Marlane Marzotto di Praia a Mare: 100 morti di cancro e disastro ambientale
PER ROMPERE IL SILENZIO
Relazione introduttiva mara malavenda alla Assemblea Pubblica a Paola 11 ottobre
In questi giorni è arrivato ad una svolta importante il processo ai responsabili della Thyssenkrupp di Torino dove nel dicembre 2007 sono bruciati vivi 7 operai.
È stato riscontrato il dolo con la conseguente ipotesi di omicidio volontario per la consapevole scelta di omissione delle obbligatorie misure antinfortunistiche a determinare la strage. L’azienda, pur rappresentandosi la concreta possibilità di esporre i lavoratori ad incidenti mortali come conseguenza della sua condotta ha accettato il rischio scegliendo di non prevenirlo mentre non poteva nutrire alcuna fiducia che i possibili eventi mortali non si verificassero.
La stessa logica è stata messa in atto in questi decenni dalla Marlane Marzotto di Praia dove i primi morti per cancro risultano avvenuti nel 1973, ben 37 anni fa.
Ancora oggi il processo stenta a decollare: domani mattina, al Tribunale di Paola, si tiene l’ennesima udienza - dovrebbe essere quella conclusiva - sulla richiesta di rinvio a giudizio dei responsabili aziendali.
La Marlane ha fatto di tutto in questi anni nel tentativo di occultare le proprie responsabilità, ritardare all’infinito il processo per puntare alla prescrizione dei reati, silenziare, far sparire dai media la voce dei lavoratori e occultare una vera a propria strage operaia ancora in corso e che, ad anni dalla dismissione degli impianti, vede ancora crescere a dismisura il numero dei lavoratori morti e di quelli che continuano ad ammalarsi.
E’ passato ben più di un decennio da quando costituimmo lo Slai cobas in fabbrica. Fu una scelta obbligata dalla necessità di rompere la ragnatela di complicità e connivenze realizzata dall’azienda con tutte quelle forze che invece avrebbero dovuto essere preposte alla tutela dei lavoratori.
In questi anni, con caparbia, abbiamo imposto il processo e saputo fronteggiare potenti e inquietanti regie occulte e trasversali.
E oggi più che mai bisogna ancora scuotere la coscienza civile di molti, troppi, tra lavoratori e cittadini per rompere la cortina di silenzio e diffusa complicità con l’azienda delle parti sociali, politiche ed istituzionali che ancora si stringono a difesa degli inquisiti nel processo.
E’ anche per questo che lo Slai cobas si è costituito parte civile, e questo è il senso di questa difficile e coraggiosa assemblea: dare forza e voce alle ragioni dei lavoratori e dei loro congiunti e onorare il ricordo dei troppi morti ammazzati dallo sfruttamento padronale.
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Bisogna impedire il tentativo strisciante messo trasversalmente in atto da varie forze politiche, istituzionali, sindacali e giuridiche che vogliono trasformare questo processo in un processo “di scambio”, a perdere, con esito morbido per l’azienda e a discapito dei lavoratori” nel tentativo di
“non sporcare il marchio” della Marzotto di Valdagno e, con essa, quella dell’imprenditoria veneta leader del settore.
Infatti oltre al sindaco di Praia a Mare Carlo Lomonaco, responsabile, dal ’73 all’88 del “reparto della morte” (la Tintoria), tra i nomi “eccellenti” dei 14 responsabili aziendali imputati figura il gotha del “Gruppo di Valdagno” e delle aziende venete e confindustriali:
Il cavaliere del lavoro Pietro Marzotto già conte di Valdagno, “re” del tessile ed erede della omonima dinastia, già vicepresidente della Confindustria, già presidente dell’Associazione Industriali di Vicenza e dell’Associazione Industria Laniera Italiana, presidente della Fondazione Marzotto.
Antonio Favrin vicepresidente vicario della Confindustria Veneta, già consigliere Safilo, azionista della Valentino, con partecipazioni nella catene alberghiere Jolly Hotels.
Silvano Storer già direttore generale della Stefanel, con forti interessi nella Nordica (scarponi da sci) e nella Benetton Sportsystem.
Jean De Jaegher consigliere dell’ Euretex (Associazione Europea delle Industrie Tessili), già nominato Consigliere Economico della Casa Reale Belga, Presidente della Marzotto USA dal ’95 al ’98.
