Mentre i migranti, donne e soprattutto bambini, continuano a sbarcare, quando ci riescono, o a morire in mare, è partita l’ennesima denuncia da parte di diverse organizzazioni non governative impegnate nei salvataggi in mare contro la politica dello stato italiano, e dei paesi europei, nei confronti dei migranti e l’accordo Italia-Libia.
L’accordo messo in campo dall’imperialismo italiano non è
naturalmente il goffo e cinico tentativo di fermare l’immigrazione via mare, ma
in realtà serve a farne per sé un “porto sicuro” (785 milioni fino ad ora!),
ciooè ad avere le mani libere per tenere i propri militari sul campo e
salvaguardare gli interessi della multinazionale ENI, innanzitutto in
concorrenza perpetua con altre multinazionali.
***
dal Manifesto del 3 febbraio 2021
Accordo Italia-Libia: 4 anni di fallimenti, abusi e
torture nel segno del cinismo della politica
L'appello. Le associazioni denunciano i risultati del
memorandum con Tripoli e chiedono di cambiare rotta
Asgi, Emergency, Medici senza frontiere, Mediterranea,
Oxfam, Sea-Watch
Il bilancio, a quattro anni dall’accordo Italia-Libia sul contenimento dei flussi migratori, è sempre più
desolante e riflette il fallimento della politica italiana ed europea, che continua a stanziare fondi pubblici col solo obiettivo di bloccare gli arrivi nel nostro paese, a scapito della tutela dei diritti umani e delle continue morti in mare. Senza disegnare nessuna soluzione di medio-lungo periodo per costruire canali sicuri di accesso regolare verso l’Italia e l’Europa.È l’allarme diffuso oggi da ASGI, Emergency, Medici Senza
Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea-Watch, che rilanciano un appello urgente
al Parlamento, per un’immediata revoca degli accordi bilaterali e il ripristino
di attività istituzionali di Ricerca e Soccorso nel Mediterraneo centrale.
“Dalla firma dell’accordo, l’Italia, in totale continuità
con l’approccio europeo di esternalizzazione del controllo delle frontiere, ha
speso la cifra record di 785 milioni euro (1) per bloccare i
flussi migratori in Libia e finanziare le missioni navali italiane ed
europee. – affermano le organizzazioni firmatarie dell’appello –Una buona parte
di quei soldi – più di 210 milioni di euro – sono stati spesi direttamente nel
paese, ma purtroppo non hanno fatto altro che contribuire a destabilizzarlo
ulteriormente e spinto i trafficanti di persone a convertire il business del
contrabbando e della tratta di esseri umani, in industria della detenzione. La
Libia non può essere considerata un luogo sicuro dove portare le persone
intercettate in mare, bensì un paese in cui violenza e brutalità rappresentano
la quotidianità per migliaia di migranti e rifugiati”.
Libia: tutt’altro che porto sicuro
Come riconosciuto dalle istituzioni internazionali ed
europee, comprese le Nazioni Unite e la Commissione europea, la Libia non può
in alcun modo essere considerata un luogo sicuro dove far sbarcare le persone
soccorse in mare: sia perché è un Paese instabile, dove non possono essere
garantiti i diritti fondamentali, sia perché migranti e rifugiati sono
sistematicamente esposti al rischio di sfruttamento, violenza e tortura e altre
gravi e ben documentate violazioni dei diritti umani. Eppure, continua ad aumentare
il contributo italiano ed europeo alla Guardia Costiera libica, che negli
ultimi 4 anni ha intercettato e riportato forzatamente nel Paese almeno 50 mila
persone, 12 mila solo nel 2020.
Molti vengono detenuti arbitrariamente nei centri di
detenzione ufficiali, dove la popolazione oscilla tra le 2.000 e le 2.500
persone. Tuttavia, meno noti sono i numeri dei detenuti in altri luoghi di
prigionia clandestini a cui le Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie non
hanno accesso e dove le condizioni di vita sono persino peggiori. La detenzione arbitraria è però solo una
piccola parte del devastante ciclo di violenza, in cui sono intrappolati
migliaia di migranti e rifugiati in Libia. Uccisioni, rapimenti, maltrattamenti
a scopo di estorsione sono minacce quotidiane, che continuano a spingere le
persone alle pericolose traversate in mare, in assenza di modi più sicuri per
cercare protezione in Europa.
Obiettivo raggiunto: nessun soccorso nel Mediterraneo
centrale
Dal 2017 – denunciano ancora le 6 organizzazioni – sono
stati spesi 540 milioni di euro dall’Italia, solo per finanziare missioni
navali nel Mediterraneo, il cui scopo principale non era quello di soccorrere
le persone. Nello stesso periodo, secondo i dati dell’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (OIM), quasi 6.500 persone sono morte nel
tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale, mentre
tutti i governi italiani che si sono succeduti hanno ostacolato l’attività
delle navi umanitarie, senza fornire alternative alla loro presenza in mare.
