domenica 21 febbraio 2016

pc 21 febbraio - UE/GB: TUTTI ABBASTANZA SODDISFATTI – CHI PAGA SONO I LAVORATORI E I MIGRANTI

Si può ben dire che chi al momento, sul compromesso avvenuto a Bruxelles per impedire l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa, tira un pacato respiro di sollievo sono i capitalisti, le banche, e i governi imperialisti europei. 
Ma sembra ancora una volta l'accordo dei ladroni sulla pelle dei proletari.
Gli unici che pagheranno le conseguenze sono i lavoratori e gli immigrati!

L'accordo, infatti, mentre lascia le cose come stavano sul fronte dell'economia capitalista e impedisce il rischio di un indebolimento politico dell'Europa imperialista nel mondo e di un precedente politico pericoloso, permette alla Gran Bretagna di restare senza nuove condizioni, ma a scapito dello stato sociale e dei diritti dei migranti
Questo è il solo fronte in cui: i cambiamenti ci sono stati, le concessioni sono state forti e si è creato un pericoloso precedente per cui anche altri paesi dell'Europa vorranno seguire l'esempio della GB.

L'Inghilterra potrà negare o ridurre le prestazioni sociali per 7 anni ai nuovi lavoratori in provenienza da altri paesi dell’Unione, parlando di bloccare "gli abusi" dei lavoratori europei che “sfruttano il nostro sistema di welfare“. Questo porterà a un netto peggioramento delle condizioni di vita di milioni di lavoratori, tra cui vi sono anche tanti sono giovani italiani.
Le conseguenze poi verso i nuovi migranti sono disastrose: è di fatto un ripristino del controllo delle frontiere.
Nell'accordo è passata anche l’indicizzazione degli assegni per i figli rimasti in patria dei lavoratori europei emigrati nel Regno Unito, che saranno pagati in base al reddito medio del Paese di residenza - con un peggioramento delle condizioni di vita delle famiglie dei lavoratori e un'aperta discriminazione, razziale, tra lavoratori e lavoratori.

E' una sorta di Schengen, ma con un esplicito carattere classista, perchè indirizzato direttamente e unicamente verso lavoratori e le masse di migranti, verso cui questo "compromesso" alza di fatto un muro, che avrà le stesse nefaste conseguenze di quello dell'Austria, Ungheria, ecc.
E', ripetiamo, inevitabile che anche gli altri paesi europei vorranno seguire l'esempio.

Questo accordo ha di fatto riaffermato il principio dell'economia e politica imperialista: i capitali, le imprese, le elites finanziarie non hanno frontiere, possono liberamente circolare, i lavoratori e i popoli NO (o solo alle condizioni che servono all'imperialismo per sfruttare la loro forza-lavoro). 
Il protezionismo applicato alla circolazione delle persone non si applica a quella dei capitali.

Il referendum - argomento usato a Bruxelles per concedere a Cameron un accordo spostato in suo favore - inevitabilmente non farà che rafforzare questa tendenza e provocherà un ulteriore aggravamento della situazione.

Unica speranza è che questo accordo potrà risvegliare la lotta di classe in Gran Bretagna.
E se questo avverrà soprattutto nelle fila dei lavoratori e dei migranti, i sorrisi di Cameron, potranno trasfromarsi in un ghigno.

Tornando alle ragioni e preoccupazioni che sono state dietro questo compromesso.

Si può dire che sul fronte economico e politico la GB ha mantenuto i diritti e non ha maggiori doveri, ma gli altri paesi imperialisti hanno evitato conseguenze per la loro economia. 

(dalla stampa)  
 "Certo, non sono mancate preoccupazioni e proteste per la concorrenza che istituti finanziari senza vincoli possono esercitare nei confronti di istituti sottoposti a regole, né riguardo a quanta voce in capitolo, senza alcuna contropartita in termini di obblighi, avrà effettivamente Londra sulle decisioni e gli orientamenti dell’Unione europea.

