Di seguito la presentazione, anche in video
Il 170° anniversario della prima uscita de Il Manifesto del Partito comunista scritto da Marx ed Engels è una grande occasione per affermarne l'attualità e la potenza come strumento vivo per definire chi sono i comunisti ieri, oggi e sempre e qual'è la battaglia che fanno.
Ne Il Manifesto Marx ed Engels
affermano:”La storia di ogni società esistita fino ad ora è
storia di lotta di classe... La nostra epoca è l'epoca della
borghesia che ha e continua ad avere questo carattere distintivo.
L'intera società si scinde in due grandi campi nemici, in due grandi
classi direttamente contrapposte, borghesia e proletariato”.
Vi sono tra di esse altre classi e
strati, ma essi non possono cambiare la sostanza della struttura
della società moderna: una classe dominante e una classe degli
sfruttati e oppressi il cui cuore è la classe operaia.
La classe dominante ha nelle sue mani
il potere politico e Il Manifesto scrive: “Il potere politico
dello Stato moderno è solo un comitato che amministra gli affari
comuni di tutta la classe borghese”.
Questo a 170 anni di distanza
dall'uscita de Il Manifesto e attraverso tutte le trasformazioni
formali che si sono date dello sistema statale resta la verità di
fondo.
E' Il Manifesto che scrive che la
borghesia non è sempre uguale e il suo sistema non è sempre uguale.
Anzi, la borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo
gli strumenti di produzione, quindi i rapporti di produzione, quindi
tutto l'insieme dei rapporti sociali.
“Questo continuo sovvertimento
della produzione, questo ininterrotto scuotimento di tutte le
condizioni sociali, questo moto perpetuo e perpetua insicurezza
contraddistingue l'epoca borghese... Spinta dal bisogno di sempre
nuovi sbocchi per le proprie merci, la borghesia corre per invadere
tutto il globo terracqueo, deve annidarsi e stabilirsi dappertutto”
Chi può non vedere
in questa descrizione lo stato attuale del mondo?
“La borghesia costringe tutte le
nazioni ad adottare il modo di produzione borghese e le obbliga ad
introdurre la cosiddetta “civilizzazione”. In una parola essa si
crea un mondo a sua immagine e somiglianza”. Assoggetta
la campagna alla città, pone sotto il dominio delle grandi potenze i
popoli oppressi dal suo sistema; centralizza mezzi di produzione e
finanza e li pone al servizio del suo dominio.
Questo
sistema produce continue crisi, scrive Il Manifesto, si tratta di
crisi di sovrapproduzione che sono la manifestazione del fatto che “i
rapporti borghesi sono diventati ormai troppo angusti per contenere
la ricchezza che essi stessi producono”.
Come
riesce la borghesia a superare le crisi? “per un verso
tramite la distruzione forzata di una grande quantità di forze
produttive, per un altro attraverso la conquista di nuovi mercati e
più intenso sfruttamento di quelli già esistenti”.
Ma questo non fa che preparare nuove, formidabili crisi.
Per mettere fine a
questo sistema, a queste crisi, Il Manifesto spiega la legge, interna
al sistema, che ne produce la “soluzione”.
La
borghesia non ha soltanto fabbricato armi che producono morte, ma
anche gli uomini che possono servirsi di queste armi per mettere fine
al suo sistema. Questi uomini, scrive Il Manifesto “sono
gli operai moderni, i proletari... Il proletariato, ossia la classe
degli operai moderni i quali vivono solo finchè trovano lavoro e
trovano lavoro soltanto finchè il loro lavoro accresce il
capitale... Questi operai che sono costretti a vendersi giorno per
giorno non sono per la borghesia che una merce come tutte le altre e,
come merce, soggetta alla concorrenza e alle fluttuazioni del
mercato... L'operaio diventa un semplice accessorio della macchina e
il costo dell'operaio si limita in conseguenza ai semplici mezzi di
sussistenza che gli occorrono per vivere e perpetuare la sua
specie... via via che il sistema procede cresce il peso del lavoro
sia per il prolungarsi delle ore di lavoro, sia per l'aumento del
lavoro richiesto in una data unità di tempo...Non appena l'operaio
abbia finito di subire lo sfruttamento del fabbricante e abbia
ricevuto un salario in contanti, ecco diventare subito preda degli
altri membri della borghesia, il padrone di casa, il bottegaio, il
fornitore di mutui, e via dicendo”.
E' qui la base di
fondo della lotta operaia, lotta che è cominciata sin dall'inizio;
prima lotta di una sola fabbrica, poi di un'intera categoria contro
chi li sfrutta quotidianamente, poi contro l'intera classe degli
sfruttatori.
In
questa lotta: “... di quando in quando gli operai
vincono, ma il vero e proprio risultato delle loro lotte non è il
successo immediato ma l'unione sempre più vasta dei lavoratori...”
E in questa unione
diventano una classe e rendono ogni lotta di classe una lotta
politica.