Persino le recenti modifiche della normativa in materia di immigrazione non
hanno di fatto eliminato il principio di criminalizzazione dei soccorsi in
mare, che era stato introdotto dal secondo Decreto Sicurezza.
Nel corso del 2020, l’Italia ha bloccato inoltre sei navi
umanitarie con fermi amministrativi basati su accuse pretestuose, lasciando il
Mediterraneo privo di assetti di ricerca e soccorso e ignorando, allo stesso
tempo, le segnalazioni di imbarcazioni in pericolo. Contribuendo così alle 780
morti e al respingimento di circa 12.000 persone, documentate durante il corso
dell’anno dall’OIM.
Infatti, la risposta delle istituzioni Ue alla crisi
umanitaria nel Mediterraneo centrale si limita alle operazioni di monitoraggio
aereo di Frontex, EUNAVFORMED Sophia e, ora, Irini, che di fatto contribuiscono
spesso alla facilitazione dei respingimenti verso la Libia. Intanto le
operazioni di monitoraggio aereo civile, seppur discontinue e anch’esse
ostacolate, nel 2020 hanno avvistato quasi 5.000 persone in pericolo in mare in
82 casi, testimoniando continui episodi di mancata o ritardata assistenza da
parte delle autorità.
Dall’Italia, nessuna notizia sulla dichiarata modifica
dell’accordo
Infine, pur di fronte al tragico fallimento dell’accordo da
anni sotto gli occhi dell’opinione pubblica – sottolineano le organizzazioni –
nulla si è più saputo rispetto alla proposta libica di modifica del Memorandum,
annunciata il 26 giugno 2020 e che a detta del Ministro degli Esteri Luigi di
Maio andava “nella direzione della volontà italiana di rafforzare la piena
tutela dei diritti umani”.
Né tantomeno sono stati resi noti gli esiti della riunione
del 2 luglio 2020 del Comitato interministeriale italo-libico, o se ci siano
stati nuovi incontri, e neppure a quali eventuali esiti finali sia giunto il
negoziato che avrebbe dovuto portare un deciso cambio di rotta nei contenuti
dell’accordo.
L’appello al Parlamento
Tenendo conto dell’attuale crisi politica, le organizzazioni
chiedono quindi al Parlamento di istituire una Commissione di inchiesta, che
indaghi sul reale impatto dei soldi spesi in Libia e sui naufragi nel
Mediterraneo e di presentare un testo che impegni il Governo a:
● interrompere l’accordo Italia-Libia, subordinando
qualsiasi futuro accordo bilaterale alla transizione politica della crisi
libica, nonché alle necessarie riforme del sistema giuridico che eliminino la
detenzione arbitraria e prevedano adeguate misure di assistenza e protezione
per migranti e rifugiati;
● dare l’indirizzo a non rinnovare le missioni militari in
Libia, chiedendo con forza la chiusura dei centri di detenzione nel paese
nord-africano;
● promuovere, in sede europea, l’approvazione di un piano di
evacuazione dalla Libia delle persone più vulnerabili e a rischio di subire
violenze, maltrattamenti e gravi abusi;
● dare mandato per l’istituzione di una missione navale
europea con chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare;
● promuovere, in sede europea, l’approvazione di un
meccanismo automatico per lo sbarco immediato e la successiva redistribuzione
delle persone in arrivo sulle coste meridionali europee, sulla base del
principio di condivisione delle responsabilità tra stati membri su asilo e immigrazione;
● promuovere la revoca dell’area di ricerca e soccorso
libica, poiché solo finalizzata all’intercettazione e al respingimento illegale
delle persone in Libia;
● riconoscere il ruolo delle organizzazioni umanitarie nella
salvaguardia della vita umana in mare, mettendo fine alla loro
criminalizzazione e liberando le loro navi ancora sotto fermo.
NOTE:
1.Il dettaglio dei fondi spesi è riportato da questa tabella
di analisi elaborata da Oxfam
MISSIONE 2017 2018 2019 2020 TOT
4 MISSIONI IN LIBIA 0
21 (Poi divenuta 20) UNSMIL 0,5 0,4 0,1 0,1 1,1
22 (Poi divenuta 21) Missione bilaterale supporto Libia 43,6 49,1 49,0 47,9 189,6
23 (Poi divenuta 22) Supporto Guardia Costiera Libica 3,6 1,6 6,9 10,0 22,1
24 EUBAM 0,3 0,3 0,3 0,3 1,1
TOTALE 4 MISSIONI IN LIBIA 47,9 51,4 56,3 58,3 213,9
MARE SICURO 83,9 84,7 85,2 79,0 332,8
EUNAVFORMED/IRINI* 43,1 42,5 41,3 24,9 151,8
SEAGUARDIAN 17,5 17,7 6,3 15,0 56,5
FONDI DEVOLUTI AD
Agenzie delle Nazioni Unite attraverso il Fondo Africa** 30,0 30,0 785,0
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