Lorenzo Bosetti consigliere delegato e vicepresidente della Lanerossi
Per ossequio nei confronti dei citati e forti poteri economici e finanziari (e con evidente disprezzo delle ragioni dei lavoratori e dei cittadini) il Ministero dell’Ambiente, la Regione Calabria, la Provincia di Cosenza e lo stesso Comune di Praia a mare (col sindaco indagato) non si costituiscono parte civile - come di dovere - nel processo!
Sarà anche per questo che, tra i nomi degli avvocati che difendono gli imputati - e contro la difesa dei lavoratori - spicca quello di Giuliano Pisapia, di Rifondazione Comunista e candidato a sindaco di Milano alle prossime amministrative?
Eppure qua siamo di fronte ad una vera e propria strage di operai protratta negli anni, di una fabbrica che ha prodotto prevalentemente omicidi (cosiddetti bianchi) piuttosto che indumenti.
Infatti, secondo quanto dichiarato dagli stessi medici aziendali (dato evidentemente sottostimato per scopo difensivo-processuale) sono 50 i lavoratori morti per cancro tra i dipendenti della Marlane Marzotto di Praia a Mare.
La Procura ha individuato 107 casi di morte o malattia “sospetta” tra i dipendenti ex Marlane Marzotto (tumori alla laringe, leucemie, carcinomi polmonari, iperplasia alla prostata, cancro ai reni, neoplasie alla mammella, patologie a fegato ed intestino ecc.). Ma la reale quantificazione del numero dei lavoratori deceduti per patologie direttamente attribuibili all’azienda è ancora al di là da venire e potrebbe ragionevolmente raggiungere e superare i 150 casi.
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Dagli stessi preti del paese risulta che sono stati celebrati circa 80 funerali tra gli operai ex dipendenti dello stabilimento praiese.
Una equipe di medici di base ha riscontrato che, sul territorio, su 12.590 persone in carico al servizio sanitario nazionale, ci sono stati 241 casi di cancro: una percentuale 4 volte superiore alla media nazionale. Patologie che hanno colpito sopratutto persone tra la fascia di età di 34/40 anni.
Quale incidenza nel “picco tumorale” del territorio può aver avuto lo smaltimento in discariche abusive, poi messe sotto sequestro dalla magistratura, di tonnellate di inquinanti tossici residui del ciclo di lavorazione quali: zinco, piombo, rame, cromo esavalente, mercurio, arsenico, amianto?!
Le inquietanti vicende delle ‘navi dei veleni’ (di cui la Cunsky affondata al largo di Cetrara e la Jolly Rosso lasciata sulla spiaggia di Amantea e svuotata dalle sostanze tossiche che trasportava poi sotterrate in tutta fretta in una vicina cava di sabbia) confermano l’esistenza nel territorio di una strutturata organizzazione, locale e nazionale, preposta allo ‘smaltimento’ criminale dei rifiuti industriali ad alta tossicità.
Al numero già individuato o dichiarato di decessi e patologie sospette tra gli ex lavoratori della Marlane Marzotto vanno aggiunti i molti, troppi morti o ammalati in silenzio di questa fabbrica che ha costruito un vero e proprio reticolo - ancora attivo, esistente e vitale - di pervasivo controllo sociale inducendo una sorta di ricatto, disperazione e rassegnazione tra i lavoratori e le loro famiglie, che ha troppo spesso consentito il silenzio in cambio della promessa di ingresso al lavoro dei figli dei dipendenti morti o ammalati.
Dalla perizia dello Slai cobas, depositata al Tribunale di Paola, e commissionata a consulenti tecnici di fiducia, già nel 2008 si riscontrava che:
“ Dagli atti processuali siamo oggi in grado di risalire alle tipologie di lavorazioni così come si attuavano e alla presenza degli agenti chimici cancerogeni usati. Mentre l’incidenza di tumori maligni in Italia rappresenta un indice inferiore allo 0,005% per ogni 100.000 abitanti, la stessa incidenza nella regione Calabria è prossima alla 0,003%, nettamente inferiore al dato nazionale. La maggiore incidenza di tumori si ha nelle regioni a maggiore industrializzazione e la Calabria, che ha una realtà industriale molto rarefatta presenta uno dei minori tassi di incidenza per malattie tumorali in Italia.
