"Muntagnin”, “terùn” o “studènt”, le braccia nei campi di Saluzzo servono a migliaia – negli anni Settanta si parla di 4.000 lavoratori – ma non devono parlare, tantomeno avanzare pretese. Nel 1978 con la cosiddetta “Operazione Pesche” a regia Democrazia Proletaria e Lotta Continua, sono proprio gli studenti accampati ai margini della città a scaldarsi contro lo sfruttamento diffuso, il lavoro nero e le condizioni abitative insalubri dei braccianti che, quando gli va bene, vengono ospitati nelle stalle delle cascine. Come si legge in una lettera aperta indirizzata al Sindaco di Saluzzo, “il problema si pone oggi e si ripresenterà fino a che esisterà lavoro stagionale nella nostra zona”. (…). Fin dalla metà degli anni Novanta un tassello fondamentale nella catena del valore è svolto dall’intermediazione delle Organizzazioni di Produttori dove confluisce tutta la frutta delle aziende affiliate, che viene conservata nei magazzini di stoccaggio e poi rivenduta: il valore della produzione è concentrato per l’81% in quattro OP. Il modo di produzione capitalistico, a cui i grandi terrieri locali si sono tenacemente votati portando con sé tutti gli altri più piccoli, premia dunque la progressiva concentrazione di terre, tecnologie, capitali e determina che il profitto si ottenga espropriando chi sta più in basso nella filiera, fino all’ultimo anello, i lavoratori stagionali. Lo sradicamento dell’agricoltura e della cultura contadina è giunto a compimento. (da “A Saluzzo l’unico bracciante buono è il bracciante morto“, 2022)
Parole di un paio di anni fa, ma sempre attuali. La stagione frutticola nel terzo comparto nazionale, con un fatturato da capogiro, è in ritardo di un paio di settimane, le prime raccolte riguardano i mirtilli. Centinaia sono i braccianti già arrivati nel Saluzzese per i lavori preparatori, come il diradamento e la posa delle reti antigrandine. La stagione di raccolta nei campi che si sviluppano da
Revello a Cuneo, passando per Saluzzo, Lagnasco, Scarnafigi, Verzuolo, Fossano e Busca, vedrà impiegati 14 mila braccianti. Molti quelli che serviranno alle aziende per i “picchi di raccolta”: bacino di manodopera che deve essere disponibile ad essere sfruttato alla bisogna con paghe da fame. Poco importa se non hanno nemmeno un tetto sulla testa, come nel caso dei tanti che già oggi dormono all’addiaccio al Parco Gullino, basta che non alzino la testa. I filari di Saluzzo sono uno dei fronti della guerra interna.Una storia che si ripete da anni, anni in cui non sono mancate le lotte. A cambiare è la governance dello sfruttamento, che dalla costruzione della “emergenzialità” da invisibilizzare o gestire caritatevolmente è passata alla messa a valore sistemica. Una coalizione di istituzioni-padronato-privato sociale tramite la logica dei bandi fa transitare fondi europei, ministeriali, regionali e comunali direttamente nelle tasche di aziende e cooperative per “disciplinare” l’arrivo degli stagionali che strutturalmente l’agroindustria locale richiede, in linea con i dettami dell’investimento 2.2 del PNRR il cui commissario unico è stato recentemente nominato su proposta del Ministero dell’Interno. Non i “criminali” che hanno lasciato morire Satnam Singh e che il Ministro Lollobrigida ha prontamente cercato di isolare dal resto del comparto, ma i “buoni” che vogliono pacificare lo sfruttamento capitalistico tramite la polizia dei comportamenti e l’apertura di un nuovo business. Se poi ogni tanto ci scappa un morto, investito in bicicletta o ucciso da un macchinario, come Moussa Dembelè a Revello nel 2022, nessuno può negare che la civilissima Saluzzo sia un modello di accoglienza, mica come al sud!
Così, mentre il 31 gennaio, è stato approvato un protocollo di intesa tra il Comune di Saluzzo ed il Politecnico di Torino relativo all’agricoltura di precisione, i capitani di ventura locali possono serenamente continuare ad affinare le proprie armi all’avanguardia della guerra di classe.
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