Dopo il primo incontro infruttuoso post-lockdown di fine luglio quanto la Lamorgese aveva incontrato il presidente della repubblica tunisino Kais Saied, la delegazione italiana ritorna nuovamente forte dell’appoggio diretto dell’Unione Europea per imporre al partner tunisino la solita politica migratoria: accettare i rimpatri forzati (ripresi già dal 10 agosto con il ritmo di 80 persone alla settimana) con la pretesa di aumentarne il numero.
Nelle prime note stampa si è parlato di incontro multilaterale o trilaterale, formalmente è effettivamente così se si considera che nell’incontro di ieri, presso il Palazzo presidenziale di Cartagine, hanno preso parte rappresentanti del governo italiano (il ministro degli esteri Di Maio e la ministra degli interni Lamorgese), dello Stato e governo tunisino (il presidente della
repubblica Kais Saied, il segretario di Stato con delega per il dipartimento degli affari stranieri Selma Ennaifer ed il ministro dell’interno e incaricato premier per formare il nuovo governo Hichem Mechichi), e del “governo” dell’UE (il commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato Olivér Varhelyi, e la commissaria europea agli affari interni Ylva Johansson) ma la natura di tale meeting è differente da come si presenta.
Infatti la visita congiunta di ieri a Tunisi da parte di ministri italiani e commissari europei mostra in maniera esplicita il supporto diretto delle istituzioni dell’UE agli interessi dell’Italia in Tunisia in materia di gestione di flussi migratori.
Circa le decisioni prese niente di nuovo sotto il sole
In un curioso teatrino, la ministra dell’interno italiana ripetendo le parole del presidente tunisino del precedente incontro di fine luglio, ha dichiarato che l’approccio alla questione migratoria non può essere prettamente securitario, mentre il pentastellato ministro degli esteri Di Maio ha fatto la parte del “poliziotto cattivo” riaffermando la linea italiana ormai consolidata negli ultimi 20 anni e rafforzata dagli ultimi governi di tolleranza zero verso chi “entra illegalmente”, confermando quindi tale politica o approccio securitario che ancora una volta si traduce nei rimpatri forzati come già ricordato e, nella fattispecie, con un nuovo finanziamento italiano di 11 milioni di euro che l’Italia trasferirà, dal capitolo di spesa dedicato all’accoglienza dei migranti in Italia, alla Tunisia per ammodernare ancora una volta le motovedette della guardia costiera tunisina e per l’addestramento delle forze di sicurezza a cui si aggiungerà la creazione di un nuovo sistema radar con l’obiettivo di intercettare e bloccare le imbarcazioni in acque territoriali tunisine: di fatto una politica di esternalizzazione del controllo delle frontiere italiane e conseguentemente dell’Ue in un paese terzo.
Altri 10 milioni di euro saranno invece sborsati dall’UE per quello che è stato vagamente definito “un approccio non solo securitario”, evidentemente in piena continuità con il passato nel finanziare la “quarta colonna” interna delle ONG europee e tunisine embedded che di fatto aderiscono con “forme soft” al contrasto con altri mezzi ai movimenti migratori. Spesso queste organizzazioni operanti in Tunisia “drogano ideologicamente” la gioventù tunisina con la propaganda atta a convincere sulla necessità del restare nel proprio paese, contrastando con il principio della libertà di movimento, fornendo false soluzioni quali creazioni di “start up” e roba simile.
Non ripetiamo qui quanto già scritto in post precedenti ma accenniamo ancora una volta sul ruolo negativo da un punto di vista finanziario degli IDE (investimenti diretti esteri) nel rafforzare lo status di paese neocoloniale e la dipendenza della Tunisia verso Stati imperialisti come l’Italia.
Tali decisioni chiarificano quanto siano inconsistenti e formali i “buoni propositi” espressi dal presidente della repubblica tunisino e dalla ministra dell’interno italiana per non parlare della ciliegina sulla torta di Di Maio che in pieno stile populista pentastellato ha vaneggiato di un “piano giovani tunisini” non entrando nel merito…
Quest’ultimo incontro però impone di approfondire la riflessione su due questioni.
