La
profonda crisi dell’industria italiana, in calo costante da due anni e pagata
fondamentalmente dagli operai, viene raccontata e monitorata dai quotidiani,
dai centri studi dei padroni e dal governo.
La
realtà è più forte delle chiacchiere da imbonitore del ministro Urso, ministro
del “made in Italy” che si batte “per l’attrazione degli investimenti esteri” e
degno componente di questo governo che le spara grosse su tutto.
Ieri
un articolo del Sole 24 ore, il quotidiano portavoce dei padroni italiani, ne
ha parlato mettendo in risalto non solo la crisi, ma anche il fatto che spesso
queste crisi si risolvono in vendita, o svendita, a padroni stranieri, e cioè
sono tutti “a caccia di investitori. Stranieri in prima linea … Con l’industria
ormai in apnea si moltiplicano i casi di imprese cedute o al centro di un
processo di cessione con gli advisor già alla ricerca di una soluzione”, ed
elenca almeno 20 operazioni nell’ultimo biennio.
“La vendita dell’ex Ilva – per cui sono in gara gli azeri di Baku Steel, gli indiani di Jindal Steel International e gli americani di Bedrock Industries – è il caso del momento. Ma la mappa, andando a ritroso, è sterminata”, dice il giornalista, facendo l’elenco: “da Beko (ex Whirlpool) a Industria Italiana
Autobus, da Piaggio Aerospace a La Perla”.Proprio
sulla Beko (ex Whirlpool, 520 operai) oggi al Mimit “andrà in scena l’ennesimo
incontro con i sindacati: vicino il salvataggio del sito di Comunanza, ma per
Siena si cerchierà un nuovo investitore.”
“In
alcune situazioni – continua l’articolo - le amministrazioni straordinarie, con
il supporto dell’unità per le crisi aziendali oppure dell’unità per l’attrazione
degli investimenti esteri del ministero delle Imprese e del made in Italy, hanno
raggiunto l’obiettivo di arrivare a un compratore con relativo piano
industriale. Ma altri dossier sono in alto mare …” Ma come finiscono
queste “operazioni”? “In alcuni casi,
dopo poco tempo, gli impegni e i progetti presentati alla firma si sono
sgonfiati in un’amara disillusione.”
Molti
di questi casi vedono in campo padroni “stranieri, sia nel ruolo di chi
chiude sia in quello di chi acquista”. Acquista, sì, ma spesso per
rivendere anche a pezzi e fare profitti subito.
Alcuni
esempi di come vengono trattate queste acquisizioni, nelle quali non si citano
mai gli operai coinvolti: “Dopo sei anni di gestione commissariale
la Baykar ha rilevato Piaggio Aerospace, creando un ponte che il governo
vorrebbe sfruttare per una collaborazione tra l’azienda turca e la Leonardo sui
droni realizzati nel sito di Ronchi dei Legionari”.
Poi è il turno della Bellco che è finita nelle mani di una “insolita cordata sino-svedese (il fondo Tian Yi Medical con NorrDia)” che ha acquisito “le attività del settore acuto dell’ex Bellco, azienda del distretto biomedicale modenese, dopo la decisione della Mozarc Medical di chiudere la produzione.” E sempre dalla Cina “… con il family office Wwi che si è fatto avanti attraverso la società di diritto lussemburghese Nuo Capital – arriva l’interesse per rilanciare la Bialetti, la società della Moka Express.”
Nelle
mani dell’industria estera, in questo caso i padroni inglesi, finisce anche la
Fimer spa (inverter fotovoltaici) che sembra “essersi conclusa senza grandi
sofferenze, che dopo il commissariamento va alla britannica MA Solar Italy Limited.”
C’è
pure un passaggio, ma non sarà il solo, da una multinazionale straniera all’altra:
la multinazionale americana Flextronics (componentistica elettronica) cede le
attività di Trieste al fondo tedesco FairCap.
Tra
le operazioni “finite bene” dopo 13 anni di cassa integrazione per gli operai,
viene citata la ex Blutec, ex Fiat di Termini Imerese passata al gruppo
australiano Pelligra, il cui piano industriale però è ancora fermo, mentre per la
Isab di Priolo, proprietaria di due raffinerie “Con l’ombrello del ‘golden
power’ due anni fa … è passata ai ciprioti di Goi Energy ma il rilancio è lontano,
al punto che la nuova proprietà ha avviato l’iter della composizione
negoziata della crisi di impresa.”
A
questo è servito tutto il battage pubblicitario e addirittura l’utilizzo da
parte del governo del “golden power” perché si trattava di difendere “l’interesse
nazionale”!
Un
accordo andato in porto (ma viste le premesse di cui sopra bisogna prendere tutto
con le dovute pinze!) sembra quello “tra gli ucraini di Metinvest e l’italiana
Danieli per un impianto di coils a Piombino, accanto alla produzione di acciai lunghi
del gruppo indiano Jsw che nel 2018 rilevò l’ex Lucchini dal gruppo algerino
Cevital.”