La GB non parteciperà ai salvataggi finanziari, all'euro e ai confini aperti ma sarà influente «nelle decisioni che ci interessano e avremo la possibilità di prendere iniziative», «Saremo protetti in modo permanente, la supervisione delle nostre banche resta a noi, l'Eurozona non sarà un blocco che può agire contro di noi e non saremo discriminati»

Rapporti commerciali - La cosa preoccupa Bruxelles, la Germania doveAngela Merkel avrebbe minacciato Cameron: "Esci e il tuo paese ridurrà ancora di più la sua quota d'influenza nel mondo", ma anche l'Italia. Il nostro Paese, infatti, ha rapporti economici ben consolidati e se la la Gran Bretagna dovesse davvero uscire dall'Europa, bisognerà riconsiderare tutti i parametri che hanno reso possibile e reciprocamente conveniente interscambio. "Da Finmeccanica a Eni, da Merloni a Calzedonia, da Pirelli a Ferrero: i britannici vogliono da noi quello che ci considerano bravi a fare: vestiti, cibo, auto sportive, mobili, elettrodomestici e birra (sì, persino quella), e collaborano con l' Italia nel campo dell' energia, della difesa e della ricerca spaziale. Noi importiamo da loro farmaci, automobili, hi-tech, whisky, servizi finanziari, tecnologia per l' energia rinnovabile.

Posti di lavoro a rischio - Non solo. "In Gran Bretagna vivono quasi 600 mila italiani, la metà dei quali a Londra. Se la Brexit causerà la perdita di molti posti di lavoro (un milione per gli ottimisti, tre per i pessimisti) anche decine di migliaia di italiani faranno ritorno a casa.

La sola idea della smobilitazione delle banche d’affari internazionali dalla City - paventata ieri da Morgan Stanley e Citi - basterebbe a dare una scossa profonda nel nome di un’Unione che si troverebbe, d’improvviso, senza capitale finanziario per chi opera in sterline, ma anche in euro. 

Considerato che l’economia britannica è strettamente collegata a quella della Ue (oltre il 50% delle esportazioni è diretto all’Ue, come il 50% delle importazione arriva da paesi dell’Unione), le conseguenze si farebbero sentire anche in Europa, Mentre Londra sarebbe sollevata dal pagamento dei contribuiti a Bruxelles gli stati membri dovrebbero contribuire di maggiormente al budget dell’Unione. 

Ma quali sarebbero i costi economico-finanziari per il popolo britannico, nel caso di una fuoriuscita dall’UE? Calcoli alla mano, ogni anno Londra versa nelle casse di Bruxelles lo 0,5% del suo Pil. Un’inezia, se si pensa che – secondo la Confindustria britannica – la permanenza in Europa garantisce al sistema imprenditoriale locale un valore aggiunto tra i 62£ e i 78£ miliardi all’anno. Il centro studi tedesco Bertelsmann Stiftung in collaborazione con l’Ifo Institute di Monaco di Baviera ha calcolato che la Brexit costerebbe ai sudditi della Regina almeno 300£ miliardi, con il Pil in calo del 12% nei prossimi 12 anni, ossia una perdita nel medio termine del 2,2% di Pil perché – accanto all’isolamento commerciale – si pagherebbe dazio per “la diminuzione del dinamismo economico e dell’indebolimento del potere innovativo di Londra come centro strategico”. Il settore finanziario perderebbe un 5% e potrebbe appesantirsi nel caso in cui molti degli istituti finanziari con base a Londra decidessero di spostare le loro sedi nelle capitali finanziarie dell’Eurozona tipo Francoforte. Il settore chimico è quello che subirebbe le perdite più alte stimate in un 11%. Gli altri settori più appesantiti sarebbero quello dell’automotive, meccanico e dell’ingegneria perché sono ormai troppo radicati nelle economie europee. Inoltre, un’uscita del Regno Unito dall’UE peserebbe anche sui titoli di stato inglesi e su tutti gli accordi economici o commerciali che andrebbero rinegoziati.

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