Sfatare le illusioni sul ruolo positivo della “comunità internazionale” e dei suoi attori principali
La prima è la totale inadeguatezza di presunte soluzioni per la situazione economica tunisina che contemplino un “sostegno dall’esterno” in quanto unica “democrazia dell’area”/”rivoluzione riuscita” del 2011 che debba essere sostenuta a livello internazionale. Qui non conta la buona fede di chi propone ma la realtà concreta: chi dovrebbe sostenere in maniera disinteressata la Tunisia?
L’imperialismo italiano? Quello francese? L’Unione Europea? Questi soggetti già intervengono nel paese ma in direzione opposta: per rendere il paese ulteriormente dipendente in funzione dei propri interessi economici… In egual maniera altre potenze regionali e imperialiste che aspirano ad una maggiore penetrazione nel paese quali Russia, Cina, Turchia e Qatar, porterebbero ad un risultato finale analogo, basti guardare al ruolo che questi paesi hanno nelle rispettive zone d’influenza e d’intervento.
Inoltre bisogna mettersi d’accordo su cosa significhi “aiutare la Tunisia”… Finanziare i governi del paese che negli ultimi 9 anni (dalla caduta del regime autocratico di Ben Ali) sono espressione di un’elite burocratica e parassitaria che non diverge in natura da quella del precedente regime non è la soluzione dato che quest’ultima riproduce un sistema semicoloniale e semifeudale nel paese in cui:
– permangono profonde differenze nelle condizioni economiche regionali dove le aree urbane del Sahel (l’asse Tunisi-Sfax) sono relativamente più sviluppate in quanto hub locali dell’economia mondiale
– la produzione economica del primo e del secondo settore è orientata verso l’esportazione
– non vi è mai stata una vera riforma agraria non garantendo l’autosufficienza alimentare e la conseguente dipendenza dall’estero anche per poter sfamare la popolazione
– le aziende locali in crisi chiudono una dopo l’altra ma si spalancano le porte ai capitali stranieri che godono di enormi privilegi e contemporaneamente si privatizzano aziende strategiche svendendole agli stessi capitali stranieri, e potremmo continuare…
Queste anime belle che da un punto di vista strettamente astratto parlano di “aiuto dall’esterno alla Tunisia”, dovrebbero spiegare concretamente nella fase attuale chi dovrebbe aiutare chi e soprattutto come.
Dovrebbe risultare evidente che chi è causa del problema (i governi e le agenzie finanziarie dei paesi imperialisti quanto il governo locale complice) non può rappresentare allo stesso tempo parte della soluzione. La crescente miseria e povertà derivanti da tali scelte economiche sono la causa principale che spingono migliaia di giovani tunisini ad abbandonare il proprio paese rischiando la vita in mare a ciò si aggiunge una progressiva restaurazione dello stato di polizia che colpisce la libertà di espressione e di organizzazione nonchè di sciopero, questa realtà contraddice le argomentazioni sia degli esponenti del governo italiano come Di Maio sia di quelli dell’opposizione reazionaria dello stesso come Salvini che descrivono la Tunisia come un paese pienamente democratico nonchè “porto sicuro”.
L’Italia è un paese a “sovranità limitata”? L’Unione Europea è da considerarsi alla stregua di uno “Stato federale”?
La seconda questione riguarda invece la natura ed il ruolo dell’Unione Europea in questa faccenda e in generale.
L’Unione Europea è un’organizzazione internazionale a cui aderiscono degli Stati nazionali sovrani. Contrariamente al filone interpretativo postmodernista che a partire dagli anni ‘90 ha diffuso l’idea che gli Stati nazionali siano stati progressivamente soppiantati dalle organizzazioni internazionali nel quadro della “globalizzazione”, gli avvenimenti degli ultimi anni dimostrano che invece gli Stati nazionali sono “vivi e vegeti” e fanno valere i propri interessi particolari entrando spesso in conflitto tra loro, tale conflitto si traduce nelle cosiddette “guerre dei dazi” ad esempio ed in guerre vere e proprie. In questo la teoria leninista dell’imperialismo rimane pienamente confermata nelle sue linee generali come ad esempio per quanto riguarda la categoria leniniana delle “contraddizioni interimperialistiche” tanto attuale quanto spesso dimenticata.
