Scrivevamo qualche giorno fa: "Aumento della povertà nello stesso momento in cui la ricchezza prodotta dalla classe operaia di tutto il mondo è aumentata in maniera esponenziale concentrandosi sempre più nelle mani di un piccolo gruppo di capitalisti".
"Nel 2022 l'inflazione ha raggiunto livelli da record ma non possiamo dire lo stesso degli stipendi, fermi ormai da decenni e, anzi, diminuiti (-0,4 per cento) se rapportati al costo della vita, un aumento del costo della vita che non si vedeva da 30 anni. La riforma del fisco che il governo Meloni sta portando avanti poggia, tra le altre cose, sulle nuove aliquote Irpef che saranno ridotte a tre e che impatteranno sensibilmente sugli stipendi. Facendo un confronto, l'Italia è l’unico paese dell'Ue tra quelli Ocse in cui gli stipendi non sono aumentati dal 1990.
Nello stesso momento i profitti delle aziende crescono. Secondo la Confederazione dei sindacati europei, "nel 2022 i profitti reali delle imprese nell'Ue sono aumentati dell'1 per cento. I salari reali - ossia quelli calcolati sul potere d'acquisto - sono invece crollati del 2,5 per cento. E in Italia? Nel 2022, sempre secondo la Confederazione dei sindacati europei, in Italia il margine operativo lordo reale delle aziende è cresciuto dello 0,8 per cento, mentre gli stipendi sono andati nella direzione opposta, diminuendo del 2,1 per cento" A questo si aggiunge "il lento processo di rinnovo dei contratti collettivi".
Pr risposta a questa riduzione dei salari, un documento della Commissione Europea la Ue sostiene che "l'evoluzione degli utili societari suggerisce che le aziende abbiano uno spazio per ipotizzare aumenti salariali, e quindi chiede alle aziende di allargare la platea dei dividendi, distribuendoli anche ai dipendenti e aumentando così i loro stipendi.".
Una pia illusione e una cosciente deviazione. Da un lato si nasconde che l'aumento dei profitti è determinato anche dall'abbassamento dei salari, cioè dal maggiore sfruttamento che si traduce in riduzione del tempo di lavoro necessario per la conservazione e riproduzione della forza lavoro, per cui il capitale paga il salario, e ampliamento della parte del tempo in cui l'operaio lavora gratis per il capitalista; dall'altro, appunto per questo, imbroglia sia perchè i padroni puntano non a ridurre la propria fonte di profitto, ma ad aumentarla, e la crisi è un "argomento potente" per pretendere e non per dare,
sia perchè la distribuzione delle briciole va a pochissimi settori e fa scambiare un diritto dei lavoratori per una concessione del padrone, vuole far sostituire la lotta necessaria per il salario con l'appello/sollecito delle Istituzioni politiche borghesi ai padroni ad essere magnanimi.Marx nel testo "Salario, prezzo e profitto" dice che i lavoratori che lottano per aumenti del salario "non fanno niente altro che opporsi alla svalutazione del loro lavoro e alla degenerazione della loro razza". E aggiunge: "se durante le fasi di prosperità, allorché si realizzano extra-profitti, l'operaio non ha lottato per un aumento dei salari, non riuscirà certamente nella media di un ciclo industriale a mantenere neppure il suo salario medio, cioè il valore della sua forza-lavoro".
Così Marx spiega bene come la lotta per aumenti salariali è di fatto una lotta di recupero di un salario che il capitale con i suoi interventi ha già abbassato. Quindi se il l'operaio non facesse questa lotta non è solo non avrebbe un aumento del salario ma vedrebbe il suo salario ulteriormente diminuito.
Ma per convincere i capitalisti a questa "beneficenza", si usano alcune argomentazioni, tra cui quella che in fondo ciò che distribuiscono poi gli ritorna, con l'aumento dei consumi.
Sempre a livello europeo nel descrivere le cause della decrescita salariale e, quindi, dell'immiserimento della popolazione lavoratrice, si parla dell’impatto dell’inflazione e del covid sui salari e sul potere d’acquisto, e si auspica un adeguamento dei salari minimi, insieme al rafforzamento della contrattazione collettiva allo scopo di raggiungere adeguamenti salariali durante le crisi.
