni Istituto penitenziario) e li rilanci
nel percorso che porta all’obbiettivo dell’abolizione del carcere.
Una battaglia che deve costruire unità tra le persone carcerate tra
loro e con le persone fuori dal carcere, attualmente “a piede libero”.
I luoghi di questa battaglia sono i posti di lavoro e i territori che
abitiamo. Nelle strade di ciascun quartiere e di ogni borgo, vicino o
lontano dal carcere, deve risuonare la volontà, sempre più diffusa, di
metter fine alla vergogna della reclusione.
Abolizione di ogni carcere e ogni altro strumento che toglie la libertà: Cie, hotspot, manicomi, Rems, ecc., ecc.
Un movimento che ravvivi le relazioni vis a vis, le discussioni
guardandoci in faccia, tralasciando, sempre più, gli intrattenimenti con
i cosiddetti “social” che, in realtà, costringono all’isolamento,
all’emarginazione, alla ghettizzazione.
Con le scarpe ben allacciate, portiamo i nostri piedi sulle strade!
Uniamo i nostri corpi e le nostre voci e urliamo sotto le carceri a chi
vi è rinchiuso e rinchiusa che siamo con loro per abolire il carcere e
trasformare la società repressiva!
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