martedì 12 luglio 2011

pc 12 luglio - LA SIENA CHE PIACE ALLA STAMPA, AI PARTITI, AI PADRONI...

Con una battuta potremmo dire che in generale è andata come da regia della Comencini, a parte qualche fuori programma di salutari, benchè troppo limitate, contestazioni alla Bindy, alla Perini di Fli, alla Camusso, e qualche intervento bello, soprattutto delle giovani, fuori da copione.
Ma è andata in scena la sproporzione oggettiva tra la grande partecipazione (più di 2000 donne) che dimostra una voglia di mobilitazione vasta, articolata delle donne, con al centro soprattutto il doppio attacco alle condizioni di lavoro; la sproporzione tra la forte denuncia fatta dal palco, ma soprattutto dal Prato di Sant’Agostino, di alcune realtà di donne, di lavoratrici, ragazze (di cui solo grazie al resoconto delle compagne del mfpr di Milano, Bologna possiamo sapere qualcosa), e l'indirizzo/incanalamento istituzionale che le promotrici hanno fatto di questa potenzialità.
Questa contraddizione è stata anche visiva: da un lato lo striscione portato dalle compagne di Bologna e del Mfpr “Costruiamo lo sciopero delle donne” che è stato un punto visibile, con una parola d'ordine chiara che sintetizza una linea e strada alternativa, uno striscione che anche Tv e stampa hanno dovuto riportare; dall'altro a una compagna del movimento val Susa - il movimento, in cui ci sono tantissime donne, tantissime ragazze, in questo momento quello più radicale, più contro Governo, contro lo Stato di polizia, ma anche contro il PD e la falsa opposizione di “sinistra” - che esponeva una bandiera No Tav le è stato detto di toglierla, dimostrando che a “destra” si proclama la fine di steccati, ideologie, l’inclusione, per cui vanno bene tutte; a “sinistra” invece si mantengono e si aumentano gli “steccati”.

Ufficialmente è andata in scena una linea che nel denunciare una “politica” che discrimina le donne, vuole costruire un movimento/rete e una politica che chiama le donne ad entrare in questa “politica” per “trasformarla a nostra immagine”, che critica i partiti ma – come ha detto in conclusione una delle organizzatrici, Maria Serena Sapegno – subito afferma: “non vogliamo sostituirci ai partiti anzi vogliamo che tornino a far politica se possibile sui bisogni delle persone…”; che invita le donne a “lavorare per noi” che però coincide col “lavorare per l’Italia”, dare una “svolta al paese”, essere “cittadine del loro paese” . Cioè che chiama le donne ad essere in prima fila nel migliorare questo paese senza minimamente mettere in discussione che è un paese capitalista; che chiama le donne a mettere le “tendine rosa” al “carcere” che è questo sistema sociale fondato sullo sfruttamento di milioni di proletari e masse popolari e sulla doppia oppressione, violenza verso le donne, senza minimamente metterne in discussione il suo rovesciamento.
Parlare dell’”Italia” senza aggiungere sempre la natura dell’Italia è unirsi oggi ai cori, da Berlusconi a La Russa, da Bersani e Napolitano, Marcegaglia, ecc. sulla loro Italia.
Le organizzatrici di “Se non ora quando” in una situazione in cui giustamente tante donne, lavoratrici, precarie, ragazze che vedono messe sotto i piedi dignità, condizioni di vita e futuro, denunciano e si allontanano dalla politica ufficiale, dai partiti parlamentari, dicono alle donne di riavvicinarsi – eliminando, per carità!, qualsiasi “contro” (“non siamo contro nessuno” – ha precisato la Sapegno).
Di fatto un’operazione da serve del potere.
A Siena il problema non è stato tanto l’interclassismo – di fatto scontato per questo tipo di manifestazione – ma il fatto che la mobilitazione delle donne è stata ristretta e riferita ad una solo classe quella delle donne borghesi che in questo “paese” capitalista vogliono avere spazio, rappresentanza; per questo, usano la parola “femminile” al posto di “femminismo” perché comunque vogliono oscurare/esorcizzare una parola che allude alla ribellione delle donne.

Si è parlato molto del lavoro, dell'attacco ai diritti delle donne, di maternità, del doppio attacco alle donne della controriforma Gelmini, ecc. E questo è un bene. Su questo si sono cominciate a fare alcune proposte di piattaforma (su ripristino divieto di dimissioni in bianco, su congedi parentali, ecc.). Ma ad alcuni interventi di realtà di forte denuncia, che hanno anche posto la necessità della lotta, si è di fatto contrapposta tutt’altra linea che
o inserisce gli obiettivi rivendicativi in una logica ultraparziale di vedere l’albero e non la foresta, di vedere l’effetto e non la causa – un esempio è la questione dell’uso del tesoretto frutto dei risparmi per allungamento età pensionabile delle donne su cui l’associazione Pari e Dispare ha proposto una mobilitazione, anche contro una finanziaria misogina, davanti a Montecitorio, ma nulla ha detto sul respingere l’attacco alle pensioni;
o chiede che la politica, che è maschile, sia più attenta alle donne e alla loro “agenda”;
o chiede una presenza di donne nei posti che contano, a partire dalle liste (le elezioni sono dietro l’angolo), affinchè ci sia il 50% di donne.

