A Novara venerdì 17 settembre, il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, è stato ascoltato come testimone della Procura al processo Eternit Bis.Cirio ha ricordato come – per la bonifica del sito di Casale Monferrato – Palazzo Lascaris abbia investito, a partire dal 1996, circa 120 milioni di euro. “Costituirsi parte civile per la Regione significa chiedere giustizia – ha poi detto il teste a margine del processo – perché la ferita dell’amianto è una ferita ancora aperta e la Regione continua e continuerà a fare una campagna di bonifica reale concreta e sostenendo gli enti pubblici con bandi e fondi europei per la bonifica dell’amianto delle strutture pubbliche e private”.
Eternit Bis: nelle testimonianze in aula rivivono i morti d'amianto
Prossima udienza lunedì. Primo teste della Procura sarà il sindaco Federico Riboldi
Quando Bruno Pesce si siede al banco dei testimoni e racconta, nelle sue
parole rivive un coro di testimonianze. Uomini, donne, amici e famigliari che al nuovo processo che vede coinvolto l'imputato Stephan Schmidheiny, con l'accusa di omicidio volontario, non ci sono potuti essere.
... l'attivista parte da lontano, dalle prime attività sindacali nel Casalese del 1979.
«In quell'anno fui chiamato a costruire un gruppo dirigente e durante
il processo avevo già un occhio di riguardo per la questione Eternit.
Sentivo che c'era un ruolo da svolgere sul territorio: si iniziava già
parlare di asbestosi e un poco anche di mesotelioma pleurico, parola che
però in molti non sapevano neanche bene come pronunciare». Da lì il
racconto di Pesce, mentre descrive l'attività che ha condotto a Casale
tra lotte sindacali e campagne di sensibilizzazione, si intreccia con le
storie di tutti coloro che negli anni hanno partecipato alla sua
battaglia e che purtroppo non ci sono più. «All'inizio
l'azienda non considerava il fatto che i suoi lavoratori potessero
contrarre una malattia professionale e non ne teneva conto nella
suddivisione delle mansioni. Ricordo un episodio di un carissimo amico,
si chiamava Gianpaolo Bernardi. Un giorno mi raccontò che dopo
che gli avevano riconosciuto l’asbestosi andò dal capo del personale e
gli disse: “sa che io ho l’asbestosi e continuo a fare il manutentore,
mangio un sacco di polvere. Mi cambi posto, vorrei vedere i miei bambini
crescere”. Mi raccontò che il capo non alzò neanche la testa dalla
scrivania. Gli rispose soltanto “Bernardi, lei lo sa dov’è la porta”.
Bernardi continuò a fare il manutentore, fino a qualche anno dopo quando
morì di mesotelioma pleurico».
Uno dei tanti racconti questo che scandisce la storia
dell'Eternit, così come i testimoni la ricordano. «La giustizia come
vedete è velocissima - sottolinea - Non è semplice parlare di questi argomenti perché nel frattempo sono morti tutti».
I momenti salienti della lotta all'azienda però Bruno Pesce se li
ricorda. Tra questi la causa civile del 1983, a cui tra i tanti aveva
preso parte come testimone Giovanni De Filippis. «La sua presenza fece
scalpore. Era ammalato in fase terminale di asbestosi, ma si era
impuntato per partecipare. Ricordo che era inverno: aveva una bella
coperta di lana addosso e una cuffia in testa. Lo portarono in aula con
la barella. Il pretore dell'epoca, Giorgio Reposo, per ascoltare la
testimonianza dovette scendere e avvicinare l’orecchio al testimone, perché gli mancava il fiato a tal punto da parlare con un fil di voce. All'epoca la sua foto, così imbacuccato, fece effetto più dei nostri tentativi di sensibilizzare».
Conclude la deposizione un breve contro-esame della difesa. A rivolgersi al teste per primo è Alessio di Amato,
oggi presente in sostituzione del padre Astolfo. «Conferma che Afeva
riceve una somma in relazione ad ogni pratica curata nell’ambito di ogni
offerta individuale?» la domanda del legale. La risposta di Pesce è
affermativa. Segue una richiesta di maggiori dettagli dall'avvocato Guido Carlo Alleva in merito alle prime attività sindacali.
«Nel 1979 c'era ancora molta prudenza: i sindacati di categoria avevano
sulle spalle i lavoratori - risponde l'ex sindacalista - Solo nel 1989
avverrà la presa di posizione nazionale». A questo però Alleva risponde
prontamente, portando all'attenzione del teste e della Corte due
fascicoli antecedenti al 1989. «Si tratta di documenti dei sindacati
risalenti al 1979 che dimostrano che a livello confederale già avevano
preso delle iniziative. Mi sembra inoltre che dimostrino qual era la posizione del sindacato, con lo stato delle conoscenze possedute all'epoca».
«Un dolore che a volte si vorrebbe dimenticare»
Continua l'udienza l'ultima teste del pomeriggio, Giuliana
Busto, oggi presidente di Afeva. La sua deposizione è un lungo racconto
che inizia dal primo momento in cui impararò a conoscere cos'è la
malattia d'amianto. «Iniziai ad avvicinarmi alla causa solo nel 1988. Il
più grande dei miei fratelli - un ragazzo sportivo, che non fumava ed
era salutista, un impiegato in banca - ogni giorno tornando da lavoro
metteva la tuta e andava a fare allenamento. Purtroppo si recava proprio
sull’argine del Po, dove c’era la fabbrica. Una mattina proprio
durante uno di questi allenamenti iniziò ad accusare un forte dolore al
petto, una febbre che non passava mai, stanchezza e anche un po’ di
tosse. La diagnosi definitiva: mesotelioma pleurico. Visse
ancora cinque mesi. Subito dopo la sua morte decidemmo di fare un'azione
forte: sul manifesto funebre dichiarammo che era stato l’amianto ad
ucciderlo. E questo fu uno schiaffo per la città perché fino ad allora
si era pensato che l’amianto fosse qualcosa che riguardava i lavoratori e
le famiglie dei lavoratori. Ma lui era un bancario. E questo fu il primo momento in cui la città si rese conto che non erano solo i lavoratori a soffrire». È
così che la Busto introduce la sua testimonianza, per poi raccontare in
modo dettagliato tutte le attività che da allora insieme ad Afeva (a
quel tempo ancora Afled) svolge per la comunità. «Il dolore non si
racconta: si vive. E si cerca anche di dimenticare a volte, ma noi non
dobbiamo farlo» conclude.
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