Nello stesso tempo, tra i lavoratori della Marlane Marzotto, anche considerato il dato grossolanamente sovrastimato dalla direzione aziendale che dichiara circa 1.000 occupati dal 1960 fino alla chiusura dello stabilimento, si è in presenza - nei soli atti giudiziari - di ben 42 casi dichiarati di patologie neoplastiche che indicano tra i dipendenti dello stabilimento un picco di incidenza di tumori maligni del 4%. Questo ignorando volutamente gli altri moltissimi casi di neoplasie maligne di cui i lavoratori, i loro eredi e la nostra organizzazione sindacale ha comunque notizia. Ma già se si riportassero questi soli dati, già fortemente sottostimati, ad una popolazione teorica di 100.000 unità, avremmo una incidenza per i tumori totali pari a ben 4.100, ossia più di 11 volte il tasso di incidenza complessivo della popolazione residente in Calabria. E’ evidente che i casi di malattie neoplastiche alla ex Marlane non possono essere considerati come “casuali” e riferibili alla normale incidenza di patologie cancerose nella popolazione, come tenta di sostenere l’azienda nelle sue tesi difensive, ma sono chiaramente correlati alle sostanze cancerogene e soprattutto alla loro modalità di utilizzo in fabbrica.
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Si rileva che nel periodo riferito agli atti che alla Marlane, si usavano sostanze chimiche carcinogenetiche e nulla svincolava l’azienda dall’obbligo di separazione dei lavori nocivi e dalla generale difesa dell’area dai prodotti nocivi e dalle polveri.
A Parte l’obbligo di prevenzione sanitaria a fronte dell’eclatante incidenza delle patologie tumorali, il cromo, il cui utilizzo in sali solubili quali quelli utilizzati nella preparazione dei bagni di tintura, può essere responsabile di neoplasie maligne in qualunque organo del corpo umano. E inequivocabilmente tale sostanza era usata nello stabilimento.
Già nel 1992 vi erano evidenze scientifiche sulle proprietà cancerogene dei coloranti azoici in us in relazione alle patologie accusate dai lavoratori, ed è impensabile che l’azienda ne fosse all’oscuro.
Manca agli atti alcuna valutazione biostatistica in relazione alle patologie accusate dai lavoratori e le sostanze in uso, né sono riscontrabili misure di sorveglianza sanitaria per la prevenzione e protezione dal rischio dei lavoratori”.
Va inoltre detto che la logica di “complicità in affari” di tutte le parti in causa è quella che in questi decenni ha dominato, ed ancora domina, l’insieme delle privatizzazioni e dei processi industriali, politici ed istituzionali indipendentemente dall’alternanza politica dei vari governi nazionali e locali che via via si succedono.
Pietre miliari di questi processi sono la svendita dell’industria di Stato del 1987 (Alfa Romeo, ENI, SME ecc.) con la Marlane e l’intero Gruppo Lanerossi dato alla Marzotto: infatti la commissione della comunità europea nel 1988 condannò l’Italia a restituire 260 miliardi e 400 milioni di lire di finanziamento pubblico illecito a fronte di un ricavo di 173 miliardi di lire corrisposto dalla Marzotto per l’acquisto della Lanerossi.
E come non pensare che i ripetuti accordi sottoscritti negli anni da tutti i sindacati confederali con la Marzotto sono tra l’altro serviti a ricattare, o fare ‘sparire’ coi licenziamenti i lavoratori ammalati di tumore allo scopo di occultare anche così le gravi colpe aziendali, confidando inoltre nella complicità di compiacenti autorità sanitarie ed ispettive che interpellate dai familiari dei lavoratori della Marlane morti di cancro hanno dichiarato, senza alcuna indagine in merito, che l’origine delle malattia e del decesso non era dovuta agli ambienti di lavoro della fabbrica?
Questo mentre, nello stesso tempo, i sindacalisti firmavano accordi sui licenziamenti e gestivano assunzione clientelari, a fronte dello stillicidio dei morti e degli ammalati di cancro che cresceva di anno in anno. Quegli stessi sindacalisti che poi ritrovavamo imprenditori, come nella “Attività 90 srl” costituita nell’87 e che vedeva, nei soci i rappresentanti di UIL e CGIL e la sorella del sindaco (il sindaco già era stato caporeparto alla Marlane Marzotto) nella funzione di amministratore unico. Come per la “calipso srl”, costituita nel novembre ’96 e tra i cui soci risultavano RSU aziendali di CGIL e CISL e vicinanze parentali con un consigliere comunale in carica. E ancora per la successiva costituzione dell’ennesima azienda individuale a nome di un’ ex assessore di Praia in carica all’epoca. Il tutto per un’indotto operante per conto della Marzotto.