In contraddizione con tale teoria e prestando il fianco alle interpretazioni postmoderniste, c’è chi invece si riferisce all’UE come ad un polo imperiale europeo a sé stante, l’ulteriore sviluppo di tale teoria è il sovranismo che a sinistra è mascherato da anti-imperialismo. Il largo spettro sovranista in Europa accomuna partiti esplicitamente fascisti, populisti di destra e di “sinistra”, partiti “comunisti” e cosiddetti antimperialisti tutti d’accordo nell’affermare che gli Stati membri dell’UE abbiano delegato a quest’ultima parte della propria sovranità, uscendo dall’Unione Europea lo Stato membro riacquisterebbe quindi la parte della propria sovranità alienata. Secondo tale ragionamento uno dei principali imperialismi al mondo, quello britannico, negli ultimi 50 anni sarebbe stato un paese a sovranità limitata…
La vicenda della pandemia ha già iniziato a far scricchiolare ulteriormente le argomentazioni sovraniste simili di un’Italia oppressa dall’Europa, inoltre l’incontro di ieri a Tunisi fornisce un ulteriore elemento a dimostrazione del fatto che le organizzazioni internazionali come l’UE non sono entità indipendenti e separate dagli Stati ma una loro emanazione. L’UE in quanto tale rappresenta il minimo comun denominatore degli interessi di tutti i suoi Stati membri, il cui risultato finale certo tiene conto che alcuni Stati hanno un peso specifico maggiore di altri.
L’imperialismo italiano evidentemente ha un peso specifico minore di Germania e Francia ma viene praticamente subito dopo avendo a sua volta un peso specifico maggiore rispetto alla quasi totalità degli altri Stati membri e via di seguito.
Quando i principali paesi imperialisti europei hanno interessi divergenti (ad es. la guerra in Libia) agiscono da sé o formando alleanze con paesi che hanno interessi convergenti, ciò è ben rappresentato dall’espressione giornalistica “l’Europa non ha una politica estera unitaria”.
L’incontro di ieri conferma inoltre che l’imperialismo italiano perseguendo il proprio interesse specifico nei confronti della Tunisia ha il sostegno dell’UE (spazzando via tutta la retorica sovranista e populista), di cui è azionista, che interviene con le “proprie” risorse finanziarie dato che l’interesse specifico italiano è concorde con l’interesse comune medio degli altri paesi dell’UE.
In tal senso anche un piccolo paese come Malta è pienamente indipendente nel perseguire il proprio interesse specifico circa la questione migranti e circa lo sfruttamento sul proprio territorio di manodopera straniera a basso costo e allo stesso tempo può benificiare della propria adesione all’UE da cui ottiene un sostegno (finanziario, politico ecc.) che gli permette di ampliare esponenzialmente l’efficacia delle proprie politiche a garanzia dei propri interessi.
Che fare allora per “aiutare la Tunisia”?
I soggetti che concretamente sostengono i migranti in vario modo in Tunisia, in Italia e in mare aperto sono rappresentati dalla costellazione di organizzazioni popolari e ONG che pur con mezzi limitati agiscono concretamente con discreti risultati.
In Tunisia così come in Sicilia i pescatori sono in prima linea nel salvataggio dei naufraghi nonostante i rischi legali a cui possono andare incontro, i pescatori della città meridionale di Zarzis in particolare negli ultimi anni si stanno impegnando in maniera costante partecipando anche a dibattiti e Forum sulla questione, un loro portavoce Chamsedine è stato pure arrestato dalle autorità italiane con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per poi essere prosciolto dalla procura di Agrigento.
In Italia i movimenti antirazzisti sostengono attivamente il diritto di circolazione dei migranti, il loro inserimento nella società d’arrivo, alcuni sindacati di base combattivi quali lo Slai Cobas per il Sindacato di Classe o il Si Cobas, organizzano vertenze collettive sia sui posti di lavoro sia vere e proprie vertenze di massa per ottenere il diritto alla circolazione sia quello di residenza.
Le ONG Sea Watch e Mediterranea oltre a salvare concretamente vite umane hanno un ruolo importante nel contrastare sul campo la politica italiana indegna dei porti chiusi.