Segue
un lungo elenco di “salvataggi” effettuati dallo Stato tramite Invitalia che
vale la pena riprodurre per rendersi conto di quanto siano gli aiuti di Stato
ai padroni privati, che non si limitano ai momenti in cui sono in difficoltà:
“Dal
novembre 2021 a oggi il Fondo pubblico per la salvaguardia delle imprese
ha concluso una decina di salvataggi con Invitalia nel ruolo di partner
temporaneo di minoranza accanto a un investitore estero, spesso un fondo pronto
a risanare per poi uscire dopo pochi anni. L’elenco include Corneliani (fondo
InvestCorp con sede nel Bahrein), Firema (soci privati gli indiani Titagarh e
Amber più il fondo di Dubai Hawk-Eye), Canepa (fondo statunitense Muzinich),
Sicamb (St Engineering di Singapore insieme all’inglese Martin Kaker e a
Deltagroup Uruguay), Slim Fusina Rolling (gruppo Usa Dada), Walcor e Pernigotti
(l’americana JP Morgan), Conbipel (fondo di Singapore Grow Capital). In altri
casi il Fondo ha invece chiuso operazioni con soci privati italiani: Ceramica
Dolomite (CD Holding), Salp (Fiulia Spa e Salp International), Conceria del
Chieti (Avm sustainability), Bellotti (Bellotti Finanziaria e Cora), Terme di
Chianciano (Feidos), Snaidero (Dea Capital), Ferrosud (Mermec).”
Questo
per quanto riguarda lo Stato come “partner temporaneo di minoranza accanto a un
investitore estero” che spesso è un Fondo di investimento che ha
disposizione anche migliaia di miliardi di dollari e, dice il giornalista,
interviene perché “Senza la liquidità dei fondi o la capacità di azione di un
grande gruppo internazionale, spesso i cavalieri italiani (!) sono medie
realtà in cerca di consolidamento nel proprio settore o in linee di business
complementari”; a queste operazioni si affiancano i salvataggi “in casa”: “Il
gruppo campano Seri ha acquisito il controllo di Industria Italiana Autobus,
ribattezzata Menarini, e lavora per l’ingresso nel capitale con il 25%
della cinese Geely. La piemontese Tecnomeccanica ha rilevato il ramo
d’azienda di Crevalcore della Marelli Europe, tornato in mani italiane dopo
che Fca l’aveva ceduta nel 2018 alla Calsonic Kansei controllata dal fondo
americano Kkr. Più datata (2021) l’acquisizione della Ast di Terni da parte di
Arvedi, gruppo siderurgico di Cremona...” per la quale si parla ancora di rilancio.
E
ancora “La multinazionale americana dell’elettronica Jabil aveva invece provato
a chiudere un deal con il Fondo di salvaguardia per cedere l’attività di
Marcianise all’italiana Tme Engineering con Invitalia, ma l’accordo è saltato… Ora
è scattata la procedura di licenziamento collettivo per i 413 dipendenti …
Le perplessità sindacali hanno accompagnato anche l’acquisizione di Dema (componenti
per l’aerospazio) da parte del gruppo campano Adler, pronto ora a rilanciare
sugli investimenti. Mentre si aspettano conferme sulla cordata di due imprese
italiane del tessile che con il supporto di Invitalia sarebbero pronte a
salvare Conbipel (potrebbe essere in campo OVS).”
E
per finire, si fa per dire, ci sono tutte le operazioni ancora in corso:
“Per
lo storico marchio italiano dell’intimo di lusso La Perla (a controllo inglese)
sono arrivate 16 manifestazioni di interesse. Per MetaSystem (componenti auto,
proprietà cinese) si apre la due diligence a due candidati. La Hiab (produzione
di gru, proprietà svedese) ha incaricato un adivosr per lo stabilimento di
Statte (Taranto). La statunitense Dana si prepara a vendere l’attività Off
highway nel settore della meccanica (in Italia 12 stabilimenti e 3.800 lavoratori).
Anche l’amministrazione straordinaria di Speedline (automotive) cerca un
compratore. Il fondo tedesco Mutares valuta la possibile cessione dell’impianto
AC Boilers di Gioia del Colle (Bari). E Portovesme, accarezzato il sogno di un
rilancio con la multinazionale Glencore, rischia di tornare alla casella di
partenza dopo l’apertura della data room per un nuovo investitore interessato
alla linea zinco.”
Sulle
imprese in crisi lo stesso articolo conclude in maniera abbastanza sconsolata: “Messe
sul mercato, alla ricerca del miglior offerente: spesso con un piano
industriale che regge pochi anni, poi si ricomincia daccapo.”
E
questa storia “ricomincia daccapo” anche per le migliaia di operai coinvolti in
queste operazioni fatte tutte sulla loro pelle, con cassa integrazione per anni
e anni, fascismo padronale e licenziamenti… fabbrica per fabbrica, servono
piattaforme operaie specifiche per conquistare con la lotta e l’organizzazione
indipendente salario e diritti, verso uno sciopero generale vero che blocchi la
produzione e colpisca davvero i padroni, con la lotta per l’unità di tutti gli
operai su una linea di classe, affinché questa “storia” non si ripeta ancora e
sempre uguale.
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