CONTRO LA REPRESSIONE, LA SOLIDARIETA' E' LOTTA!
Lunedì
21 marzo il PM Coletta ha avanzato le richieste di
condanna nel Processo
contro il movimento fiorentino: le lotte politiche
e sociali, studentesche,
le mobilitazioni antifasciste e antirazziste,
la solidarietà, i cortei e i
presidi organizzate
a Firenze dal 2009 al 2011 hanno, per l’accusa, un
prezzo di 71 anni e 9
mesi di carcere.
La costruzione dell’inchiesta
ruota attorno all’applicazione del reato
di associazione a delinquere, utile
alla criminalizzazione stessa delle
lotte ed a una gestione politica di
Procura e Digos, mentre le misure
cautelari del 4 maggio e 13 giugno 2011
assumono
un significato determinante proprio all’interno di quella gestione
politica.
Le misure cautelari vengono imposte, richieste dal PM e
giudicate
necessarie dal GIP, per tre ragioni: pericolo di fuga, di
inquinamento
delle prove o di reiterazione del reato. La loro applicazione
quindi non
si basa sull’analisi di fatti specifici bensì sul
giudizio
politico e sociale della persona che il giudice si trova di
fronte: conta
“chi sei”, la tua appartenenza politica, il tuo lavoro, i
tuoi rapporti, sia
politici che personali.
La misura cautelare quindi è un dispositivo
punitivo che anticipa la
condanna, principalmente strumento appunto di
coercizione preventiva,
utile alla controparte per cercare sin da subito di
esercitare pressione
sugli indagati, arrivando agli interrogatori
di
garanzia in uno stato di privazione o restringimento di libertà in
cui può
essere sicuramente più facile che qualcuno scelga strade
individuali, di
differenziazione o dissociazione.
Nel caso del Processo contro il
movimento fiorentino va sottolineato
come su 86 compagn* indagat* , con a
carico 35 misure cautelari, tutti i
compagni interrogati si sono avvalsi
della facoltà di non rispondere e
tutti gli 86 sono arrivati a processo con
rito
ordinario, rifiutando patteggiamenti e riti abbreviati.
E’
necessario, come sempre, affrontare questa inchiesta e questo
processo
individuando il contesto e le strategie repressive che vi
stanno dietro, la
cornice all’interno della quale la strategia
repressiva si articola, gli
elementi e gli attori che ne determinano
lo sviluppo, il suo rapporto
dialettico con le fasi politiche ed
economiche.
La cornice
all’interno della quale si riadegua la strategia repressiva è
quella della
Fortezza Europea, della competizione interimperialista e
della guerra, di
cui i nostri territori rappresentano il fronte interno,
da anni investito da
tutte quelle misure
che stati e governi reputano necessarie per il controllo
sociale. E’
proprio all’interno di questo abbiamo il continuo inasprimento
della
legislazione antirepressiva e antiter che negli ultimi 30 anni ha
caratterizzato l’Italia, dove l’accentramento dei
poteri
(esecutivizzazione) e la generalizzazione del controllo si è
accompagnato con la specializzazione della repressione.
L’emergenza,
già ben oliata nel ciclo di lotte degli anni ‘70/80, è
stata leva di
consenso attraverso il quale si sono legittimati tutti i
passaggi che hanno
segnato questa continua ristrutturazione: il 41 bis, i
reati associativi, le
leggi “antimmigrazione”,
i CIE e i provvedimenti extragiudiziali, le leggi
“antistadio”, la
militarizzazione dei territori colpiti da calamità naturali
e di quelli
ritenuti di “interesse strategico” (muos, tav, discariche…), la
progressiva erosione di agibilità e libertà in cambio
di
“sicurezza”.
Lo stato e gli apparati repressivi hanno avuto la forza e la
capacità di
reclutare e cooptare all’interno delle proprie file anche nuovi
soggetti fino a quel momento estranei a compiti di controllo
poliziesco:
stiamo parlando dei controllori sugli autobus,
degli
stewards allo stadio, del personale medico addetto al TSO, di
alcune
tipologie di lavoratori coinvolti nella gestione dei CIE, i
presidi e il
corpo docente nelle scuole dopo l’approvazione della Buona
Scuola.