In Tunisia tra le pochissime, se non l’unica, ONG realmente “non governativa fino in fondo”, la FTDES (Federazione Tunisina dei Diritti Economici e Sociali) ha una posizione coerente sulla questione migratoria.
In occasione dell’ultimo incontro bilaterale de facto al palazzo presidenziale di Cartagine, in una lettera aperta ha dichiarato rivolgendosi ai partecipanti: “[…] La maggior parte degli accordi firmati dalla Tunisia con l’Unione europea hanno sancito un accesso diseguale ai diritti e la disuguaglianza nella libertà di movimento. Inoltre non rispondono alle legittime aspirazioni dei cittadini tunisini e dei cittadini in un trattamento equo. La strategia dei doppi standard per i diritti richiede una revisione completa che ci porti fuori dalla posizione di “guardia onesta” e “collaboratore”. L’ideale “alla posizione del partner sulla base della consacrazione dei diritti e delle libertà e del rispetto della sovranità tunisina e della dignità dei suoi cittadini.
Signor Presidente della Repubblica:
State seguendo le pressioni italiane per un nuovo accordo sull’immigrazione che legalizzi la deportazione forzata collettiva o, più chiaramente, l’espulsione collettiva dei tunisini in flagrante violazione di trattati e patti internazionali. Il processo di espulsione richiede complesse procedure amministrative e durante questo periodo gli immigrati vengono trattenuti dalle autorità italiane. Di solito, vengono loro attribuiti reati relativi al mancato possesso di identità legali. I migranti irregolari sono soggetti a stigmatizzazione, screening e controllo sin dal loro arrivo e ogni caso non viene valutato separatamente e le informazioni e i consigli necessari sui loro diritti non vengono loro forniti. In assenza di trasparenza e chiarezza, l’espulsione forzata di migranti irregolari è segnata da violazioni legali e da una chiara violazione dei diritti e delle libertà dei deportati, poiché i migranti sono soggetti a un uso eccessivo della forza, tortura e altre forme di maltrattamento, o detenzione arbitraria e violenza durante le procedure di rilevamento delle impronte digitali, che sono spesso eseguite con la forza. Inoltre, la decisione di espulsione non può essere impugnata e gli immigrati non ricevono una traduzione neutrale né un supporto legale appropriato, per essere successivamente espulsi collettivamente in violazione degli articoli 3, 4 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e il diritto internazionale (la Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 e il suo protocollo di emendamento del 1967) sottolinea la necessità di Rispettare una serie di condizioni per completare il processo di espulsione. […] forse vale la pena negoziare con la Tunisia un accordo che faciliti la migrazione dei lavoratori stagionali. […] Guadagnare la fiducia dei propri elettori e cittadini non significa violare i diritti degli immigrati, intimidirli, minacciare i paesi vicini ed estorcerli, ma piuttosto contribuire a costruire uno spazio più giusto, pacifico, solidale e garantire lo spazio mediterraneo per i diritti e le libertà. […] Teoricamente, gli accordi internazionali si basano sul principio di reciprocità tra gli Stati parti, che dovrebbero negoziare sulla base dell’uguaglianza. Nonostante ciò, sembra che la libertà di circolazione tra la Tunisia e l’Unione europea sia concessa solo a una parte. L’Unione europea, attraverso la sua politica di concessione rigorosa dei visti e di selezione per determinati gruppi, approfondisce la disuguaglianza sociale e perpetua la disuguaglianza tra le classi sociali.”
Alla luce di ciò, escludendo la possibilità che alcuno Stato o organizzazione internazionale possa svolgere un ruolo positivo e progressista, l’unico sostegno utile “alla Tunisia” ovvero al popolo tunisino nella congiuntura attuale possa avvenire solo su un piano orizzontale e dal basso supportando in prima persona tali organizzazioni popolari che agiscono sul campo nei vari paesi sia nella sponda Nord che nella sponda Sud del Mediterraneo quantomeno nel breve periodo, contemporaneamente dovrebbe essere anche necessario interrogarsi sullo sviluppo di tali strumenti organizzativi in forme più alte e sulla creazione di nuovi con maggiore conflittualità miranti al rovesciamento di Stati e governi reazionari per risolvere il problema alla radice.
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