venerdì 15 luglio 2011

pc 14 luglio - È in stato vegetativo, licenziata

Un'esempio che per la sua drammaticità da un lato dimostra, ancora una volta, che i padroni non sono umani ma pensano solo al loro profitto e che gli operai per loro sono solo mezzi di produzione che gli servono (finchè non si "rompono") per fare profitti.
Ma oltre a questo sono le parole viscide dei sindacalisti confederali e in particolare del segr. della cattolica cisl di bergamo, che mentre si preoccupa della sofferenza dei lavoratori, citando addirittura le parole del vescovo sul "lavoro umano", nello stesso tempo è in prima fila con il suo sindacato per ridurre gli operai a schiavi, ad esempio alla fiat dove con il ricatto del lavoro si aumentano ì ritmi e lo sfruttamento che come si sa portano a malattie e infortuni (dimostrati in tribunale anche dal giudice Guariniello), dall'altro si usa il dramma della famiglia dell'operaia, balzato sulle prime pagine dei giornali per giustificare la lotta all'"assenteismo" e di chi "sfrutta egoisticamente le norme contrattuali sulla malattia"; norme inumane che loro stessi hanno introdotto nei contratti nazionali e che prevedono il licenziamento per superamento del comporto per malattia; non è un caso che anche il segr. della cgil dei chimici eviti di entrare nel merito nelle norme del contratto e si appelli alla mancanza di umanità dell'azienda, in quanto proprio nei chimici hanno introdotto anche dei premi salariali legati al numero di infortuniche avvengono nei reparti.....

infatti come si sa le norme che riguardano il licenziamento per la malattia sono state introdotte tempo fa, ai margini di un rinnovo del ccnl dei metalmeccanici con un diktat mai votato dai lavoratori e poi estese anche in altri contratti nazionali, fino ad arrivare anche al licenziamento per superamento del comporto di 180 giorni nel corso dell'anno nel caso di infortunio, come sta succedendo ad una lavoratrice straniera del turismo e pubblici esercizi, che in questi giorni si è rivolta al cobas per essere tutelata, chissa se anche questo interesserà l'ispezione prevista dal ministero per questo caso che ha destato scalpore, forse sarebbe opportuno fare un'inchiesta nella catto-leghista bergamasca sulle tantissime situazioni di discriminazione che avvengono sui posti di lavoro !!!
non si puo appellarsi alla buon anima degli indistriali, serve eliminare dai contratti con la lotta queste norme anticostituzionali, così come quelle antidemocratiche e antisindacali firmate nell'ultimo accordo del 28 giugno da cgil-cisl-uil.


È in stato vegetativo, licenziata
Lettera impugnata. Cgil: inumano

Licenziata mentre è in stato vegetativo perché, secondo l'azienda, «la discontinuità della sua prestazione lavorativa crea evidenti intralci all'attività produttiva». La lettera di «recesso dal rapporto di lavoro per superamento del periodo di comporto» è stata indirizzata a una lavoratrice ricoverata nella struttura sanitaria Don Orione di Bergamo e residente nella provincia orobica, in stato vegetativo a causa dell'aneurisma cerebrale che l'ha colpita nel gennaio del 2010. Il 31 maggio dello stesso anno la signora (non indichiamo il nome per proteggerne la privacy) era riuscita, nonostante le difficili condizioni, a dare alla luce una bambina: l'ultima dei suoi 4 figli.

La Filctem Cgil e l'Ufficio vertenze della Cgil, che hanno sollevato il problema insieme al marito, hanno impugnato il provvedimento dopo che il 4 giugno 2011 la Nuova Termostampi di Lallio (ditta che si occupa di stampi e stampaggio di articoli tecnici), per la quale la signora ha lavorato 16 anni, le ha comunicato il licenziamento e con ciò la cessazione del rapporto di lavoro: «Con la presente dobbiamo rilevare che Lei ha effettuato le assenze per malattia di seguito riportate, dal 01.06.2010 al 03.06.2011. Avendo effettuato n. 368 gg di malattia nell'arco del periodo 01.06.2010 al 03.06.2011, Lei ha superato il periodo di conservazione del posto di lavoro previsto dall'art. 39, comma 7, Parte 2^ del vigente C.C.N.L (e pari a 365 giorni)».

Ma è la seconda parte della lettera indirizzata alla donna che ha maggiormente urtato i familiari che l'hanno aperta e letta per lei: «Comunque - prosegue il documento - la discontinuità della sua prestazione lavorativa crea evidenti intralci all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al suo regolare funzionamento, incide in modo sensibile sull'equilibrio dei rispettivi obblighi contrattuali. Per tutti i motivi sopra esposti, Le notifichiamo pertanto la risoluzione del rapporto di lavoro tra noi in corso a far data dalla presente. Le Sue spettanze di fine rapporto, comprensive dell'indennità sostitutiva del preavviso, Le saranno liquidate, come di consueto, direttamente sul Suo conto corrente entro l'11 luglio 2011».

