e la borghesia italiana, e non solo, rende onore al suo campione. Infatti, come riporta l'Ansa di ieri: “Si è levato l'applauso nella chiesa gremitissima di S. Giovanni de' Fiorentini, quando è entrato il feretro di Giulio Andreotti, seguito dai familiari. Presenti, nelle prime file il presidente del senato Pietro Grasso, il sindaco Gianni Alemanno, Pier Ferdinando Casini, Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani e, tra gli altri, la figlia di Alcide De Gasperi, Romana. … Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha reso omaggio a Giulio Andreotti nella camera ardente allestita presso l'abitazione del senatore a vita. Molte le persone che, come il capo dello Stato, si sono recate a rendere omaggio all'ex presidente del Consiglio. A rendere omaggio allo storico leader della Dc, tra gli altri, anche il cardinale Tarcisio Bertone, Gianni Letta, Stefania Craxi, Clemente Mastella, l'avvocato Giulia Bongiorno.”
È anche grazie a politici come Andreotti che la borghesia italiana dal dopoguerra ad oggi ha potuto fare sempre grandi affari e si è sempre più arricchita sulla pelle del proletariato e delle masse popolari.
Ma quali misteri, quale assoluzione!
“... la storia di Andreotti scagionato – dice il magistrato Caselli in una intervista alla Repubblica - è una pagina non bella nella vicenda politica e giornalistica italiana. Noi portammo a processo il senatore Andreotti in base a plurimi elementi di prova. In particolare le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Francesco Marino Mannoia, che narrò di due incontri (di uno era stato testimone oculare), avvenuti in Sicilia tra lo stesso Andreotti e Stefano Bontade. Incontri che avevano per oggetto, com'è scritto nella sentenza di appello confermata in Cassazione, “la discussione di fatti gravissimi in relazione alla delicatissima questione di Piersanti Mattarella.
“Mannoia raccontò che il senatore
era andato una prima volta da Bontade per cercare di far cessare le
intimidazioni mafiose contro Mattarella, politico onesto che la mafia
aveva deciso di uccidere. E una seconda volta Andreotti incontrò
Bontade per chiedere ragione dell'assassinio di Mattarella, che si
era verificato qualche tempo prima. In nessuno dei due casi
Andreotti, a conoscenza di circostanze gravissime sull'assassinio di
Mattarella, informò mai la magistratura e gli inquirenti.”
E come ricorda perfino il Giornale di
Sicilia di ieri: “Quella sentenza storica fu infatti confermata
dalla Cassazione, il 15 ottobre 2004, ed è una verità giuridica
passata in cosa giudicata. … fatti in fondo sempre attuali, se si
considera che il 27 maggio si aprirà il processo sulla trattativa
Stato-mafia, in cui si parte proprio dall'omicidio del proconsole
andreottiano di Sicilia, Salvo Lima.”
Per non parlare di tutta l'”esperienza”
in fatto di delinquenza che già negli anni precedenti aveva
accumulato che viene in parte riportata da un articolo del
ilfattoquotidiano.it
“L’aiutino”
a SindonaStretti
i rapporti di Andreotti con Michele
Sindona,
condannato come mandante dell’omicidio di Giorgio
Ambrosoli,
commissario liquidatore della banca del finanziere legato alla mafia.
Secondo la sentenza di primo grado “è stato provato” che il
senatore Andreotti “adottò reiteratamente iniziative idonee ad
agevolare la realizzazione degli interessi del Sindona nel periodo
successivo al 1973”, così come fecero “taluni altri esponenti
politici, ambienti mafiosi e rappresentanti della loggia
massonica P2”.
Andreotti fu “attivo” nel cercare di aiutare Sindona, ci fu da
parte sua “un continuativo interessamento, proprio in un periodo in
cui egli ricopriva importantissime cariche governative”. Se “gli
interessi di Sindona non prevalsero” fu merito di Ambrosoli, che,
infatti, fu ucciso per la sua condotta integerrima. Andreotti “anche
nel periodo in cui rivestiva le cariche di ministro e di presidente
del Consiglio si adoperò in
favore di Sindona,
però non c’è “prova sufficiente che l’imputato abbia agito
con la coscienza e volontà di apportare un contributo casualmente
rilevante per la conservazione
o il rafforzamento dell’organizzazione mafiosa”.
