Si
muore all’Ospedale Cannizzaro di Catania, si muore con molta probabilità di
obiezione di coscienza e non è il segreto di Pulcinella che tale scelta informi
quasi interamente quel personale medico, tanto che il Direttore Generale Angelo
Pellicanò e il Primario del Reparto Ginecologia Paolo Scocco hanno sostenuto,
confermandolo che in reparto, la maggior parte dei medici sono obiettori di
coscienza, dunque non praticano l’aborto. Ora, cosa sia accaduto alla donna
morta e ai suoi piccoli in grembo, cosa abbia portato al decesso, lo stabilirà
la magistratura, che ha messo sotto inchiesta 12 medici . Le sirene
dell“Avvenire” hanno immediatamente avvertito
che è in corso “una caccia all’obiettore di coscienza” solo perché il marito di Valentina, la donna a cui di fatto se confermato, è stata sottratta la vita, nell’intempestività di una scelta fatta sulla sua pelle, ha raccontato in due interviste: “L’ha detto a me quel medico che era obiettore e non poteva intervenire fino a che c’era vita in quei feti, l’ha detto a me mentre mia moglie urlava di dolore. L’ha detto a me e ad altre persone, ora parlino queste persone, raccontino”
che è in corso “una caccia all’obiettore di coscienza” solo perché il marito di Valentina, la donna a cui di fatto se confermato, è stata sottratta la vita, nell’intempestività di una scelta fatta sulla sua pelle, ha raccontato in due interviste: “L’ha detto a me quel medico che era obiettore e non poteva intervenire fino a che c’era vita in quei feti, l’ha detto a me mentre mia moglie urlava di dolore. L’ha detto a me e ad altre persone, ora parlino queste persone, raccontino”
E’ stata
dunque un’insufficienza placentare che compromettendo le funzioni vitali di uno
dei due feti in grembo, ne ha trasformato la sofferenza in quella sepsi che ha
condotto la madre alla morte e questa non poteva che rendersi ineluttabile o
piuttosto: la situazione sarebbe stata evitabile se tale condizione non fosse
stata favorita dal ritardo o dal rifiuto del medico nell’estrarre i feti,
mettendo in pratica la procedura d’aborto? I sanitari del Cannizzaro Reparto
Ginecologia si difendono affermando che pur essendo tutti obiettori, in caso di
aborto di necessità, terapeutico e quindi al fine di una vita salva, l’obiezione
cade nei termini di legge. Dunque è solo rabbrividente l’ipotesi che potesse
essere presente una sorta di purista dell’obiezione che abbia considerato lo
strazio di Valentina, nella richiesta implicita di aborto, come non urgente, non
impellente e in definitiva non necessaria, unendo alla presunzione ideologica,
l’errore clinico. Ovviamente indipendentemente dalle conclusioni autoptiche e
degli inquirenti, non si può che definire assurdo, incomprensibile che in
quell’ospedale, nel reparto di ginecologia, fossero tutti obiettori.
Se abbiamo una legge che rende possibile l’obiezione di coscienza ai medici, consente ugualmente alle donne il diritto all’assistenza e all’aborto nelle strutture sanitarie pubbliche. Un ospedale dunque che contempli un reparto ginecologia dove tale diritto è negato, non praticato, è scandaloso ed è davvero poi difficile stabilire il confine tra la stupidità e l’indecenza, quando gli stessi vertici dell’ospedale lo dichiarino come situazione che non sfugge ad una prassi anche usuale. E con buona pace delle coscienze che non hanno troppo da obiettare invece in tal direzione, spesso tale categoria, preferisce seguire tale norma e pratica per una questione di convenienza. Assistere e seguire una donna nell’aborto non offre particolari vantaggi nella carriera e rende poco in onorario, tanto da verificarsi l’assurdità di ritrovarsi con almeno l’80 per cento dei medici obiettori di coscienza all’interno degli ospedali e di non essere più tali nelle prestazioni extra moenia. Vi è dunque un’interpretazione piuttosto opportunista e furba della 194, assistendo in Italia, 38 anni dopo dall’approvazione della legge che introduceva l’aborto, al 70% di obiettori di coscienza fra ginecologi, con la percentuale parossistica del 90% al Sud (la metà quasi tutta in Sardegna ). L’obiezione di coscienza si avvale dell’articolo 9 che si riferisce unicamente ai ginecologi ed invece investe e illegalmente categorie mediche più disparate: anestesisti, operatori sanitari e addirittura non esenta i farmacisti nella somministrazione della pillola del giorno dopo, farmaco che ricordiamo non abortivo ma contraccettivo.