La lettera di licenziamento è successiva alla richiesta, formalizzata dal marito nell'interesse della signora, di godimento delle ferie e dei permessi maturati prima dello scadere del periodo di comporto di malattia. «Mi sembra scandaloso che un'azienda neghi la fruizione delle ferie utilizzando la motivazione delle esigenze produttive - commenta il marito, C. M. - ed ancor più ci ha turbato la parola intralcio»: infatti la signora è assente da molto tempo (ciò a conferma della gravità del suo stato) per cui nessun intralcio può essere occorso alla produzione, che certamente non ha potuto essere organizzata pensando ad un rientro nel breve periodo della lavoratrice. E comunque le ferie sono un diritto ed il valore di un posto di lavoro è sin troppo evidente.

Ma, prosegue il marito «siamo rimasti molto, molto sorpresi da alcuni articoli pubblicati dalla stampa locale, e di uno particolare, dal titolo "Termostampi, vige l'etica del lavoro'". Un'etica che con noi non è stata utilizzata. Chiedo rispetto per i diritti di mia moglie. Chiedo che se ne ha - come credo - diritto venga riassunta: nulla di più».

Sul caso interviene anche il segretario provinciale della Filctem CGIL di Bergamo, Fulvio Bolis: «Stante il contesto, voglio fare una considerazione più sul versante umano che su quello sindacale/legale, che seguirà comunque il suo iter: mi è capitato nel passato di dover affrontare situazioni analoghe, lavoratori affetti da gravi malattie in procinto di superare il periodo di comporto per la conservazione del posto di lavoro».

«In quasi tutti i casi, anche grazie alla sostanziale assenza di costi per il datore di lavoro, le aziende non hanno provveduto al licenziamento ma, al contrario, hanno mantenuto in essere il rapporto di lavoro. Mi pare di poter dire che l'azienda in questione abbia quanto meno sottovalutato la condizione difficilissima di una propria collaboratrice. Di attenzione al fattore umano qui proprio non si vede traccia».




Piccinini, Cisl: le persone
non sono mezzi di produzione
14 luglio 2011Cronaca
Cisl: Ferdinando PiccininiLicenziata in stato vegetativo Scatta l'ispezione del ministero
Anche Ferdinando Piccinini, segretario generale della Cisl Bergamo, interviene sul caso della donna in coma licenziata. E si chiede: come misuriamo la dignità e l'umanità del lavoro? Si va ben oltre il confronto sui termini normativi contrattuali e legislativi.

«La vicenda della lavoratrice in coma che è stata licenziata dall'azienda per scadenza dei termini di malattia - dice Piccinini - è talmente grave per il segnale di disumanità che assume, che va ben oltre il confronto sui termini normativi contrattuali e legislativi che hanno portato l'azienda a questa irresponsabile decisione.

E' un indicatore di dove può arrivare una concezione puramente economicista dell'impresa che considera le persone semplicemente alla stregua di “mezzi” di produzione, togliendo quindi al lavoro la sua dimensione più importante e profonda: quella di umanità.

La persona umana, scrive il nostro vescovo Francesco Beschi nella lettera che ha dato inizio alle iniziative del convegno ecclesiale su economia e lavoro, non può essere ridotta semplicemente a una risorsa, non è solo la risorsa decisiva, ma il criterio di giudizio della bontà stessa del lavoro.

Certo, questa vicenda è balzata alle prime pagine dei giornali per l'evidente drammaticità della situazione della lavoratrici, del marito e della famiglia e della scelta dell'azienda priva di ogni minima attenzione alla persona. Ma deve richiamare a una riflessione più complessiva sulle molteplici situazioni di sofferenza e di disumanità nella realtà lavorativa che riscontriamo quotidianamente.

Vi è in questo un'azione sindacale quotidiana e sommersa, che non fa notizia, tesa a dare risposta alle tante situazioni di sofferenza, in modo particolare nell'aiuto di chi ammalato gravemente si trova a fare i conti anche con il rischio di perdere il lavoro per l'esaurimento dei periodi contrattuali di conservazione del posto di lavoro.

Vi sono anche molte situazioni dove l'impresa (grande, ma anche e soprattutto piccola) risponde con responsabilità e forte sensibilità a queste situazioni. Ma occorre porre all'attenzione collettiva che un grado più alto di civiltà e di umanità del lavoro è dato dalla capacità di tutti i soggetti collettivi e istituzionali di dare risposte e tutele a queste situazioni.

Si è parlato molto di assenteismo, di chi sfrutta egoisticamente le norme contrattuali sulla malattia che va contrastato, occorre con la stessa enfasi parlare e affrontare il tema di una nuova responsabilità delle imprese e di tutte le parti sociali verso i più deboli, di chi ha la “sfortuna” di essere in una condizione critica nella propria vita per una grave malattia che per tanti altri eventi, e che il lavoro può e deve rappresentare la possibilità di speranza e di crescita per il futuro.

E' da questo che misuriamo effettivamente la dignità e l'umanità del lavoro».



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