Si può ben dire che chi al momento, sul compromesso avvenuto a Bruxelles per impedire l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa, tira un pacato respiro di sollievo sono i capitalisti, le banche, e i governi imperialisti europei.
Ma sembra ancora una volta l'accordo dei ladroni sulla pelle dei proletari.
Gli unici che pagheranno le conseguenze sono i lavoratori e gli immigrati!
L'accordo, infatti, mentre lascia le cose come stavano sul fronte dell'economia capitalista e impedisce il rischio di un indebolimento politico dell'Europa imperialista nel mondo e di un precedente politico pericoloso, permette alla Gran Bretagna di restare senza nuove condizioni, ma a scapito dello stato sociale e dei diritti dei migranti.
Questo è il solo fronte in cui: i cambiamenti ci sono stati, le concessioni sono state forti e si è creato un pericoloso precedente per cui anche altri paesi dell'Europa vorranno seguire l'esempio della GB.
L'Inghilterra potrà negare o
ridurre le prestazioni sociali per 7 anni ai nuovi lavoratori in provenienza da altri paesi dell’Unione, parlando di bloccare "gli abusi" dei
lavoratori europei che “sfruttano il nostro sistema di welfare“. Questo porterà a un netto peggioramento delle condizioni di vita di milioni di lavoratori, tra cui vi sono anche tanti sono giovani italiani.
Le conseguenze poi verso i nuovi migranti sono disastrose: è di fatto un ripristino del
controllo delle frontiere.
Nell'accordo è passata anche
l’indicizzazione degli assegni per i figli rimasti in patria dei
lavoratori europei emigrati nel Regno Unito, che saranno pagati in
base al reddito medio del Paese di residenza - con un peggioramento delle condizioni di vita delle famiglie dei lavoratori e un'aperta discriminazione, razziale, tra lavoratori e lavoratori.
E' una sorta di Schengen, ma con un esplicito carattere classista, perchè indirizzato direttamente e unicamente verso lavoratori e le masse di migranti, verso cui questo "compromesso" alza di fatto un muro, che avrà le stesse nefaste conseguenze di quello dell'Austria, Ungheria, ecc.
E', ripetiamo, inevitabile che anche gli altri paesi europei vorranno seguire l'esempio.
Questo accordo ha di fatto riaffermato il principio dell'economia e politica imperialista: i capitali, le imprese, le elites finanziarie non hanno frontiere, possono liberamente circolare, i lavoratori e i popoli NO (o solo alle condizioni che servono all'imperialismo per sfruttare la loro forza-lavoro).
Il
protezionismo applicato alla circolazione delle persone non si
applica a quella dei capitali.
Unica speranza è che questo accordo potrà risvegliare la lotta di classe in Gran Bretagna.
E se questo avverrà soprattutto nelle fila dei lavoratori e dei migranti, i sorrisi di Cameron, potranno trasfromarsi in un ghigno.
Tornando alle ragioni e preoccupazioni che sono state dietro questo compromesso.
Si può dire che sul fronte economico e politico la GB ha mantenuto i diritti e non ha maggiori doveri, ma gli altri paesi imperialisti hanno evitato conseguenze per la loro economia.
(dalla stampa)
"Certo, non sono mancate preoccupazioni
e proteste per la concorrenza che istituti finanziari senza vincoli
possono esercitare nei confronti di istituti sottoposti a regole, né
riguardo a quanta voce in capitolo, senza alcuna contropartita in
termini di obblighi, avrà effettivamente Londra sulle decisioni e
gli orientamenti dell’Unione europea.
La GB non parteciperà ai salvataggi
finanziari, all'euro e ai confini aperti ma sarà influente «nelle
decisioni che ci interessano e avremo la possibilità di prendere
iniziative», «Saremo protetti in modo permanente, la supervisione
delle nostre banche resta a noi, l'Eurozona non sarà un blocco che
può agire contro di noi e non saremo discriminati»
Rapporti commerciali - La cosa
preoccupa Bruxelles, la Germania doveAngela Merkel avrebbe minacciato
Cameron: "Esci e il tuo paese ridurrà ancora di più la sua
quota d'influenza nel mondo", ma anche l'Italia. Il nostro
Paese, infatti, ha rapporti economici ben consolidati e se la la Gran
Bretagna dovesse davvero uscire dall'Europa, bisognerà riconsiderare
tutti i parametri che hanno reso possibile e reciprocamente
conveniente interscambio. "Da Finmeccanica a Eni, da Merloni a
Calzedonia, da Pirelli a Ferrero: i britannici vogliono da noi quello
che ci considerano bravi a fare: vestiti, cibo, auto sportive,
mobili, elettrodomestici e birra (sì, persino quella), e collaborano
con l' Italia nel campo dell' energia, della difesa e della ricerca
spaziale. Noi importiamo da loro farmaci, automobili, hi-tech,
whisky, servizi finanziari, tecnologia per l' energia rinnovabile.
Posti di lavoro a rischio - Non solo.
"In Gran Bretagna vivono quasi 600 mila italiani, la metà dei
quali a Londra. Se la Brexit causerà la perdita di molti posti di
lavoro (un milione per gli ottimisti, tre per i pessimisti) anche
decine di migliaia di italiani faranno ritorno a casa.
La sola idea della smobilitazione delle
banche d’affari internazionali dalla City - paventata ieri da
Morgan Stanley e Citi - basterebbe a dare una scossa profonda nel
nome di un’Unione che si troverebbe, d’improvviso, senza capitale
finanziario per chi opera in sterline, ma anche in euro.
Considerato che l’economia britannica
è strettamente collegata a quella della Ue (oltre il 50% delle
esportazioni è diretto all’Ue, come il 50% delle importazione
arriva da paesi dell’Unione), le conseguenze si farebbero sentire
anche in Europa, Mentre Londra sarebbe sollevata dal pagamento dei
contribuiti a Bruxelles gli stati membri dovrebbero contribuire di
maggiormente al budget dell’Unione.
Ma quali sarebbero i costi
economico-finanziari per il popolo britannico, nel caso di una
fuoriuscita dall’UE? Calcoli alla mano, ogni anno Londra versa
nelle casse di Bruxelles lo 0,5% del suo Pil. Un’inezia, se si
pensa che – secondo la Confindustria britannica – la permanenza
in Europa garantisce al sistema imprenditoriale locale un valore
aggiunto tra i 62£ e i 78£ miliardi all’anno. Il centro studi
tedesco Bertelsmann Stiftung in collaborazione con l’Ifo Institute
di Monaco di Baviera ha calcolato che la Brexit costerebbe ai sudditi
della Regina almeno 300£ miliardi, con il Pil in calo del 12% nei
prossimi 12 anni, ossia una perdita nel medio termine del 2,2% di Pil
perché – accanto all’isolamento commerciale – si pagherebbe
dazio per “la diminuzione del dinamismo economico e
dell’indebolimento del potere innovativo di Londra come centro
strategico”. Il settore finanziario perderebbe un 5% e potrebbe
appesantirsi nel caso in cui molti degli istituti finanziari con base
a Londra decidessero di spostare le loro sedi nelle capitali
finanziarie dell’Eurozona tipo Francoforte. Il settore chimico è
quello che subirebbe le perdite più alte stimate in un 11%. Gli
altri settori più appesantiti sarebbero quello dell’automotive,
meccanico e dell’ingegneria perché sono ormai troppo radicati
nelle economie europee. Inoltre, un’uscita del Regno Unito dall’UE
peserebbe anche sui titoli di stato inglesi e su tutti gli accordi
economici o commerciali che andrebbero rinegoziati.
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