Per di più – e qui la triste e non peculiare condizione dell’ospedale di Cannizzaro - ci si imbatte spesso in strutture impossibilitate ad effettuare interruzioni volontarie di gravidanza, in una stima che le indica in 4 su 10, dal momento che tutti i dipendenti sono obiettori. L’articolo 9 era stato inserito, affinché ai medici che già esercitavano, fosse consentita l’obiezione. Ma dopo le lauree del 1978, chi ha scelto nella professione medica di diventare ginecologo, è perfettamente a conoscenza della possibilità di praticare l’aborto per mezzo di una legge dello stato. Va sottolineato tra l’altro che l’obiezione di coscienza non ha alcun tipo di ricaduta su chi la conduce ma semmai sulle donne e su chi non è obiettore in termini di rincari di lavoro e di turni più pesanti. La ragione è presto detta: la maggior parte dei medici che si batté per la legge 194 aveva delle motivazioni forti e importanti, conoscendo la crudele e violenta realtà degli aborti clandestini (per non parlare del supporto degli strumenti diagnostici capaci di monitorare il feto nel grembo materno fin dalle prime settimane, rendendo il rapporto quasi univoco tra il nascituro e il medico, con la gestante sempre più in secondo piano); la situazione attuale, vuole però che la promozione e le nomine in ospedale siano di ordine politico e se si aspira ad un ruolo di primario in regioni governate dal centrodestra, è meglio prendere in considerazione l’obiezione, anche perché il Movimento per la vita, ha scavalcato e trovato terreno fertile ai piani alti delle Istituzioni e nel mondo accademico.
L’obiezione di coscienza si realizza come il perfetto corto circuito che impedisce il pieno diritto delle donne alla libera scelta e con rischi per la propria salute, tra snervanti attese e la ricerca defatigante di strutture che pratichino l’ivg. E così nel 2014, La Comunità europea bacchetta l’Italia per l’impossibilità all’interruzione di gravidanza, violando apertamente l’articolo 11 (diritto alla salute) della Carta Sociale Europea. Anche se in definitiva questa non è solo un’anomalia italiana, dato che ben quattro Stati membri dell’UE continuano a criminalizzare l’aborto e la crisi colpisce sempre più duramente i servizi sanitari pre-e post parto.
Nel 2016 in Europa, molte donne non hanno accesso ai mezzi contraccettivi e all’aborto sicuro proprio perché il proprio diritto di scelta riguardo questioni sessuali e riproduttive è fortemente limitato. E comunque la fotografia del nostro paese racconta di strutture inadeguate per giovani precarie/disoccupate ed emigranti (soprattutto per quest’ultime che trovano inaccessibili le profilassi anticoncezionali dati gli alti costi), con pochi consultori (la percentuale dovrebbe essere di 1 ogni 20.000 abitanti e sono invece 1 ogni 100.000), anzi spesso, questi servizi di base nell’ assistenza alle donne e di educazione alle pratiche contraccettive, diventano i luoghi di ancoraggio dei volontari del mpv, di chiara vocazione cattolica che diffondono più che distorte idee sulla contraccezione e la sessualità. Le donne che scelgono l’aborto, vengono ancora stigmatizzate, ritrovandosi in estrema difficoltà a causa della burocrazia e delle modalità che rendono il momento dell’ivg un’esperienza ulteriormente traumatica. Andrebbe di sicuro riformulata l’impostazione che limiti per le strutture ospedaliere l’uso inappropriato della scelta dell’obiezione di coscienza, indirizzando gli studenti contrari all’aborto ad altre specializzazioni e organizzando concorsi per soli non obiettori come avviene altrove. Ma soprattutto è importante che vi sia una forte presa di coscienza delle donne in forme di discussione e di lotta come quelle che in Spagna vede le donne organizzarsi e battersi in nuovi percorsi, arricchendosi di continuo di nuove riflessioni. A tutte queste situazioni di enorme disagio vi sovrasta, in una trama spessa e di raccordo, il “Sistema Sanitario Nazionale” che non fa mancare le profonde differenze tra nord e sud Italia nella discontinuità delle prestazioni offerte e dove i piccoli ospedali e gli ambulatori subiscono il declassamento e vanno assottigliandosi, sia nell’organico che nelle prestazioni, con l’inevitabile chiusura dei reparti, la diminuzione dei posti letto, fino alla chiusura completa dei presidi.
