Le contraddizioni a livello mondiale tra le potenze imperialiste si acuiscono quotidianamente e si arricchiscono di nuove pericolose “sfumature”. Una tra queste è la contraddizione tra la Cina e gli altri paesi imperialisti che hanno accolto positivamente la sentenza del tribunale dell’Aia contro la Cina (vedi: http://proletaricomunisti.blogspot.it/2016/07/pc-14-luglio-scontro-cina-filippine-la.html).
La Cina ha già risposto che non
terrà conto di questa sentenza, ma ha fatto seguire, per così dire, una seconda
“risposta”, frutto naturale della contraddizione di cui sopra, che nelle parole
di un giornalista ignorante diventano “vendetta”, e, infatti, il titolo di un articolo
di Affari&Finanza del 18 luglio dice: “Pechino si vendica della sentenza
sul Mar della Cina”. Come? Innanzi tutto scatenando “un’altra offensiva contro le attività straniere. Centinaia di aziende
finiscono sotto accusa per frode, truffa, o per aver acquisito illegalmente
‘posizioni monopolistiche.” E ancora: “Colossi
globali tornano nel mirino per violazione dei diritti dei lavoratori da parte
dei loro terzisti.”
Si tratta esattamente delle stesse accuse che i paesi imperialisti
“occidentali” hanno sempre fatto alla Cina (quindi del “normale” scontro tra
paesi imperialisti) come ricorda il giornalista: “I rilievi che il mondo economico occidentale ha lungamente mosso alla
Cina si riflettono contro chi ha ritenuto di poter impartire lezioni di
capitalismo e di etica alla potenza emergente del pianeta.” La Cina dei
reazionari che hanno intrapreso la via capitalistica, da Deng Xiaoping agli
attuali dirigenti, ha dimostrato di saper sviluppare il peggior capitalismo “delle
origini”, né tantomeno l’imperialismo è in grado di dare lezioni di etica! “Il capitale viene al mondo
grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro.” dice Marx nel
Capitale; ecco, la cosiddetta etica dell’imperialismo ha superato ogni
possibile immaginazione, poggiando di fatto sulla moltiplicazione all’infinito
di questa affermazione.
L’ignorante giornalista è un po’
turbato, perché c’è un “prima” e un “dopo” della Cina che non sa spiegarsi.
Dice infatti che prima il “modello cinese” è stato il paradiso, la “stagione
d’oro”, per le multinazionali che trovavano le seguenti condizioni: “bassi
costi” (si intende naturalmente di forza-lavoro, manodopera) poi
“infrastrutture avanzate, mercati in crescita”. Ma dopo circa trent’anni
“L’epoca d’oro del business invece appare ora al tramonto.” Perché? Anche la
Cina è in crisi? Sì, risponde l’economista: “le conseguenze della crisi pesano
anche sulla Cina e si vedono in ciò: ‘esportazioni in calo, fabbriche che
chiudono, licenziamenti, oneri in aumento, crescita del Pil quasi dimezzata in
dieci anni.’” Questi sono i classici effetti della crisi del sistema
capitalistico che il giornalista non conosce, e che confonde i piani quando
cerca di spiegare il fenomeno dicendo che c’è un braccio di ferro tra imprese
straniere e Cina su “sovrapproduzione e acciaio”. La sovrapproduzione riguarda
in genere tutte le merci (si produce troppo acciaio, troppo tessile, troppa
elettronica…) ed è il risultato classico della concorrenza globale tra
capitalisti dovuta all’anarchia della produzione, cioè ogni capitalista produce
quanto più può con prezzi sempre più bassi per conquistare mercati di sbocco
delle proprie merci. In questo senso per i capitalisti sembra una beffa del
destino quello che Marx ed Engels scrivevano nel Manifesto del partito
comunista pubblicato nel 1848! “I bassi prezzi delle sue merci [cioè della
borghesia di allora, con a capo l’Inghilterra] sono l’artiglieria pesante con
cui essa abbatte tutte le muraglie cinesi”! Oggi dalla Muraglia cinese partono
prezzi così bassi contro i quali ogni tentativo di “barriere tariffarie”,
“protezionismo” degli imperialisti diventa una “linea Maginot”!
Per quanto riguarda l’acciaio, ricordiamo
al giornalista ignorante, che così come per altre materie prime, è in corso una
vera e propria guerra commerciale in tutto il mondo, innescata proprio dalla
Cina che è il maggiore produttore mondiale ma anche il maggior consumatore in
quanto “fabbrica del mondo”. Queste manovre al giornalista appaiono come il
tentativo della Cina di nascondere “solo una nuova via cinese al protezionismo.”
Al giornalista piace naturalmente di più la via italiana, tedesca, francese,
degli Stati Uniti… al protezionismo, tanto che, al servizio del proprio
imperialismo, rimprovera la Cina nascondendosi dietro le multinazionali: “Gli
investitori esteri non nascondono insoddisfazione e critiche. Le lamentele
contro la violazione della proprietà intellettuale, contro le sovvenzioni di
stato e contro il monopolio pubblico in settori strategici, come quello
bancario, sono un fatto storico.” E cioè ancora una volta tutto quello che gli
imperialisti fanno ogni giorno nei loro paesi”. Ma “Mettere in discussione il
sistema economico cinese, a partire dalle regole, rivela invece un inedito e
oneroso distacco.” E proprio così, queste sono le “regole” dell’imperialismo:
possono i paesi imperialisti distaccarsi da un loro pezzo, definito addirittura
la “fabbrica del mondo”? No, la contraddizione si deve risolvere in altre forme…
e la lettura dell’opuscolo sull’Imperialismo di Lenin, pubblicato su questo
sito, serve a chiarire le forme, i modi e le mosse di tutte le parti in causa
che portano alla “soluzione” della contraddizione.
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