L'organizzazione
del proletariato in classe e quindi in Partito politico della classe
è di continuo spezzata dalla concorrenza degli operai tra di loro
indotta dal sistema del capitale e dall'azione politica, economica
della classe dominante. E' questa lotta di classe che deve arrivare
fino in fondo.
In
questa lotta di classe tutte le classi sono chiamate a partecipare,
ma dice Il Manifesto “di tutte le classi che oggi sono
contrapposte alla borghesia solo il proletariato costituisce una
classe realmente rivoluzionaria: le altre classi si corrompono e
periscono e quando vogliono tornare ai privilegi precedenti sono
conservatori e reazionari, quando invece ricadono nella massa del
proletariato sono parte della lotta di classe del proletariato...”
“...Tutte le classi che si sono
impossessate del potere hanno sempre cercato di consolidare la
posizione raggiunta, assoggettando la società al loro particolare
modo di appropriazione. I proletari, invece, solo per una via possono
impossessarsi delle forze produttive sociali, che è quella di
abolire tutto il sistema di appropriazione esistente... Il movimento
proletario è il movimento indipendente della grande maggioranza
nell'interesse della grande maggioranza...”
“La storia quindi diventa storia
della lotta di classe e questa lotta di classe è la “guerra civile
più o meno occulta” che travaglia la società attuale fino al
momento in cui essa esplode in un'aperta rivoluzione, e il
proletariato stabilisce il suo dominio con il rovesciamento violento
della borghesia”
Finchè
questo non avviene, scrive Il Manifesto “L'operaio
moderno invece di salire di grado coi progressi dell'industria
discende sempre più in basso e perfino al di sotto delle condizioni
della sua propria classe”.
Se la borghesia
produce in questa maniera i propri becchini è solo la vittoria del
proletariato che rende possibile la fine di questa condizione.
I comunisti –
dice Il Manifesto - si distinguono dagli altri partiti proletari -
intesi qui indipendentemente se esistono come forma organizzata o
come tendenza nel proletariato - perchè essi nelle differenti lotte
nazionali dei proletari mettono in rilievo e fanno valere gli
interessi comuni del proletariato, tutto intero, che sono
indipendenti dalle nazionalità.
I
comunisti sono, dunque, la parte più decisa, che più spinge ad
avanzare gli operai di tutti i paesi. “...E dal punto di
vista teorico hanno il vantaggio, rispetto alla rimanente massa del
proletariato di comprendere a fondo le condizioni, il percorso e i
risultati generali del movimento proletario...”
Quindi, lo scopo
dei comunisti è netto e preciso: formazione del proletariato in
classe, rovesciamento del dominio della borghesia, conquista del
potere politico da parte del proletariato.
I comunisti si
battono per l'abolizione della moderna proprietà privata borghese,
perchè la proprietà nella sua forma presente si muove
nell'antagonismo tra capitale e lavoro salariato. Il capitale è un
prodotto collettivo e una potenza sociale che trasforma la proprietà
comune in proprietà di una classe.
E' questo che il
proletariato vuole abolire. La proprietà privata nella società
attuale è già abolita per 9/10 dei suoi membri – scrive Il
Manifesto – ed è questa “ingiustizia” che i comunisti vogliono
abolire.
Il comunismo non
toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi del prodotto sociale, ma
toglie solo la facoltà ai borghesi di giovarsi di tale
appropriazione per assoggettare il lavoro altrui.
Lo stesso vale per
la cultura e per tutti i legami sociali che esistono nella società
attuale.
Che
cosa infatti dimostra, dice Il Manifesto, la storia delle idee, se
non che la produzione intellettuale si modifica con la produzione
materiale? E che quindi:“Le idee dominante di un epoca
sono sempre state le idee della classe dominante”
Di conseguenza la
rivoluzione comunista è la più radicale rottura con i rapporti di
proprietà tradizionali e nel corso del suo sviluppo rompe nel modo
più radicale con le idee tradizionali.
Il
Manifesto dice “la prima tappa della rivoluzione operaia
consiste nell'elevarsi del proletariato in classe dominante, nel
raggiungere vittoriosamente la democrazia
(quella vera, quella proletaria). Il proletariato userà il
suo dominio politico per togliere via via alla borghesia tutto il
capitale, per concentrare nelle mani dello Stato, ossia del
proletariato organizzato come classe dominante, tutti gli strumenti
di produzione e per aumentare con la massima rapidità possibile la
massa delle forze produttive... fino a rivoluzionare l'intero modo di
produzione, fino a che al posto della vecchia società borghese, con
le sue classi con i suoi antagonismi di classe, subentra
un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è
condizione del libero sviluppo di tutti”.
Molti si dicono
dalla parte del popolo, del proletariato, socialisti e comunisti, ma
il loro socialismo e il loro comunismo non corrisponde a quello
indicato dal Manifesto come interesse del proletariato.