La pianificazione riguardo la prevenzione e la salute in alcune Regioni è assolutamente inesistente. Addirittura il decreto sulla sanità del ministro Lorenzin, consente unicamente per alcuni esami specifici la prescrizione dei medici di base secondo determinati criteri e limitazioni. Dunque, solo se si presenta una determinata condizione, è possibile avere tale possibilità e supporto ed infatti, sono previste delle sanzioni per i medici che prescrivono visite ed esami non ritenuti necessari dal Ministero.
Se si è affetti da una patologia si può accedere ad indagini mediche ma senza di queste ovviamente non è possibile risalire ad alcunché alimentando un paradosso che solo tali disposizioni possono ingenerare. Poi abbiamo la ridefinizione dei nuovi LEA (livelli essenziali d’assistenza), che sarebbero le prestazioni sanitarie che al cittadino vengono erogate in maniera gratuita o con una compartecipazione alla spesa e che non dovrebbero essere onerose ma che – e almeno nel numero di 24 – diventano a carico dei pazienti. Interventi ambulatoriali come la cataratta, il tunnel carpale, l’operazione del cristallino e che rientrano nelle patologie che pesano sulla tasca di persone anziane o di chi fa lavori usuranti e spesso precari in difficoltà nell’accedere alle cure, vengono fortemente limitati. E in questa girandola di miliardi di euro di finanziamenti sottratti alla sanità pubblica, nel proliferare di strutture convenzionate, nell’imposizione delle strutture private, alla fiscalità normale, si aggiunge anche il costo della spesa sanitaria il cui confine tra pubblico e prestazione a pagamento è sempre più labile, dove anche i consultori, come abbiamo già accennato, si riducono sempre di più, con il proliferare di obiettori di coscienza che si realizzano come seria minaccia ad un’offerta realmente universale e democratica del sistema sanitario.
Si moltiplicano i tempi di attesa di liste lunghissime per la prenotazione di una visita medica, aumentano le peregrinazioni in altre città alla ricerca di strutture mentre chi può consentirsi la sanità privata accorcia i tempi. La Gazzetta Ufficiale del Governo, non molto tempo fa, ha pubblicato un nuovo elenco di farmaci, tutti riclassificati dalla fascia A (dunque a carico del servizio sanitario nazionale, mentre nella fascia C sono interamente a carico del cittadino) e di cui di fatto, sono venute a conoscenza solo le farmacie. In questa rendicontazione, vi sono le pillole anticoncezionali a basso dosaggio e distribuite fino ad oggi ad un costo esiguo. Tali ormoni sono indispensabili nella prevenire e curare patologie serie quali i fibromi e l’endometriosi ma oramai non essendo più mutuabili, verranno conteggiati interamente per il costo sulla confezione e questo a sfavore ovviamente dei strati popolari più in difficoltà. Le proletarie a cui le strutture pubbliche sono inaccessibili, avranno sempre maggiore difficoltà a curarsi, rischiando di dover rinunciare alla contraccezione e alla libertà di scelta riguardo la gravidanza. Ad onor del vero comunque, tutte le forme contraccettive, non sono mai state a carico del servizio sanitario nazionale.