I
rapporti con gli esattori Ignazio e Nino Salvo, legati alla
mafia
Scrive il tribunale di Palermo: “L’asserzione dell’imputato di non aver intrattenuto alcun rapporto con i cugini Salvo è risultata inequivocabilmente contraddetta dalle risultanze probatorie”. Nella sentenza di assoluzione con la vecchia insufficienze di prove si ricordano un paio di testimonianze di un faccia a faccia tra Andreotti e Nino Salvo, approfittando di un incontro pubblico nel 1979 e l’ormai famoso vassoio d’argento, regalo di nozze di Andreotti alla figlia, Angela Salvo.
Scrive il tribunale di Palermo: “L’asserzione dell’imputato di non aver intrattenuto alcun rapporto con i cugini Salvo è risultata inequivocabilmente contraddetta dalle risultanze probatorie”. Nella sentenza di assoluzione con la vecchia insufficienze di prove si ricordano un paio di testimonianze di un faccia a faccia tra Andreotti e Nino Salvo, approfittando di un incontro pubblico nel 1979 e l’ormai famoso vassoio d’argento, regalo di nozze di Andreotti alla figlia, Angela Salvo.
Come
per Sindona, anche per i rapporti con i Salvo, i giudici concludono,
però, la manca di prova certa che Andreotti abbia “manifestato ai
cugini Salvo una permanente disponibilità ad attivarsi per il
conseguimento degli obiettivi propri dell’associazione mafiosa”.
E quindi perché Andreotti ha negato qualsiasi rapporto con i Salvo?
Per “evitare ogni appannamento della propria immagine di uomo
politico”, cercava di “impedire che nell’opinione pubblica si
formasse la certezza dell’esistenza dei suoi rapporti personali con
soggetti quali i cugini Salvo, organicamente inseriti in Cosa
nostra”.
I
rapporti con i “proconsoli” in Sicilia, Salvo Lima e Vito
Ciancimino
Salvo Lima, ucciso nel marzo del 1992 a Palermo, così come prima di lui Vito Ciancimino, erano i massimi rappresentati del potere andreottiano in Sicilia. La sentenza di Cassazione, ritiene provato che “il senatore Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi referenti siciliani (Lima, i Salvo, Ciancimino) intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; che egli aveva quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; che aveva palesato ai medesimi una disponibilità non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; che aveva loro chiesto favori; che li aveva incontrati; che aveva interagito con essi che aveva omesso di denunciare le loro responsabilità”.
Salvo Lima, ucciso nel marzo del 1992 a Palermo, così come prima di lui Vito Ciancimino, erano i massimi rappresentati del potere andreottiano in Sicilia. La sentenza di Cassazione, ritiene provato che “il senatore Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi referenti siciliani (Lima, i Salvo, Ciancimino) intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; che egli aveva quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; che aveva palesato ai medesimi una disponibilità non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; che aveva loro chiesto favori; che li aveva incontrati; che aveva interagito con essi che aveva omesso di denunciare le loro responsabilità”.
L’incontro
con un boss trapanese
Il 19 agosto 1985, in un hotel di Mazara del Vallo, il ministro degli Esteri Andreotti incontra il boss Andrea Manciaracina, sorvegliato speciale e uomo di fiducia di Totò Riina. Un colloquio testimoniato dal sovraintendente capo della polizia Francesco Stramandino, che si trovava lì per la sicurezza di Andreotti: “Ricordo che rimasi un po’ sorpreso di ciò, poiché pensai che l’on. Andreotti trattava cortesemente una persona del tipo di Manciaracina, e magari poi a noi della polizia neanche ci guardava”, disse il poliziotti ai pm di Palermo. Andreotti, al contrario dei rapporti con i Salvo, in questo caso conferma l’incontro con Manciaracina e parla di un colloquio per problemi di “pesca”. Una versione “inverosimile” per i giudici di primo grado, anche se “manca qualsiasi elemento che consenta di ricostruire il contenuto del colloquio”.
Il 19 agosto 1985, in un hotel di Mazara del Vallo, il ministro degli Esteri Andreotti incontra il boss Andrea Manciaracina, sorvegliato speciale e uomo di fiducia di Totò Riina. Un colloquio testimoniato dal sovraintendente capo della polizia Francesco Stramandino, che si trovava lì per la sicurezza di Andreotti: “Ricordo che rimasi un po’ sorpreso di ciò, poiché pensai che l’on. Andreotti trattava cortesemente una persona del tipo di Manciaracina, e magari poi a noi della polizia neanche ci guardava”, disse il poliziotti ai pm di Palermo. Andreotti, al contrario dei rapporti con i Salvo, in questo caso conferma l’incontro con Manciaracina e parla di un colloquio per problemi di “pesca”. Una versione “inverosimile” per i giudici di primo grado, anche se “manca qualsiasi elemento che consenta di ricostruire il contenuto del colloquio”.
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