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Ciononostante, il 16 aprile ’98, con 14 mesi di complice ritardo ed in evidente oggettiva di ‘falso ideologico’, l’allora Ministro del lavoro del governo Prodi (ed ex sindacalista confederale) Tiziano Treu, così rispondeva ad una interrogazione parlamentare da me presentata il 19 febbraio ’97 sulle gravi ed inquietanti morti ‘bianche’ alla Marlane: “dall’esame dei registri infortuni non risulta essersi verificato nello stabilimento alcun infortunio mortale che avrebbe, d’altro canto, suscitato scalpore ed interessato le autorità di pubblica sicurezza e l’ispettorato per i relativi accertamenti”…”che la società (la Marzotto) ha operato investimenti utilizzando la legge Tremonti senza alcun investimento statale”…” per poi contraddirsi immediatamente dopo essendo costretto ad ammettere che la stessa, in seguito ad accordo sindacale… ”ha percepito un finanziamento statale, esclusivamente per i neo assunti, dal fondo sociale europeo e dalla regione Calabria, per un importo di 1.258 miliardi di lire, nell’ambito del progetto di recupero dei disoccupati di lunga durata”…”La Marzotto ha dichiarato di non essere a conoscenza se i laboratori di lavoro collaterale in Calabria siano gestiti da ex sindacalisti”…
E si potrebbe continuare all’infinito nella denuncia e nella delineazione della inquietante cornice in cui si è giunti al processo: siamo di fronte a una vera e propria strage di lavoratori e un disastro ambientale che ha irreparabilmente inquinato il territorio. Ciò è stato causato con dolo dalla Marlane Marzotto e reso possibile da sindacati ed istituti di prevenzione “complici e consenzienti” e dall’intero quadro politico-istituzionale locale, la cui unica azione in questi anni è consistita nell’omertoso tentativo di coprire e rendere invisibile il sistematico e crescente stillicidio di un centinaio di omicidi cosiddetti “bianchi” facendo di tutto per nascondere le gravi responsabilità aziendali.
Inquietanti figure di sindacalisti-dirigenti aziendali e sindaci-capireparto fanno da corollario al complice tentativo di isolare e vanificare la tragica lotta degli operai per la difesa della propria vita e della salute delle popolazioni del territorio.
Dopo aver beneficiato di ingentissimi finanziamenti pubblici e aver chiuso gli impianti e delocalizzato nell’est europeo, Marzotto lascia in Calabria centinaia di morti ed un “cimitero industriale”: un sinistro monumento al malaffare industriale ed alla consociazione sindacale la cui logica nefasta, specifica e generale, oggi vorrebbero consolidare sia frenando l’iniziativa giudiziaria per la prescrizione dei reati alla Marlane, sia rilanciando la filosofia del conte Marzotto, oggi ripresa dalla Fiat col “piano Marchionne” allo scopo sfruttare la crisi per sconfiggere strategicamente i lavoratori e relegarli in “moderna schiavitù” allo scopo di incrementare i profitti. Se fosse passata questa pretesa deregolamentazione autoritaria del Lavoro oggi Marzotto si sarebbe salvato dal processo.
Oggi la Marlane Marzotto è invece sotto processo e questo nonostante la pluriennale e connivente latitanza, tra gli altri, di tutti i sindacati confederali compresa la CGIL: ciò e stato possibile grazie ai lavoratori ed alle famiglie dei tanti di loro morti o ammalati di cancro e grazie allo Slai cobas che è stato di fatto l’unico sindacato a dare forza e voce alle “ragioni operaie”.
Quest’assemblea vuole essere un vero e proprio atto di accusa contro le gravissime, consapevoli, volontarie e colpevoli violazioni della Marzotto che nonostante gli intollerabili livelli di esposizione a rischio dei lavoratori sceglieva di non “muovere un dito” per realizzare “gli utili” a discapito della vita stessa dei lavoratori.
Paola, 11/10/2010
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