Per fortuna dalla piazza ci sono state le contestazioni, i fischi alle parlamentari venute o a fare una difesa d’ufficio della “destra”, del sistema parlamentare (Perina del Fli); o venute a dire di “superare le appartenenze di destra e di sinistra e di votare solo i partiti che fanno gli interessi delle donne e le mettono in lista…” (Giulia Bongiorno del Fli), quindi venute a dire che non ci sono più ideologie, valori differenti e contrapposti, per affermare di fatto l’unica ideologia, la loro; o venute a fare una squalificante propaganda di partito. “chiederò al mio partito di venire fra voi” (Rosy Pindi del Pd) a cui l’unica risposta dovrebbe essere: “grazie No, No! Abbiamo già tanti problemi causati anche dal tuo partito…”; .
Ma in particolare, giustamente si sono levati fischi contro la Camusso – certo, troppo insufficienti. Mentre parlava, una donna diceva: “sì, viene a parlare quà di difesa del lavoro delle donne, ma poi ha firmato l'accordo...”. La Camusso che va a Siena per dire “senza lavoro le donne saranno sempre più deboli... vengono buttate fuori appena arriva la crisi”, mentre è ancora fresca dell’abbraccio con la Marcegaglia per l’accordo che permette alle aziende di poter adattare diritti, condizioni lavorative secondo le loro esigenze produttive e di mercato, e quindi di poter buttare fuori per prima le donne, come sta già avvenendo ormai senza neanche più nasconderlo da parte dei padroni, andava cacciata. La Camusso si è comportata come i tanti politicanti e sindacalisti maschi, che sui palchi dicono una cosa e poi fanno altro. E il fatto che comunque abbia potuto tranquillamente parlare e riceve anche applausi è la normale nefasta conseguenza della ideologia “purchè siano donne, tutto va bene…”, del ceto politico presente, della prevalente composizione di classe, piccolo e medio borghese, della 2 giorni di Siena.

Queste donne, questo uso da parte delle donne del “potere” piace ed è consentito dagli uomini al potere economico e politico, dai partiti di destra come di opposizione, in primis il PD, perché non mette in discussione la sostanza del loro potere – anche la costruzione di questa manifestazione a Siena ha visto un concerto di forze e contributi sospetto (dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena, al Sindaco di Siena, da imprenditori locali, all’eco dato dalla stampa anche esplicitamente padronale, come il Corriere della Sera, ecc.).
Si tratta di storie di ordinaria servitù; che diventano ancora più pericolose quando, come oggi, si tratta di servitù in un sistema politico di moderno fascismo e di fascismo padronale, che soprattutto per le donne porta avanti un moderno medioevo.

Non basta certo denunciare a parole tutto questo. E’ necessaria un’altra strada, un'altra politica indipendente da questo vecchio e nuovo politicantismo, un'altra ideologia 'di parte', un altro movimento di lotta.
Un movimento che sia femminista per esprimere con forza, determinazione la ribellione delle donne contro tutti gli aspetti di oppressione di questo sistema e dei/delle loro lacchè; che sia proletario, cioè della maggioranza delle donne, lavoratrici, precarie, di oggi o di domani, che sono doppiamente sfruttate e oppresse; che sia rivoluzionario perché la liberazione, la battaglia di dignità delle donne, la lotta contro i pesanti attacchi alle condizioni di lavoro e di vita, non è frutto di un’entrata delle donne in questo sistema, ma del suo rovesciamento.

Oggi questa strada richiede lo sciopero totale delle donne, che intrecci la ribellione di genere alla ribellione di classe. Uno sciopero che sicuramente non piacerà né alle Camusso, né ai Bersani, né alle Marcegaglia; uno sciopero che sicuramente non vedrà accorrere benevole testate di stampa o televisioni, che anzi faranno di tutto per oscurarlo o attaccarlo; uno sciopero che sicuramente non vedrà nessuna regista mettere la sua esperienza a sostegno di questa che sarebbe un’effettiva novità. Ma uno sciopero che apre la strada necessaria.
Occorre unire le forze, lavorare per questo sciopero. Altrimenti anche ogni giusta denuncia della due giorni di Siena resta impotente e, come è già successo dopo il 13 febbraio – nonostante varie e importanti lotte di lavoratrici, precarie, donne – ciò che va avanti, chi ha “voce”, chi si pone come “rappresentante” dei bisogni delle donne sono quelle che contribuiscono all’attuale condizione delle donne.

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