mercoledì 20 luglio 2016

pc 20 luglio - La Cina si “vendica” della sentenza sul Mar cinese meridionale, ovvero, la crisi dell’imperialismo cerca i suoi sbocchi…


Le contraddizioni a livello mondiale tra le potenze imperialiste si acuiscono quotidianamente e si arricchiscono di nuove pericolose “sfumature”. Una tra queste è la contraddizione tra la Cina e gli altri paesi imperialisti che hanno accolto positivamente la sentenza del tribunale dell’Aia contro la Cina (vedi: http://proletaricomunisti.blogspot.it/2016/07/pc-14-luglio-scontro-cina-filippine-la.html).
La Cina ha già risposto che non terrà conto di questa sentenza, ma ha fatto seguire, per così dire, una seconda “risposta”, frutto naturale della contraddizione di cui sopra, che nelle parole di un giornalista ignorante diventano “vendetta”, e, infatti, il titolo di un articolo di Affari&Finanza del 18 luglio dice: “Pechino si vendica della sentenza sul Mar della Cina”. Come? Innanzi tutto scatenando “un’altra offensiva contro le attività straniere. Centinaia di aziende finiscono sotto accusa per frode, truffa, o per aver acquisito illegalmente ‘posizioni monopolistiche.” E ancora: “Colossi globali tornano nel mirino per violazione dei diritti dei lavoratori da parte dei loro terzisti.”
 
Si tratta esattamente delle stesse accuse che i paesi imperialisti “occidentali” hanno sempre fatto alla Cina (quindi del “normale” scontro tra paesi imperialisti) come ricorda il giornalista: “I rilievi che il mondo economico occidentale ha lungamente mosso alla Cina si riflettono contro chi ha ritenuto di poter impartire lezioni di capitalismo e di etica alla potenza emergente del pianeta.” La Cina dei reazionari che hanno intrapreso la via capitalistica, da Deng Xiaoping agli attuali dirigenti, ha dimostrato di saper sviluppare il peggior capitalismo “delle origini”, né tantomeno l’imperialismo è in grado di dare lezioni di etica! “Il capitale viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro.” dice Marx nel Capitale; ecco, la cosiddetta etica dell’imperialismo ha superato ogni possibile immaginazione, poggiando di fatto sulla moltiplicazione all’infinito di questa affermazione. 

L’ignorante giornalista è un po’ turbato, perché c’è un “prima” e un “dopo” della Cina che non sa spiegarsi. Dice infatti che prima il “modello cinese” è stato il paradiso, la “stagione d’oro”, per le multinazionali che trovavano le seguenti condizioni: “bassi costi” (si intende naturalmente di forza-lavoro, manodopera) poi “infrastrutture avanzate, mercati in crescita”. Ma dopo circa trent’anni “L’epoca d’oro del business invece appare ora al tramonto.” Perché? Anche la Cina è in crisi? Sì, risponde l’economista: “le conseguenze della crisi pesano anche sulla Cina e si vedono in ciò: ‘esportazioni in calo, fabbriche che chiudono, licenziamenti, oneri in aumento, crescita del Pil quasi dimezzata in dieci anni.’” Questi sono i classici effetti della crisi del sistema capitalistico che il giornalista non conosce, e che confonde i piani quando cerca di spiegare il fenomeno dicendo che c’è un braccio di ferro tra imprese straniere e Cina su “sovrapproduzione e acciaio”. La sovrapproduzione riguarda in genere tutte le merci (si produce troppo acciaio, troppo tessile, troppa elettronica…) ed è il risultato classico della concorrenza globale tra capitalisti dovuta all’anarchia della produzione, cioè ogni capitalista produce quanto più può con prezzi sempre più bassi per conquistare mercati di sbocco delle proprie merci. In questo senso per i capitalisti sembra una beffa del destino quello che Marx ed Engels scrivevano nel Manifesto del partito comunista pubblicato nel 1848! “I bassi prezzi delle sue merci [cioè della borghesia di allora, con a capo l’Inghilterra] sono l’artiglieria pesante con cui essa abbatte tutte le muraglie cinesi”! Oggi dalla Muraglia cinese partono prezzi così bassi contro i quali ogni tentativo di “barriere tariffarie”, “protezionismo” degli imperialisti diventa una “linea Maginot”! 

Per quanto riguarda l’acciaio, ricordiamo al giornalista ignorante, che così come per altre materie prime, è in corso una vera e propria guerra commerciale in tutto il mondo, innescata proprio dalla Cina che è il maggiore produttore mondiale ma anche il maggior consumatore in quanto “fabbrica del mondo”. Queste manovre al giornalista appaiono come il tentativo della Cina di nascondere “solo una nuova via cinese al protezionismo.” Al giornalista piace naturalmente di più la via italiana, tedesca, francese, degli Stati Uniti… al protezionismo, tanto che, al servizio del proprio imperialismo, rimprovera la Cina nascondendosi dietro le multinazionali: “Gli investitori esteri non nascondono insoddisfazione e critiche. Le lamentele contro la violazione della proprietà intellettuale, contro le sovvenzioni di stato e contro il monopolio pubblico in settori strategici, come quello bancario, sono un fatto storico.” E cioè ancora una volta tutto quello che gli imperialisti fanno ogni giorno nei loro paesi”. Ma “Mettere in discussione il sistema economico cinese, a partire dalle regole, rivela invece un inedito e oneroso distacco.” E proprio così, queste sono le “regole” dell’imperialismo: possono i paesi imperialisti distaccarsi da un loro pezzo, definito addirittura la “fabbrica del mondo”? No, la contraddizione si deve risolvere in altre forme… e la lettura dell’opuscolo sull’Imperialismo di Lenin, pubblicato su questo sito, serve a chiarire le forme, i modi e le mosse di tutte le parti in causa che portano alla “soluzione” della contraddizione.

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