Al centro di questa importante giornata c’è un focus sulla pandemia, assolutamente necessario dato che da un lato non l’abbiamo ancora superata, e dall’altra è frutto del capitalismo, e resta importante perchè dobbiamo trarre l’esperienza da questo anno di battaglia dentro la pandemia.
Ma il sistema capitalista è un sistema di sfruttamento che consuma i lavoratori.
Superata l’emergenza sanitaria resta la produzione che è consumo. L’intensificazione dei ritmi di lavoro, attraverso metodi scientifici o imposta con il comando e il ricatto della precarietà, in questi ultimi anni, ha generato nelle fabbriche una usura delle operaie e degli operai che abbassa l’età anagrafica delle patologie.
È fondamentale quindi tenere al centro della nostra lotta, il nostro attacco a come i padroni ci vogliono imporre il lavoro, con ritmi sempre più alti e con la sicurezza intesa come un costo che va abbattuto.
Tornando alla pandemia agli inizi del 2020 in diverse aziende spontaneamente, gli operai hanno cominciato ad astenersi dal lavoro con la malattia a fronte di quello che stava avvenendo, per le condizioni di lavoro che erano da “carne da macello”, senza protezione, senza le mascherine e senza distanziamenti. Queste assenze nelle fabbriche sono state numericamente significative, unite agli scioperi di marzo che con grande forza hanno modificato la situazione in campo, e i padroni sono
passati alla chiusura. Il nostro lavoro si è inserito in questo, ma la chiusura nelle fabbriche è arrivata sulla spinta di questi fattori.Ci sono poi i settori che non hanno mai chiuso, come l’alimentare e la logistica. Qui con i lavoratori, anche dove i numeri non erano sufficienti a fermare la produzione, siamo intervenuti per far comprendere a tutti quanto stava accadendo, per resistere contro un lavoro che continuava ad essere imposto senza precauzioni.
In diversi magazzini della logistica i padroni obbligavano i lavoratori ad usare i ‘voice’, che sono una cuffia ed un microfono necessari per ricevere gli ordini e dare conferma del pezzo preso, con un uso promiscuo, di turno in turno sempre quelli, passati da un lavoratori all’altro.
Questa pratica è stata fermata, abbiamo portato ATS a produrre un protocollo provinciale, e, questo va detto, in parte come risultato di una mobilitazione, in parte per rimettere a fuoco il ruolo passivo che hanno gli organismi istituzionali, gli enti preposti.
Se è pur vero che i padroni cercano mille strade per fare profitti senza ostacoli, è pur vero che i padroni ogni tanto giocano facile, hanno un sistema che regge il loro impianto di sfruttamento, e poche volte arrivano ad essere messi sotto accusa.
La ripartenza di giugno ha segnato il reingresso in fabbrica degli operai sulla base dei protocolli stabiliti con i Cgil, Cisl, Uil. Un sacco di pagine, con tante operazioni dettagliate, molta immagine: le tende all’esterno delle fabbriche per il gel, le mascherine, la temperatura prima di entrare, ecc.; un controllo che, però, si è fermato alle portinerie, agli spogliatoi. Varcata la soglia dei reparti la produzione ha dettato le regole, anche quelle sanitarie.
Siamo risusciti a smascherare l’operazione indegna fatta da Tenaris Dalmine, che ha cercato di riaprire la produzione dicendo che avrebbe prodotto bombole per l’ossigeno, una produzione non standard. L’azienda, così, si è fatta passare per quella che si metteva a disposizione della salute pubblica producendo le bombole per l’ossigeno, quando in realtà è stato un escamotage per rimettere in funzione le linee di produzione per i tubi, fatti uscire in quantità maggiore e per ben altri mercati. L'operazione è inoltre servita per proseguire la sperimentazione di modi nuovi di produzione, accorpando mansioni, tagliando personale, contando sul carattere sensazionale del momento, con l’operaio leader di questo team che è stato premiato dal presidente della repubblica, elogiato anche per l’alto numero di bombole fatte a turno, quando sarebbe bastato, per servire l’emergenza sanitaria, invece di un turno a giornata, organizzare tre turni per l’ossigeno.
Quindi, modi di produrre che comunque aumentano il rischio per la salute e la sicurezza degli operai.
Contro queste ristrutturazioni, certificate da accordi aziendali confederali, con alcuni scioperi fatti nel reparto, l’opposizione che teniamo viva ha prodotto e produce una voce contraria e di resistenza ai piani padronali di sfruttamento.
Tornando alla logistica, con le mense dove vengono fatte le pause, ci siamo trovati, una per una, a contestare i pericolosi assembramenti, con 30 persone senza mascherine, dal momento che dovevano mangiare. Una per una perché i lavoratori non hanno altri amici negli organi di controllo.
O contro le cooperative che organizzavano le trasferte con i pulmini, stipando 9 persone in un pulmino da Brescia a Milano, una vera e propria camera a gas.
Nonostante il ‘clamore’ di queste circostanze, gli esposti sono rimasti lettera morta, soltanto la sollevazione dei lavoratori ha posto dei limiti a ciò.
Mi unisco quindi a chi dice che solo la lotta permette la difesa della salute, che solo la lotta ci da le basi per avanzare e per continuare più forti, estendendo la presenza nei luoghi di lavoro, rafforzando l’organizzazione, facendo avanzare la coscienza della dimensione generale dello scontro.
Perché quello dei padroni è un sistema di produzione, difeso dallo Stato, con il ruolo sul campo delle Prefetture, con gli organi di controllo insufficienti, comunque inefficaci se lasciati a se stessi, e con i sindacati confederali che danno una forte mano per garantire la pace sociale nei luoghi di lavoro e i ritmi della produzione ad ogni costo.
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