A
questo livello repressivo corrisponde però anche altro. Negli ultimi
mesi
abbiamo assistito ad un numero di controlli e perquisizioni
antidroga
all'interno delle strutture scolastiche sempre crescente
accompagnate da
lezioni e incontri in cui a salire in
cattedra erano direttamente agenti di
polizia con il compito di
istruire gli studenti alla “cultura della
legalità”, che ben lungi
dall'essere superpartes, rappresenta la legalità
dalla classe dominante.
Questa è la lente che dobbiamo usare anche per
andare oltre la
superficie di leggi come il Jobs Act che in realtà agiscono
proprio sul
piano del controllo e della repressione, dotando il padronato di
tutti
gli strumenti necessari per agire, in modo preventivo,
contro ogni
tentativo di organizzazione dei lavoratori che esca da un
livello di
compatibilità con le esigenze produttive.
Alla luce di questo
ragionamento, così come sul piano internazionale
lottiamo contro la guerra,
sui luoghi di lavoro e sul territorio
cerchiamo di agire nello scontro tra
capitale e lavoro, crediamo sia
imprescindibile non lasciare sguarnito il
fronte repressione
considerando la solidarietà come un elemento fondamentale
della lotta
stessa.
Lottare contro la repressione significa
analizzare e approfondire il
modo in cui si muovono gli apparati repressivi,
individuando complici e
responsabili di questa strategia compreso il governo
in carica e in
questo il Partito Democratico e il governo
Renzi.
Lottare contro la repressione significa comprendere i meccanismi
su cui
essa fa leva per metterci a tacere e isolarci, innescare divisioni e
percorsi de-solidaristici. Per questo è importante gettare lo sguardo
all'interno delle mura carcerarie perché i livelli
di divisione e
differenziazione che oggi caratterizzano il sistema
carcerario sono i
medesimi che la controparte ripropone al di fuori.
Bisogna comprendere come
i carcere sia emblema e punta emergente della
repressione stesa e di un
sistema diviso in classi.
Dove la controparte cerca di isolare, dividere
e differenziare per noi
il compito è quello di riallacciare legami e
rapporti. Questo lo vediamo
nelle carceri ma anche nella quotidianità dei
quartieri popolari o sui
posti di lavoro, dove un lungo percorso
di
spoliticizzazione e disimpegno di massa sta dando i suoi frutti amari
nella crescita di sentimenti egoistici, razzisti e xenofobi, complici
delle politiche reazionarie e guerrafondaie.
Si tratta di un
meccanismo simile a quello utilizzato durante il periodo
fascista dove lo
Stato d'eccezione e di guerra era apertamente
dichiarato. Lo Stato
d'eccezione e di guerra si sono evoluti e
trasformati fino ad arrivare noi:
lo abbiamo visto nelle fasi
storiche in cui si è alzato il livello dello
scontro di classe e lo
vediamo chiaramente ora che la guerra arriva a
colpire all'interno dei
confini della Unione Europea.
La solidarietà
è quindi essa stessa uno strumento e una pratica di
lotta. La solidarietà
dev'essere una pratica capace di tenere insieme un
ragionamento complessivo
per sapere contrapporsi alla strategia
repressiva, altrimenti corriamo il
rischio di relegarla
ai soli benefit, importanti ma non sufficienti, e
esprimerla solo nei
confronti dei propri affini e delle pratiche che
riconosciamo come
nostre.
La solidarietà invece, partendo dal carcere
e al di fuori di esso deve
tenere insieme tutti i soggetti colpiti dalla
repressione: dai
prigionieri politici fino ai cosiddetti comuni, lavoratori,
studenti,
immigrati, proletari e così via...
Questa è la tensione che
porteremo in strada il 9 aprile a Firenze,
rilanciando l'invito ad unirsi
allo spezzone che aprirà il corteo dietro
lo striscione "SOLIDARIETÀ PER CHI
LOTTA, SOLIDARIETÀ AGLI 86!"
… e ora tutti in piazza!
Le compagne e i
compagni del CPA Firenze Sud
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