“Raffineria di Priolo, 40 giorni per salvare 10.000
lavoratori”: è questo il titolo del Sole 24 Ore di oggi che dedica tutta
una pagina alla crisi del settore petrolchimico in particolare quello di
Priolo/Siracusa e delle sue ricadute anche a livello nazionale.
Ricadute per quanto riguarda l’occupazione, come mette in
rilievo nelle prime righe il quotidiano dei padroni: circa 10.000 operai in
bilico in tutta l’area; richiamo ai lavoratori che potrebbe essere strumentale -
per fare pressione sulle istituzioni e sul nuovo governo, per esempio – ma che
fotografa una situazione reale e pressante, visto che “Dall'ultima riunione a
Roma sono passati 55 giorni. Invano.”
L’“ordine che partirà il 7 novembre sarà dunque l'ultimo per gli impianti siracusani che dal 5 dicembre
non potranno più ricevere petrolio russo causa embargo: dal 6 dicembre vanno a casa i poco più di 1.000 dipendenti diretti, restano senza lavoro i 1.930 dell'indotto e subisce un colpo mortale l'intera area industriale siracusana tra Priolo, Augusta e Melilli. Di fatto sono almeno 10.000 i posti di lavoro che rischiano seriamente di saltare in aria perché come hanno più volte spiegato i vertici di Confindustria, e non solo loro, il sistema di questa area industriale si tiene e ogni impresa è direttamente interconnessa alle altre.”Questa oramai lunga, ennesima “crisi aziendale” sul “tavolo”
del Ministero è una di quelle pesanti, una delle tante “eredità” passata al nuovo
governo al quale crea più di un grattacapo visto che, tra l’altro, è legata allo
scenario della guerra interimperialista in corso e alle sanzioni alla Russia.
Il Sole24Ore spiega più avanti che “la raffineria di
Siracusa copre il 20% del fabbisogno annuale dell'Italia” e a cascata
interessa aziende (e operai) dal nord al sud del Paese, da Siracusa a Mantova a
Marghera, a Ferrara. I vari passaggi da un’azienda all’altra li riportiamo
sotto.
Intanto, è stato tirato subito in ballo il neo ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha fatto delle dichiarazioni che non sono servite, come riferisce il quotidiano dei padroni: “Stiamo seguendo alcune ipotesi di investimento o di acquisizione di questa impresa per consentirle di andare oltre la fatidica data in cui scatteranno le sanzioni”.
“Non è chiaro continua il quotidiano - se il ministro si
riferisse alle ipotesi di acquisizioni e investimenti circolate nelle scorse
settimane (ma mai confermate) o a ipotesi di lavoro tutte interne al
ministero: in questa fase di transizione sembra ancora presto per saperne di
più.” In ogni caso, “I documenti ufficiali comunque non parlano né di
acquisizioni né di investimenti. Il verbale della riunione del tavolo del 2
agosto, l’ultima, racconta che i vertici di Isab (era presenta anche Eugene Maniakhine,
nel frattempo nominato direttore generale) hanno evidenziato che la soluzione
ideale sarebbe ottenere una deroga almeno parziale per l'embargo dei greggi russi
per un periodo di almeno un anno; in alternativa, risulterebbe necessaria
per tutta la durata dell'embargo un'adeguata linea di credito per
l'emissione delle lettere di credito per l'acquisto del greggio non russo.”
Linee di credito… come si vede, anche questa enorme azienda
del valore di oltre 5 miliardi e un monte salari di 100 milioni l’anno, come le
altre, non perde occasione per chiedere soldi allo Stato: “garanzia Sace” che
non sia limitata ad una mera iniezione di liquidità ma “come previsto
dal decreto Aiuti possa divenire una misura di sostegno per l'azienda
per superare la crisi”…
Una “crisi”, è chiaro, che pagano sempre gli operai!
Mancano pochi giorni, quindi, alla possibile chiusura dell’azienda,
pochi giorni necessari per ragionare su come organizzare una lotta per la
difesa del posto di lavoro, innanzi tutto, e poi su come unirsi alle altre,
tante vertenze e lotte in corso, per una risposta forte e unitaria ad una
situazione che deve essere cambiata!
È questo il messaggio che è venuto fuori dall’Assemblea proletaria anticapitalista che si è tenuta a Roma il 17 settembre, promossa dallo Slai cobas per il sindacato di classe, che ha visto la partecipazione di rappresentanti operai di diverse fabbriche…
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Ecco il mosaico di relazioni chimiche nelle quali rischiano di perdere il lavoro circa 10.000 persone.
Se si ferma la raffineria Lukoil
di Priolo potrebbe fermarsi l'alimentazione di nafta che va al cracking
dell'etilene della Versalis (Eni) il cui stabilimento è a fianco della
raffineria. Sono 420 gli addetti diretti.
Se si spegne il cracking dell'etilene manca
l'alimentazione per produrre materie plastiche nello stabilimento Versalis di
Ragusa. Sarebbe a rischio anche quella parte dell'etilene che da Priolo parte
verso il nord diretto alla Versalis di Marghera, la quale via conduttura
alimenta i poli petrolchimici di Mantova e Ferrara.
La raffineria Lukoil poi manda gli idrocarburi raffinati nel
vicino impianto dell’Air Liquide da cui reformer estrae l'idrogeno, il quale
idrogeno dell'Air Liquide serve ad alimentare l'impianto di desolforazione
della Lukoil.
La raffineria Lukoil inoltre alimenta la centrale elettrica
a rigassificazione della Erg. La centrale elettrica è alimentata non solamente
con le materie prime energetiche della raffineria Lukoil ma anche dallo
stabilimento dell’Air Liquide, il quale distilla l'ossigeno e l'azoto necessari
a rigassificare i materiali forniti dalla raffineria alla centrale elettrica.
E poi ci sono i lavoratori del porto petrolchimico con i
pontili dell’Enichem e della raffineria. E ancora la Sasol che produce
cherosene speciale per i motori di aereo e alcuni composti chimici ad altissima
specializzazione. E i dipendenti ai disinquinamenti che lavorano per la Syndial-Rewind
dell’Eni. Non basta: ci sono gli addetti del consorzio Priolo Servizi,
consorzio cui aderiscono le aziende Erg, Isab, Rewind e Versalis; Il consorzio
fornisce alle aziende servizi come la manutenzione, la vigilanza e la
guardiania, il servizio antincendio della guardia ai fuochi e così via. Le
diverse aziende che sono legate alla raffineria Lukoil stanno guardando ad
eventuali approvvigionamenti alternativi di materie prime che potrebbero essere
importate in un mercato difficilissimo e molto chiuso perché è basato su
aziende vincolate le une alle altre.
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