Pubblichiamo stralci dell'introduzione di Vladimiro Giacché al volume "Lenin, Economia della rivoluzione", in cui si parla dei provvedimenti che il nuovo potere degli operai e dei contadini nato con la Rivoluzione d'Ottobre in Russia prese nei confronti delle industrie e delle banche.
Il decreto sul controllo operaio sulla produzione fu forse il più difficile, perchè, come spiega Lenin, non si poteva, a differenza della situazione dei contadini, semplicemente distribuire la produzione o affidare da un giorno all'altro la gestione di tutta la complessa "macchina" dell'industria, finchè gli operai non avessero imparato a dirigere e "rafforzato la loro autorità".
Questi problemi sono di grande attualità per i comunisti e la classe operaia di oggi. Rispetto alla situazione delle industrie e delle banche dei tempi di Lenin, lo sviluppo dell'imperialismo da un lato ha realizzato grandi processi di centralizzazione/concentrazione che oggettivamente facilitano il fatto che lo Stato socialista, il potere proletario le prenda nella sue mani; dall'altro ha reso immediatamente internazionale gli effetti sulle industrie e le banche di decreti del potere proletario. Ma queste contraddizioni solo il governo e lo Stato socialista potrà maneggiarle al servizio non dei capitalisti e dei banchieri ma degli interessi dei lavoratori e della maggioranza del popolo.
Ma ciò che è sicuro e dimostrato che la Rivoluzione d'ottobre ha spazzato via per tanti anni gli sfruttatori e i succhiatori di sangue delle masse. E che, quindi, anche oggi questo è possibile.
"Già prima della Rivoluzione, nello scritto I bolscevichi conserveranno il potere statale?,
Lenin aveva osservato: «La principale difficoltà della rivoluzione
proletaria è l’applicazione più minuziosa e scrupolosa, su scala
nazionale, dell’inventario e del controllo, del controllo operaio
della produzione e della distribuzione dei prodotti... Il “nocciolo” del problema non è già nella confisca dei beni dei
capitalisti, ma nel controllo operaio generale e minuzioso sui
capitalisti […]. Con la sola confisca non si fa nulla, perché in essa
non v’è nessun elemento di organizzazione, di calcolo della giusta
ripartizione»...
Negli stessi giorni in cui venivano emanati i primi decreti del governo sovietico Lenin stese anche il
Progetto di regolamento del controllo operaio,
sulla cui base fu approntato il Regolamento approvato il 27 novembre
dal Comitato esecutivo centrale panrusso. Nell’elaborazione del decreto
si confrontarono concezioni diverse, l’una propensa a limitare il
controllo a compiti di vigilanza e di informazione, l’altra mirante a
dare agli organismi operai maggiori poteri di intervento e di
deliberazione. La soluzione adottata stabilì che gli operai potessero
accedere a qualsiasi documento riguardante la vita dell’impresa e loro
(o i loro rappresentanti) potessero prendere decisioni vincolanti per
l’amministrazione.
Nel gennaio 1918, pronunciando il suo Rapporto sull’attività del Consiglio dei commissari del popolo
davanti al III Congresso dei soviet dei deputati operai, soldati e
contadini di tutta la Russia, Lenin motivò in questo modo il
provvedimento: «Introducendo il controllo operaio noi […] volevamo
mostrare che riconoscevamo una sola via, quella delle trasformazioni dal
basso, per fare in modo che gli operai stessi elaborassero dal basso le
nuove basi del sistema economico». In altri termini, gli operai
dovevano, attraverso il controllo operaio, cominciare a fare esperienza
diretta della gestione delle imprese.
Un’altra motivazione, più
immediata, era rappresentata dalla necessità di evitare serrate,
fenomeni di distrazione di fondi e sabotaggio da parte dei proprietari
delle imprese.
Entrambe le motivazioni sono presenti nelle parole con
cui Lenin nel novembre 1918 sarebbe tornato sull’argomento:
«all’inizio, la nostra parola d’ordine è stata quella del controllo
operaio. Noi dicevamo: […] il capitale continua a sabotare la produzione
del paese, mandandola sempre più in rovina. È oggi evidente che ci si
avviava verso la catastrofe, e quindi il primo atto fondamentale,
obbligatorio per ogni governo operaio e socialista, deve essere quello
del controllo operaio. Noi non abbiamo decretato di colpo il socialismo
in tutta la nostra industria, perché il socialismo può organizzarsi e
consolidarsi solo quando la classe operaia abbia imparato a dirigere, solo quando le masse operaie abbiano rafforzato la loro autorità.
Senza di questo il socialismo è soltanto un pio desiderio. Pertanto
abbiamo introdotto il controllo operaio, ben sapendo che si trattava di
una misura contraddittoria e incompleta»...
Lenin era ben consapevole
del fatto che «è necessario un lungo periodo di tempo perché gli operai
imparino a gestire l’industria».