Molti rimproverano
alla borghesia di aver prodotto un proletariato, ma perchè temono
che abbia prodotto un proletariato rivoluzionario. Per cui sono
contro la borghesia quando essa domina, ma diventano contro il
proletariato quando esso si ribella e lotta per la rivoluzione.
Molti socialisti
sono ispirati da una visione cristiana, ma il socialismo cristiano
non è che “l'acqua benedetta” che sostituisce la carità al
sostegno della lotta.
La borghesia non
domina soltanto il proletariato ma anche la piccola borghesia che di
continuo oscilla tra proletariato e borghesia, come parte
complementare della società borghese che si riforma continuamente.
Gli individui che la compongono vengono continuamente ricacciati, dal
funzionamento del sistema del capitale, nel proletariato, e, quindi,
lottano contro la borghesia e aspirano ad un loro socialismo. Mettono
in luce i mali della borghesia e dei suoi modi di produzione, ma non
individuano nella classe proletaria il soggetto che mettendo fine a
quel sistema di produzione metterà fine alla loro oppressione, ma
anche alla loro condizione di piccolo borghesi e alle loro idee
piccolo borghesi. Questo falso socialismo, anziché gli interessi del
proletariato tende a mettere in rilievo quelli della natura umana e
dell'uomo in generale, dell'uomo che non apparterrebbe a nessuna
classe, e trasformano il socialismo in fantasia filosofica o sistema
sociale immaginario.
Entrano
in questa categoria “economisti, filantropi, umanitari,
miglioratori della sorte della classe operaia, organizzatori della
beneficenza, protettori degli animali, fondatori di circoli di buone
intenzioni e di buone maniere, e tutta la variopinta genia di minuti
riformatori”.
In
realtà questi vogliono la società attuale tolti gli elementi che la
rivoluzionano. Dice Il Manifesto “vogliono la borghesia
senza il proletariato e descrivono questo come l'ipotetico migliore
dei mondi possibili” e ai
proletari in fondo non chiedono che starsene in questa società
attuale rinunciando alle odiose opinioni che se ne fanno.
Alcuni
di questi riformatori cercano di seminare tra la classe operaia il
disgusto per ogni movimento rivoluzionario. Non vogliono l'abolizione
dei rapporti borghesi di produzione, realizzabili solo per via
rivoluzionaria, ma “piuttosto –
dice il Manifesto – miglioramenti amministrativi
realizzati sul terreno stesso dei presenti rapporti di produzione.
Miglioramenti che nulla cambiano nei rapporti tra capitale e lavoro
salariato, anzi in molti casi rendono meno costoso alla borghesia
l'esercizio del potere e l'assetto della sua finanza statale”.
Dice
Il Manifesto: “Libero scambio, nell'interesse della
classe operaia, dazi protettivi (protezione dell'industria,
dell'economia nazionale) nell'interesse della classe operaia; riforma
delle carceri, nell'interesse della classe operaia”.
Il riformismo è il socialismo della borghesia, e consiste dice il
Manifesto, in questo enunciato: “I borghesi sono borghesi
nell'interesse della classe operaia”.
“Alcuni di essi escogitano nuovi
sistemi sociali ma non scorgono nessuna azione storica dalla parte
del proletariato, nessun movimento politico che gli sia proprio.
Sanno sì rappresentare nei loro progetti la condizione e l'interesse
della classe operaia, ma come classe che soffre di più, e il
proletariato per essi non esiste che sotto il punto di vista di
classe dei sofferenti - O, come
dicono alcuni odierni sostenitori di questa visione, come gli
“esclusi” della società - Respingono in particolare
ogni azione rivoluzionaria. Vogliono raggiungere il loro obiettivo
con mezzi pacifici e cercano con la forza dell'esempio di aprire la
via a quello che Il Manifesto chiama “un nuovo vangelo sociale,
tramite piccoli esperimenti che naturalmente falliscono”
A questo si
contrappone il Manifesto del Partito comunista e i comunisti.
Essi
“lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi
immediati della classe operaia, ma nel movimento presente
rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento stesso. Essi
operano per risvegliare negli operai la coscienza, per quanto è
possibile chiara, dell'antagonismo ostile esistente tra borghesia e
proletariato... affinché gli operai sappiano convertire in armi
dirette contro la borghesia le condizioni sociali e politiche. I
comunisti appoggiano dappertutto ogni movimento rivoluzionario contro
le condizioni sociali e politiche esistenti e in tutti questi
movimenti mettono in rilievo come problema fondamentale del movimento
la questione della proprietà del capitale.
“I comunisti, però
(e innanzitutto oggi più che mai) sdegnano - dicono
alla fine Marx ed Engels - di nascondere le loro opinioni e
le loro intenzioni e dichiarano apertamente che i loro obiettivi –
che sono quelli del proletariato
come classe – possono essere raggiunti solo col
rovesciamento violento di tutto l'ordine sociale esistente... perchè
i proletari non hanno nulla da perdere fuorchè le loro catene e
hanno un mondo da conquistare”
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