Le donne che fanno tale scelta, si trovano a spendere anche 20 euro al mese e senza alcuna possibilità di detrazione. In compenso, il servizio sanitario, in questo climax di tagli, aumenti della spesa e preclusione alle cure, “concede” in ultima ratio, l’aborto, pratica dolorosissima fisicamente ed emotivamente estenuante che nel moralismo protervo degli obiettori, aggiunge ulteriore sofferenza per una decisione che frequentemente viene assunta proprio malgrado. L’aborto è il rimedio ultimo a cui si incorre quando – e ciò avviene sempre più di frequente – non si è in grado da sole o in coppia di concedersi la sopravvivenza del proprio figlio senza rischiare l’assoluto impoverimento. Altro che la miope e colpevole campagna per la fertilità del ministro Beatrice Lorenzin (che riguardo l’ospedale di Catania, già il giorno dopo ha sentito l’esigenza di negare la responsabilità dell’avvenuto, interno alle logiche legate all’obiezione di coscienza) nel fingere di non vedere d’aver contribuito all’ennesima sperequazione sociale per quanto concerne la gestione della sanità e delle strutture ad essa afferenti e all’aver marcato il solco che separa le donne per possibilità economiche e condizioni sociali nella condizione di decidere ancora una volta di sé, del proprio corpo e della possibilità o meno di diventare madri.
Se abbiamo una legge che rende possibile l’obiezione di coscienza ai medici, consente ugualmente alle donne il diritto all’assistenza e all’aborto nelle strutture sanitarie pubbliche. Un ospedale dunque che contempli un reparto ginecologia dove tale diritto è negato, non praticato, è scandaloso ed è davvero poi difficile stabilire il confine tra la stupidità e l’indecenza, quando gli stessi vertici dell’ospedale lo dichiarino come situazione che non sfugge ad una prassi anche usuale. E con buona pace delle coscienze che non hanno troppo da obiettare invece in tal direzione, spesso tale categoria, preferisce seguire tale norma e pratica per una questione di convenienza. Assistere e seguire una donna nell’aborto non offre particolari vantaggi nella carriera e rende poco in onorario, tanto da verificarsi l’assurdità di ritrovarsi con almeno l’80 per cento dei medici obiettori di coscienza all’interno degli ospedali e di non essere più tali nelle prestazioni extra moenia. Vi è dunque un’interpretazione piuttosto opportunista e furba della 194, assistendo in Italia, 38 anni dopo dall’approvazione della legge che introduceva l’aborto, al 70% di obiettori di coscienza fra ginecologi, con la percentuale parossistica del 90% al Sud (la metà quasi tutta in Sardegna ). L’obiezione di coscienza si avvale dell’articolo 9 che si riferisce unicamente ai ginecologi ed invece investe e illegalmente categorie mediche più disparate: anestesisti, operatori sanitari e addirittura non esenta i farmacisti nella somministrazione della pillola del giorno dopo, farmaco che ricordiamo non abortivo ma contraccettivo.
Per di più – e qui la triste e non peculiare condizione dell’ospedale di Cannizzaro - ci si imbatte spesso in strutture impossibilitate ad effettuare interruzioni volontarie di gravidanza, in una stima che le indica in 4 su 10, dal momento che tutti i dipendenti sono obiettori. L’articolo 9 era stato inserito, affinché ai medici che già esercitavano, fosse consentita l’obiezione. Ma dopo le lauree del 1978, chi ha scelto nella professione medica di diventare ginecologo, è perfettamente a conoscenza della possibilità di praticare l’aborto per mezzo di una legge dello stato. Va sottolineato tra l’altro che l’obiezione di coscienza non ha alcun tipo di ricaduta su chi la conduce ma semmai sulle donne e su chi non è obiettore in termini di rincari di lavoro e di turni più pesanti. La ragione è presto detta: la maggior parte dei medici che si batté per la legge 194 aveva delle motivazioni forti e importanti, conoscendo la crudele e violenta realtà degli aborti clandestini (per non parlare del supporto degli strumenti diagnostici capaci di monitorare il feto nel grembo materno fin dalle prime settimane, rendendo il rapporto quasi univoco tra il nascituro e il medico, con la gestante sempre più in secondo piano); la situazione attuale, vuole però che la promozione e le nomine in ospedale siano di ordine politico e se si aspira ad un ruolo di primario in regioni governate dal centrodestra, è meglio prendere in considerazione l’obiezione, anche perché il Movimento per la vita, ha scavalcato e trovato terreno fertile ai piani alti delle Istituzioni e nel mondo accademico.