«La cosa
importante non è la nazionalizzazione; potremmo nazionalizzare a un
ritmo dieci volte superiore all’attuale. La cosa importante è
organizzare e dirigere noi stessi l’industria». In coerenza con questa impostazione, per diversi mesi si
nazionalizzarono soltanto singole imprese, in genere a seguito della
fuga o del boicottaggio da parte dei precedenti proprietari, e fino al
maggio 1918 non fu emanato alcun provvedimento di nazionalizzazione di
un intero settore industriale: ancora nel giugno 1918 le imprese
nazionalizzate erano appena 487. Fu anzi scoraggiata la
nazionalizzazione affrettata delle imprese a livello locale, e furono
anche condotte trattative per creare un grande trust misto, privato e
statale, nel settore metallurgico e meccanico; ma l’iniziativa si chiuse
con un nulla di fatto a causa delle richieste esorbitanti dei gruppi
capitalistici coinvolti.
La nazionalizzazione delle banche
Il primo settore economico a essere nazionalizzato fu
quello bancario. Si trattava di un punto essenziale del programma dei
bolscevichi. Esso non compare nel breve appello del 7 novembre, ma già
il giorno successivo figura, a fianco della proposta di pace,
dell’abolizione della grande proprietà fondiaria e dell’istituzione del
controllo operaio, nella Risoluzione scritta da Lenin e
approvata dal Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado: «Il
nuovo governo operaio e contadino […] stabilirà un controllo di tutto il
popolo sulle banche, insieme con la loro trasformazione in un’unica
azienda di Stato»....
«Fusione di tutte le banche in una sola banca e controllo delle sue
operazioni da parte dello Stato, oppure nazionalizzazione delle banche».
La spiegazione del provvedimento era così introdotta: «Le banche, come è
noto, sono i centri della vita economica moderna, i principali gangli
nervosi di tutto il sistema capitalistico dell’economia nazionale.
Parlare della “regolamentazione della vita economica” ed eludere il
problema della nazionalizzazione delle banche significa o dar prova
della più crassa ignoranza, o ingannare “il popolino” con parole pompose
e promesse magniloquenti che si è deciso in anticipo di non mantenere».
Il testo proseguiva evidenziando come la nazionalizzazione delle banche
non presentasse «assolutamente nessuna difficoltà di carattere tecnico e
culturale»... Essa era infatti concepita da Lenin in questa fase quale
«fusione di tutte le banche in una sola, fusione che di per sé non porta
nessun cambiamento nelle relazioni di proprietà», ma che avrebbe
permesso di ottenere «che lo Stato sappia dove e come, da che parte e in
che momento, scorrono i milioni e i miliardi. E solo il controllo
esercitato sulle banche – questo centro, questo fulcro e meccanismo
essenziale della circolazione capitalistica – permetterebbe di
organizzare sul serio, e non a parole, il controllo su tutta la vita
economica, sulla produzione e distribuzione dei principali prodotti, di
organizzare quella “regolamentazione della vita economica” che
altrimenti sarebbe inevitabilmente condannata a rimanere una frase
ministeriale, destinata ad ingannare il popolino»...
Il 20 novembre la Banca di Stato
fu occupata militarmente a seguito del rifiuto di disporre un pagamento a
favore del Consiglio dei commissari del popolo... il 27 dicembre 1917 tutte le banche private vennero
nazionalizzate e fuse con la Banca di Stato nella Banca popolare della
Repubblica russa.
Nel suo Rapporto al III Congresso dei soviet
del gennaio 1918 Lenin riassume gli sviluppi della situazione senza
sottacere le difficoltà del processo di nazionalizzazione:
“Una delle prime misure dirette non solo a far sparire
dalla faccia della terra i grandi proprietari fondiari russi, ma a
sradicare altresì il dominio della borghesia e la possibilità per il
capitale di opprimere milioni e decine di milioni di lavoratori è stata
la nazionalizzazione delle banche. Le banche sono centri importanti
dell’economia capitalistica contemporanea. [...] Sono organi sottili e
complicati, cresciuti attraverso i secoli, e contro di essi sono stati
rivolti i primi colpi del potere dei soviet, che ha incontrato fin
dall’inizio una resistenza disperata nella Banca di Stato. Ma questa
resistenza non ha fermato il potere dei soviet. Siamo riusciti a
realizzare l’essenziale nell’organizzazione della Banca di Stato, questa
cosa essenziale è nelle mani degli operai e dei contadini, e da queste misure essenziali, che dovremo ancora sviluppare per un lungo periodo di tempo, siamo passati a mettere le mani anche sulle banche private. […] Non
un sol uomo del nostro ambiente avrebbe potuto immaginarsi che
l’apparato bancario, così ingegnoso e sottile, sviluppatosi nei secoli
dal sistema capitalistico dell’economia potesse essere spezzato o
trasformato in pochi giorni... […] Noi non minimizziamo affatto le difficoltà del nostro cammino,
ma l’essenziale lo abbiamo già fatto. La fonte delle ricchezze
capitalistiche, per quanto riguarda la loro distribuzione, è stata
eliminata. L’annullamento dei debiti statali, il rovesciamento del giogo
finanziario è stato dopo di ciò un passo assai facile”.
Nel febbraio 1918 tutti gli azionisti delle banche
furono espropriati e, dopo i debiti nei confronti delle banche locali,
fu ripudiato anche il debito estero contratto dagli zar e dal governo
provvisorio..."
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