Il ministro dell'interno italiano Piantedosi lo aveva anticipato la settimana scorsa e ha mantenuto la promessa: dopo essere stato in visita ufficiale in Turchia, oggi sbarca a Tunisi insieme al vicepremier e ministro degli esteri Tajani per una visita lampo di poche ore ma di alto livello.
Infatti i due ministri italiani oltre ai propri omologhi Othman Jerandi (ministro degli esteri) e Taoufik Charfeddine (ministro dell'interno) hanno incontrato anche il presidente della repubblica tunisino Saied, capo dello Stato ma anche capo del governo de facto.
Come dichiarato da Tajani al principale quotidiano francofono tunisino "La Presse", l'obiettivo della visita è limitare gli sbarchi di migranti provenienti dalla Tunisia sulle coste italiane e Tajani non usa mezzi termini: "32.000 migranti irregolari, di cui 18.000 di nazionalità tunisina, sono arrivati in Italia nel 2022. Nelle prime due settimane di quest’anno oltre 1.700 persone sono sbarcate in modo illegale sulle coste italiane".
Abbiamo già ricordato in un precedente articolo pubblicato su questo blog la settimana scorsa il metodo
dei "due pesi e due misure" nel trattare le centinaia di migliaia di rifugiati ucraini e le poche decine di migliaia di migranti a cui rimandiamo.Il governo Meloni così come i suoi predecessori perseguirà quindi con le pressioni sul governo tunisino per incrementare i rimpatri settimanali che attualmente si attestano intorno alle 150 unità ripartite in due voli settimanali tra Palermo ed Enfidha, in cui i migranti vengono frettolosamente identificati e rimpatriati nel giro di qualche giorno.
Tutto ciò in spregio delle convenzioni internazionali che prevedono il diritto del migrante di depositare una domanda di asilo nel paese d'arrivo. Le modalità di rimpatrio eseguite dal regime italiano sono queste sì illegali al contrario della cosiddetta migrazione "illegale" o "clandestina" che altro non è che la conseguenza di apparati normativi italiani e comunitari che contraddicono il principio di libertà di movimento sancito dalla carta delle Nazioni Unite e sottoscritto anche dall'Italia e dai paesi dell'UE.
L'Italia proporrà ulteriori finanziamenti e "doni" in natura in motovedette ed equipaggiamento per accrescere la militarizzazione transfrontaliera tra i due paesi, la presenza dei due ministri degli interni contraddice la retorica del presidente Saied di voler affrontare la questione in termini non securitari a cui hanno fatto eco i ministri italiani dichiarando: "non è soltanto un problema di sicurezza, ma per risolvere il problema bisogna intervenire alle radici” quasi a compiacere ruffianamente il loro ospite utilzzando la medesima formula.
Inoltre l'attuale regime Saied/Bouden non sta risolvendo nessuna questione sociale strategica come quella dell'occupazione, della crisi alimentare e della penuria di beni di prima necessità che potrebbe limitare tale emoraggia migratoria, al contrario la nuova finanziaria tunisina appena varata prevede lacrime e sangue per le classi sociali subalterne mentre si prospetta una "riconciliazione economica" con gli uomini d'affari corrotti legati al regime di Ben Ali.
Il secondo obiettivo della visita è rafforzare ulteriormente i legami commerciali tra i due paesi, già abbastanza intrecciati essendo l'Italia il primo partner commerciale della Tunisia negli ultimi anni. Un rapporto che sembra pendere più a favore dell'Italia avendo la Tunisia un costante aggravamento della bilancia commerciale: in particolare l'Italia rappresenta il quinto paese creditore dopo Cina, Turchia, Algeria e Russia con un "peso" di circa 2.250 miliardi di dinari tunisini (circa 676 milioni di euro) nel disavanzo commerciale della Tunisia.
Come succede sempre in queste occasioni, anche questa volta la parte italiana ha ripetuto come un disco rotto che in Tunisia sono presenti circa 900 aziende ma la novità, che denota la volontà di maggiore pervasività e penetrazione nei mercati mediterranei del governo Meloni, è la proposta di organizzare un "Business Forum in Tunisia nel 2023" sulla falsa riga di quanto già fatto poche settimane fa dal Giappone.
Ma la punta di diamante degli interessi recenti in Tunisia da parte dell'imperialismo italiano sono rappresentati dal nuovo progetto di rete sottomarina di connessione energetica "Elmed" promossa dall'Italia e finanziata dall'UE per 850 milioni di euro per aumentare le forniture di energie nel contesto della crisi di approvigionamento causata dalla guerra in Ucraina e dalle interruzioni di forniture di gas russo.
L'italiana Terna si è aggiudicata l'appalto dell'opera, ma anche l'ENI svolge "da sempre" un ruolo di primo piano nel paese, prima nello sfruttamento delle risorse petrolifere e oggi con la produzione di energia solare all'interno della retorica della green economy, Tajani ha dichiarato nell'intervista sopra ricordata che l'Italia ha intenzione di investire 105 milioni di euro in Tunisia nel settore energetico e verso le piccole e medie imprese (probabilmente con una priorità a quelle italiane).
Inoltre durante l'incontro, la parte italiana oltre a dettare tale agenda nei confronti della Tunisia, ha espresso la propria visione di ingerenza nei confronti della vicina Libia riaffermando la propria volontà di dominio regionale nel Mediterraneo: "Lavoreremo sempre insieme per la sicurezza delle frontiere, per risolvere il problema dell’immigrazione anche attraverso accordi politici che dovranno ridurre i flussi migratori dalla Libia verso la Tunisia, che dalla Tunisia si spostano verso il Mediterraneo e verso l’Italia".
Infine sul fronte del cosiddetto "soft power" Tajani ha sottolineato che in Tunisia esiste una vasta rete culturale italiana rappresentata dalla presenza dell'Istituto Italiano di Cultura, dalla Società Dante Alighieri, dall'Istituto Scolastico Italiano Hodierna e dalla presenza di tre lettori universitari, questa massiccia presenza, ha dichiarato candidamente che è al servizio del principale obiettivo di "rispondere ai bisogni professionali e di formazione delle aziende italiane presenti in Tunisia"...
D'altronde in questo sistema la cultura e la formazione non sono mai "neutre" nonostante tale pregiudizio diffuso a partire tra chi afferisce a tali settori, ma sono funzionali al profitto e al capitale.
Un incontro che rappresenta quindi un ulteriore tappa da parte dell'imperialismo italiano nel controllo del piccolo ma strategico paese nordafricano e del rafforzamento della posizione in Italia nel Mediterraneo ed in nord Africa a danno di altri imperialismi concorrenti come quello francese ed in prospettiva quello russo e cinese.
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