martedì 9 novembre 2010

pc quotidiano 9 novembre - Napolitano firma la legge che peggiora le condizioni dei lavoratori

Il 5 novembre il presidente Napolitano ha firmato il cosiddetto collegato lavoro, una legge che prevede una revisione in peggio dei diritti dei lavoratori spostando ancora di più il rapporto di forze dalla parte dei padroni pubblici e privati.

Quindi quel decreto che Napolitano non aveva firmato il 31 marzo è adesso legge, e questa volta Napolitano non ha mostrato nessun imbarazzo, non detto nemmeno una parola; è chiaro che a qualsiasi domanda sul perché della firma avrebbe risposto come fece con quel cittadino che gli gridava “non firmare!”, “non capite niente, sono stato costretto”! l’alibi è sempre pronto!

Con la firma di questa legge che Sacconi considera come testa d’ariete per sfondare il muro dello Statuto dei Lavoratori, il presidente Napolitano si conferma ogni giorno che passa amico di questo governo, dei padroni e nemico dei lavoratori.

Tra le tante cose negative previste da questa legge, arbitrato, apprendistato a 15 anni (e quindi incostituzionale, tra l’altro, perché l’obbligo scolastico è fino a 16 anni) che abbiamo già riportato nel blog aggiungiamo questa considerazione sull’“effetto strage” che avrà sui precari:

"Con l’imminente entrata in vigore del “collegato lavoro”, approvato dal Parlamento il 19 ottobre, una vera e propria strage minaccia i diritti dei lavoratori precari, da anni in attesa di ottenere la stabilizzazione del loro rapporto di lavoro. Di questa legge si è sinora parlato soprattutto per le norme che favoriscono il ricorso alla giustizia arbitrale e che sono state bocciate dal Presidente della Repubblica per la loro portata restrittiva dell’autonomia dei lavoratori. A questo tentativo di prevaricazione il Parlamento ha in qualche misura posto rimedio seguendo le indicazioni del Quirinale in materia di arbitrato. Ma è rimasto in piedi il meccanismo che, per compiacere la Confindustria, il Ministro Sacconi ha istituito al fine di privare i precari dei diritti acquisiti.
Questi lavoratori si dividono in due categorie: quelli che non ancora si sono rivolti al Giudice, nella speranza di vedere riconosciuto, per accordi sindacali, il loro diritto ad accedere a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, dopo anni di contratti temporanei irregolari subiti per necessità e quelli che hanno già chiesto l’intervento della magistratura per conseguire questo obiettivo. La massa è quella dei lavoratori che non hanno ancora trovato la forza di far valere i loro diritti in sede giudiziaria, ben sapendo che qualsiasi iniziativa di questo tipo, anche se solo preannunciata, ha come primo effetto quello di essere esclusi da future assunzioni a termine, in attesa che il Magistrato si pronunci: il che, con esclusione di alcuni centri come Torino, comporta abitualmente processi pluriennali. A questi lavoratori, che, per non mettere a repentaglio la loro precaria occupazione, hanno sinora taciuto, la nuova legge pone una drastica alternativa: entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore essi dovranno comunicare all’azienda, in forma scritta, l’impugnazione di tutti i contratti irregolari sino ad oggi subiti; se non lo faranno, i loro diritti saranno colpiti da decadenza.
Inoltre, nel caso che abbiano comunicato all’azienda l’impugnazione, questa diventerà inefficace se non sarà seguita, entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso davanti al Giudice del Lavoro. Sino ad oggi la legge ha consentito di far valere in sede giudiziaria, senza limiti di tempo e senza necessità di preventiva impugnazione scritta, la nullità dell’apposizione del termine al rapporto di lavoro. Per questo i precari hanno potuto rivolgersi ai giudici anche dopo aver subito in silenzio anni di assunzioni irregolari. D’ora in avanti per chi manterrà il silenzio, dopo 60 giorni scatterà la decadenza, che potrà travolgere i diritti maturati nel corso di anni di tacita soggezione dovuta al bisogno di lavorare. Anche se vi sono ragioni per dubitare della costituzionalità di questa norma, è bene che coloro che sinora hanno taciuto escano dal silenzio e comunichino per iscritto al datore di lavoro, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, la volontà di far valere di loro diritti. Altro colpo alle tutele dei precari viene dato dal “collegato lavoro” con un’altra norma, quella limita a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione il risarcimento del danno subito dal precario per essere rimasto disoccupato in attesa della decisione del Giudice. Sinora la giurisprudenza ha commisurato il risarcimento all’intero importo delle retribuzioni maturate, detratti eventuali guadagni ottenuti mediante altri impieghi. Ciò ha comportato che, in caso di processi di lunga durata, i lavoratori hanno potuto recuperare l’intera retribuzione perduta nel periodo precedente alla pronuncia della sentenza. D’ora in avanti, anche se la disoccupazione, in attesa della decisione giudiziaria, durasse alcuni anni (caso non infrequente in numerosi Tribunali) il lavoratore, in caso di vittoria, vedrà drasticamente limitato il suo diritto al risarcimento.
Anche questa norma, che addossa ai lavoratori gli oneri della durata irragionevole del processo, appare viziata da illegittimità costituzionale. Ma, prima che la Consulta possa pronunciarsi, passerà un notevole lasso di tempo. Le storture del “collegato lavoro”, che bastona una categoria già duramente provata, devono essere eliminate immediatamente in sede legislativa, anche perché la normativa dell’Unione Europea vieta di peggiorare le condizioni dei precari.."
(coordinamento rsu)

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