L’obiezione di coscienza si realizza come il perfetto corto circuito che impedisce il pieno diritto delle donne alla libera scelta e con rischi per la propria salute, tra snervanti attese e la ricerca defatigante di strutture che pratichino l’ivg. E così nel 2014, La Comunità europea bacchetta l’Italia per l’impossibilità all’interruzione di gravidanza, violando apertamente l’articolo 11 (diritto alla salute) della Carta Sociale Europea. Anche se in definitiva questa non è solo un’anomalia italiana, dato che ben quattro Stati membri dell’UE continuano a criminalizzare l’aborto e la crisi colpisce sempre più duramente i servizi sanitari pre-e post parto.
Nel 2016 in Europa, molte donne non hanno accesso ai mezzi contraccettivi e all’aborto sicuro proprio perché il proprio diritto di scelta riguardo questioni sessuali e riproduttive è fortemente limitato. E comunque la fotografia del nostro paese racconta di strutture inadeguate per giovani precarie/disoccupate ed emigranti (soprattutto per quest’ultime che trovano inaccessibili le profilassi anticoncezionali dati gli alti costi), con pochi consultori (la percentuale dovrebbe essere di 1 ogni 20.000 abitanti e sono invece 1 ogni 100.000), anzi spesso, questi servizi di base nell’ assistenza alle donne e di educazione alle pratiche contraccettive, diventano i luoghi di ancoraggio dei volontari del mpv, di chiara vocazione cattolica che diffondono più che distorte idee sulla contraccezione e la sessualità. Le donne che scelgono l’aborto, vengono ancora stigmatizzate, ritrovandosi in estrema difficoltà a causa della burocrazia e delle modalità che rendono il momento dell’ivg un’esperienza ulteriormente traumatica. Andrebbe di sicuro riformulata l’impostazione che limiti per le strutture ospedaliere l’uso inappropriato della scelta dell’obiezione di coscienza, indirizzando gli studenti contrari all’aborto ad altre specializzazioni e organizzando concorsi per soli non obiettori come avviene altrove. Ma soprattutto è importante che vi sia una forte presa di coscienza delle donne in forme di discussione e di lotta come quelle che in Spagna vede le donne organizzarsi e battersi in nuovi percorsi, arricchendosi di continuo di nuove riflessioni. A tutte queste situazioni di enorme disagio vi sovrasta, in una trama spessa e di raccordo, il “Sistema Sanitario Nazionale” che non fa mancare le profonde differenze tra nord e sud Italia nella discontinuità delle prestazioni offerte e dove i piccoli ospedali e gli ambulatori subiscono il declassamento e vanno assottigliandosi, sia nell’organico che nelle prestazioni, con l’inevitabile chiusura dei reparti, la diminuzione dei posti letto, fino alla chiusura completa dei presidi.
La pianificazione riguardo la prevenzione e la salute in alcune Regioni è assolutamente inesistente. Addirittura il decreto sulla sanità del ministro Lorenzin, consente unicamente per alcuni esami specifici la prescrizione dei medici di base secondo determinati criteri e limitazioni. Dunque, solo se si presenta una determinata condizione, è possibile avere tale possibilità e supporto ed infatti, sono previste delle sanzioni per i medici che prescrivono visite ed esami non ritenuti necessari dal Ministero.
