Riprendiamo il testo di Lenin, affrontando il IX capitolo "Critica dell'imperialismo"
Lenin segnala che per
critica dell'imperialismo si deve intendere in senso ampio come
critica all' “atteggiamento delle diverse classi sociali verso
la politica dell'imperialismo in connessione con la loro ideologia
generale”.
Questo è estremamente
importante perchè individua chiaramente come l'atteggiamento verso
l'imperialismo, e in particolare verso il proprio imperialismo,
dipende o è una spia del tipo di classe sociale di cui si è
espressione e si è al servizio, al di là della loro
autodefinizione.
Questo vale in generale
per i riformisti e i partiti di sinistra parlamentari.
L'imperialismo –
continua Lenin – concentra nella proprie mani il potere economico e
politico e
mette a sua dipendenza la media e piccola borghesia, legandone le sorti, nell'inasprirsi della lotta tra i diversi imperialismi, agli esiti della spartizione del mondo e del dominio sugli altri paesi.
mette a sua dipendenza la media e piccola borghesia, legandone le sorti, nell'inasprirsi della lotta tra i diversi imperialismi, agli esiti della spartizione del mondo e del dominio sugli altri paesi.
Questo spinge i cantori
dell'imperialismo e dei suoi sostenitori ad abbellire l'azione di
esso e a difenderne gli interessi. Gli effetti di questo si
manifestano nel fatto che “L'ideologia imperialista si fa strada
anche nella classe operaia, che non è separata dalle altre classi da
una muraglia cinese.”.
Ed è ben ragione, dice
Lenin, che i capi della socialdemocrazia “vengono qualificati
“social-imperialisti”, cioè socialisti a parole, imperialisti
nei fatti”. Definizione che vale per l'intera area di
riformismo socialdemocratico nei paesi imperialisti, alla cui
categoria appartengono sicuramente tutti i partiti della sinistra
parlamentare degli ultimi anni e ad essa va ascritta, con alcuni
distinguo, tutta l'area, ad esempio in Europa, principalmente anti
Usa, o, all'interno del blocco europeo, anti euro, Brexit, ecc.
Costoro difendono
l'imperialismo, diremmo con Lenin “mettendo innanzi
particolarità secondarie e distraendo l'attenzione dall'essenziale”.
Della stessa natura sono le posizione di riforma dell'imperialismo
fondata sul cosiddetto “controllo” dei trust e delle banche.
E' un'attitudine
socialimperialista anche quella che ben descrive e spesso sostiene le
lotte dei popoli oppressi ma quando sono lotte contro un altro
imperialismo, diverso dal proprio. La stampa borghese spesso è il
puro riflesso di questo tipo di attitudine; essa normalmente, nei
diversi paesi, è molto attenta alle sfere di influenza del proprio
imperialismo, amplifica i movimenti di lotta contro gli altri
imperialismi, e copre, abbellisce e dissimula le nefandezze, i
crimini, gli interessi del proprio imperialismo.
Lenin, poi, citando un
rapporto inglese su una delle Conferenze internazionali avente come
tema l'oppressione delle nazionalità e delle razze, con la
partecipazione di rappresentanti di popoli di Asia, Africa e Europa,
sottoposti a dominazione straniera, sottolinea come in queste
Conferenze, in questi rapporti, vengano fatte grandi affermazioni
“anti imperialiste”: “Gli Stati dominatori dovrebbero
riconoscere il diritto all'indipendenza dei popoli soggetti, una
Corte internazionale di giustizia dovrebbe vigilare sull'osservanza
dei trattati conclusi tra le gradi potenze e i popoli più deboli”,
ecc. ecc.
Ma quello che si nega è
che l'imperialismo è indissolubilmente legato all'imperialismo nel
suo assetto odierno, e quindi la lotta all'imperialismo se non tiene
conto di questo, diventa una lotta contro “I
singoli eccessi di nefandezza eccezionali”.
Lenin preferisce
nettamente gli imperialisti cinici che parlano chiaro, piuttosto che
i pii desideri dei riformisti.
Lenin ribadisce che la
questione è semplice. Si possono mutare le basi dell'imperialismo
mediante riforme? E a fronte dell'inasprimento degli antagonismi
generati dall'imperialismo, bisogna puntare ad un'attenuazione di
essi?
E' chiaro che una risposta
positiva a queste due domande è ciò che caratterizza, l'opposizione
democratica piccolo borghese.