Altre politiche, dice l'OIL, che possono mitigare l’impatto della crisi sul costo della vita sulle famiglie includono misure mirate a gruppi specifici, come l’erogazione di sussidi alle famiglie a basso reddito per supportarle nell’acquisto di beni di prima necessità, o la riduzione dell’imposta sul valore aggiunto su questi beni per ridurre l’onere dell’inflazione sulle famiglie.
Ancora una volta, quindi, si vuole scambiare un diritto dei lavoratori agli aumenti salariali (nessuno nega che c'è stato un aumento della produttivita' che non si è riversato su un aumento dei salari, anzi, è avvenuta, come abbiamo visto, un loro diminuzione sia relativa che effettiva), per una concessione del padrone, o dei governi, bonta' loro, che se la cavano al massimo appunto con "sussidi".
In tutti i casi queste argomentazioni e descrizione delle cause, tengono da parte i profitti dei capitalisti, e si salvaguarda il loro interesse a scaricare la crisi sui lavoratori. Questo, sia nel senso che attribuendo l'immiserimento a fattori come l'aumento dell'inflazione, il covid, o gli effetti della guerra in Ucraina, fattori presentati come "oggettivi", la colpa dell'abbassamento dei salari non è di nessuno; sia chiedendo ai padroni di essere magnanimi, "perchè alla fine gli conviene...", con più salario i lavoratori consumano di più, acquistano più beni, e quindi vi sarebbe un ritorno per i capitalisti...
Alcune di queste argomentazioni in un certo senso riproducono le argomentazioni criticate da Marx, sempre nel testo "Salario, prezzo e profitto", che ponevano in relazione diretta gli aumenti del salario con gli aumenti dei prezzi. Ma in un certo senso i capitalisti sono più "marxisti" dei politici borghesi, e sanno molto meglio di loro come la lotta per il salario incide sui profitti, sul saggio di profitto, e che, quindi, se aumentano i salari si riducono i loro profitti, se diminuiscono i salari aumentano i profitti.
Riprendiamo alcuni passi della Formazione operaia su questo importante testo di Marx:
"Il valore di una merce è determinato dalla quantità totale di lavoro che essa contiene. Per una parte di questa quantità di lavoro è stato pagato un equivalente in forma di salario, per un'altra parte non è stato pagato nessun equivalente. Perciò, quando il capitalista vende la merce, egli non vende soltanto ciò che gli è costato un equivalente ma vende anche ciò che non gli è costato niente, quantunque sia costato lavoro per il suo operaio.
Questo spiega perchè gli aumenti dei salari sono sempre in rapporto a questo uso che il capitalista fa dell'operaio. Se, poniamo, il prezzo di una merce è 100, di questo 100, metà, 50, è per pagare il salario dell'operaio e 50 è gratis, è il profitto del capitalista; quando questo rapporto varia, se per esempio l'operaio con la sua lotta riesce a ottenere 60, il profitto è 40. Cioè l’aumento del salario non incide sui prezzi delle merci ma incide sul saggio di profitto, sulla quantità di profitti.
Chiaramente poi il capitalista ha una serie di mezzi con cui riprendersi quell’aumento, o con l’aumento della giornata lavorativa o con l’aumento dell’intensità del lavoro, o una combinazione di tutte e due questi aspetti per far tornare il saggio a 50 o addirittura far passare il profitto a 60 e diminuire il salario all'operaio a 40.
Ma questo, ripete Marx, è indipendente dalle oscillazioni dei prezzi che invece dipendono, questi sì, dalla domanda e dall'offerta. Benchè anche queste oscillazioni, spiega Marx, siano abbastanza temporanee, perché nel momento in cui si alzano i prezzi di una produzione, altri settori di capitalisti vedono più conveniente buttarsi su quell'altra produzione, ma a questo punto domanda e offerta si equilibrano di nuovo e anche l'aumento dei prezzi viene riassorbito.
Quindi, la lotta per gli aumenti salariali è la lotta principale della classe contro la tendenza all'immiserimento. Tant’è che Marx conclude che se la classe operaia cedesse per viltà nel suo conflitto quotidiano con il capitale si priverebbe essa stessa della capacità di intraprendere un qualsiasi movimento più grande".
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