Se si è affetti da una patologia si può accedere ad indagini mediche ma senza di queste ovviamente non è possibile risalire ad alcunché alimentando un paradosso che solo tali disposizioni possono ingenerare. Poi abbiamo la ridefinizione dei nuovi LEA (livelli essenziali d’assistenza), che sarebbero le prestazioni sanitarie che al cittadino vengono erogate in maniera gratuita o con una compartecipazione alla spesa e che non dovrebbero essere onerose ma che – e almeno nel numero di 24 – diventano a carico dei pazienti. Interventi ambulatoriali come la cataratta, il tunnel carpale, l’operazione del cristallino e che rientrano nelle patologie che pesano sulla tasca di persone anziane o di chi fa lavori usuranti e spesso precari in difficoltà nell’accedere alle cure, vengono fortemente limitati. E in questa girandola di miliardi di euro di finanziamenti sottratti alla sanità pubblica, nel proliferare di strutture convenzionate, nell’imposizione delle strutture private, alla fiscalità normale, si aggiunge anche il costo della spesa sanitaria il cui confine tra pubblico e prestazione a pagamento è sempre più labile, dove anche i consultori, come abbiamo già accennato, si riducono sempre di più, con il proliferare di obiettori di coscienza che si realizzano come seria minaccia ad un’offerta realmente universale e democratica del sistema sanitario.
Si moltiplicano i tempi di attesa di liste lunghissime per la prenotazione di una visita medica, aumentano le peregrinazioni in altre città alla ricerca di strutture mentre chi può consentirsi la sanità privata accorcia i tempi. La Gazzetta Ufficiale del Governo, non molto tempo fa, ha pubblicato un nuovo elenco di farmaci, tutti riclassificati dalla fascia A (dunque a carico del servizio sanitario nazionale, mentre nella fascia C sono interamente a carico del cittadino) e di cui di fatto, sono venute a conoscenza solo le farmacie. In questa rendicontazione, vi sono le pillole anticoncezionali a basso dosaggio e distribuite fino ad oggi ad un costo esiguo. Tali ormoni sono indispensabili nella prevenire e curare patologie serie quali i fibromi e l’endometriosi ma oramai non essendo più mutuabili, verranno conteggiati interamente per il costo sulla confezione e questo a sfavore ovviamente dei strati popolari più in difficoltà. Le proletarie a cui le strutture pubbliche sono inaccessibili, avranno sempre maggiore difficoltà a curarsi, rischiando di dover rinunciare alla contraccezione e alla libertà di scelta riguardo la gravidanza. Ad onor del vero comunque, tutte le forme contraccettive, non sono mai state a carico del servizio sanitario nazionale.
Le donne che fanno tale scelta, si trovano a spendere anche 20 euro al mese e senza alcuna possibilità di detrazione. In compenso, il servizio sanitario, in questo climax di tagli, aumenti della spesa e preclusione alle cure, “concede” in ultima ratio, l’aborto, pratica dolorosissima fisicamente ed emotivamente estenuante che nel moralismo protervo degli obiettori, aggiunge ulteriore sofferenza per una decisione che frequentemente viene assunta proprio malgrado. L’aborto è il rimedio ultimo a cui si incorre quando – e ciò avviene sempre più di frequente – non si è in grado da sole o in coppia di concedersi la sopravvivenza del proprio figlio senza rischiare l’assoluto impoverimento. Altro che la miope e colpevole campagna per la fertilità del ministro Beatrice Lorenzin (che riguardo l’ospedale di Catania, già il giorno dopo ha sentito l’esigenza di negare la responsabilità dell’avvenuto, interno alle logiche legate all’obiezione di coscienza) nel fingere di non vedere d’aver contribuito all’ennesima sperequazione sociale per quanto concerne la gestione della sanità e delle strutture ad essa afferenti e all’aver marcato il solco che separa le donne per possibilità economiche e condizioni sociali nella condizione di decidere ancora una volta di sé, del proprio corpo e della possibilità o meno di diventare madri.
Chiara Pannullo
da pcl
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