Essa nasce dalle
particolarità dell'imperialismo che consistono nella reazione
politica su tutta la linea e intensificazione dell'oppressione
nazionale, ma è, appunto, una opposizione che non riconosce la
natura effettiva dell'imperialismo e ne vuole combattere gli effetti
e non le cause.
A fronte di questo, i
comunisti debbono contrapporsi a questa “opposizione”, invece i
socialdemocratici, i revisionisti, gli opportunisti che si
definiscono comunisti fanno come Kautsky. E alla sua epoca “Kautsky
si è totalmente confuso con essa”.
Ogni guerra imperialista –
qui Lenin cita quella degli Stati Uniti con la Spagna nel 1898 –
vede in campo un'opposizione all'imperialismo che anche quando ne
riconosce la inevitabilità, oppone ad esso delle politiche e
proposte riformiste, e si appella alla “necessità di elevare
(in regime capitalista!) la capacità di consumo della popolazione...
critica... l'onnipotenza delle banche e dell'oligarchia finanziaria”.
Unita alla pretesa di dimostrare che la pace sul piano economico per
l'imperialismo sia più conveniente della guerra.
Lenin aggiunge che se per
gli economisti borghesi una simile ingenuità non deve far
meraviglia, bisogna invece indignarsi quando i presunti marxisti come
alla Kautsky fanno propria questa visione e questa posizione e
affermano che tutti alla fine sono d'accordo sulla questione della
pace.
Quindi, invece che
denuncia dei profondi antagonismi dell'imperialismo, troviamo, dice
Lenin “il “pio desiderio” riformista di non sapere niente di
tali antagonismi, di sbarazzarsene con un'alzata di spalle”.
Lenin affronta come i
marxisti alla Kautsky analizzano i fatti economici in maniera
deformata.
In particolare questi,
prendendo ad esempio l'Egitto, mette in rilievo che il commercio tra
Inghilterra e l'Egitto, paese imperialista l'uno, paese dominato
l'altro, sarebbe andato meglio senza l'occupazione militare,
lasciando andare avanti solo i processi economici. Anzi, Kautsky
scrive esplicitamente “l'impulso del capitale ad ampliarsi può
trovare la migliore soddisfazione non coi metodi violenti
dell'imperialismo ma con una democrazia pacifica”.
Questa posizione è,
allora come oggi, quella sostenuta dai pacifisti, riformisti,
socialdemocratici, “socialisti” di ogni sorta, che pretendono di
dire che i paesi imperialisti avrebbero più interesse ad una
dominazione economica senza metodi violenti invece che condurre
guerre, aggressioni, invasioni.
Quando si dice
“penetrazione economica”, però, tutti costoro nascondono il
fatto che essa è appunto la trasformazione del capitalismo che passa
dalla libera concorrenza ai monopoli e da questa al dominio del
capitale finanziario e, di conseguenza, alla spinta al possesso
monopolistico delle colonie; e, quindi, dire che il capitalismo si
sarebbe sviluppato più rapidamente significa non riconoscere che
questo sviluppo rapido dipende dalla concentrazione della produzione
del capitale che, a sua volta, genera il monopolio. Ed è questa
trasformazione che rende necessario il dominio monopolistico dei
paesi imperialisti verso i paesi oppressi. E siccome questo dominio
assoluto è ciò che muove ogni imperialismo, ogni monopolio, è
evidente che questo acutizza le contraddizioni in esso, che si
traducono in necessità di guerre, occupazioni, invasioni, ecc.
Nello stesso tempo se si
parla anche semplicemente sul terreno economico, è evidente che i
cartelli monopolistici proteggono i prodotti che debbono essere
esportati “il sistema, caratteristico dei cartelli e del capitale
finanziario, di “esportare a basso prezzo” (fa sì che):
all'interno il cartello vende le sue merci agli alti prezzi di
monopolio, all'estero li dà a prezzi irrisori al fine di schiantare
gli altri concorrenti, di accrescere la massimo la propria
produzione”.
Di conseguenza, chi tra
gli imperialisti è più in grado di fare questo, si afferma e si
rafforza. Ma questo non dimostra affatto la superiorità del libero
commercio, ma il fatto che ormai questa libera concorrenza si è
trasformata in lotta di “un imperialismo contro un altro, di un
monopolio contro un altro, e di un capitalismo finanziario contro un
altro”.
Quindi, Lenin conclude che
pretendere un commercio libero dai monopoli è una posizione
reazionaria e che l'unica alternativa al monopolio è il superamento
del capitalismo, il socialismo.
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