domenica 10 ottobre 2010

pc quotidiano 10 ottobre - PARLANDO CON OPERAI E OPERAIE FIAT SATA

Il 6 ottobre mentre era in corso il presidio al Tribunale di Melfi, i compagni di Proletari comunisti hanno parlato con vari operai, con delegati fiom, con gli stessi 3 licenziati della Sata, facendo una breve inchiesta sulla situazione in fabbrica, e sulle prospettive.
Riportiamo sinteticamente queste discussioni che mostrano soprattutto la realtà viva, sia pur con aspetti contraddittori, che c'è tra buona parte degli operai e operaie; proprio quella che Marchionne vuole soffocare e reprimere.

Alla Sata tra gli operai vi è un clima di paura; in fabbrica l'azienda sta portando avanti un'azione punitiva verso lavoratori che hanno scioperato, gli iscritti fiom, con spostamenti di reparto, provvedimenti disciplinari, demansionamenti; c'è un clima di costante intimidazione, del tipo "attenzione, poi potrebbe toccare a te...", capi che ti seguono a vista, controllandoti durante le pause per vedere con chi parli, che cosa dici.
Anche i sindacalisti, fismic, fim, uilm, girano nelle linee come spie contribuendo al clima di paura.

Intanto l'aumento dei carichi di lavoro, dei tempi è stato realizzato: c'è un minor tempo per avvitare un pezzo, e poi vi sono più vibrazioni; hanno aumentato di 40 macchine e non hanno messo una persona in più.
Marchionne ha inviato tempo fa una lettera in cui si ringraziava gli operai di Melfi per aver realizzato gli obiettivi produttivi.
WCM è il riconoscimento ottenuto, vuole dire che la Fiat Sata con il TMC2 è seconda nel mondo per ottimizzazione dei tempi, per riduzione dei tempi morti. Gli operai ora devono portare una targhetta sulla tuta “Wcm”.
Avevano detto che vi sarebbe stato un premio di 1200 euro, ma non si è ancora visto.
La Sata impone una sorta di gara inconsapevole tra gli operai, io sono arrivato ad ottenere quasi il massimo, senza saperlo..

Per la maggiorparte degli operai questo clima di paura, di provvedimenti dell'azienda contro gli operai che hanno lottato rende difficile che i 3 operai possano rientrare in fabbrica con una “forzatura”, portati dagli operai stessi o che ci possa essere ora una nuova situazione di lotta contro il peggioramento delle condizioni di lavoro.
Ma sul rientro degli operai, vi sono anche tanti che pur rappresentando il clima brutto in fabbrica, dicono che effettivamente in tutti i modi bisogna riportare in fabbrica i 3 licenziati.Anche Giovanni Barozzino diceva che comunque questo può essere possibile; aggiungendo però di farlo in rapporto al percorso legale e alle decisioni della magistratura.
Delle operaie dicendo che questo clima in fabbrica è legato anche al fatto che con il licenziamento dei due delegati più combattivi noi operai non ci sentiamo più difesi, ammettevano che il loro rientro è importante per dare nuova fiducia agli operai, per dire che è possibile che non vinca sempre la Fiat.

Su questo i compagni di Proletari comunisti hanno detto che il rientro dei 3 licenziati può cominciare a cambiare il clima attuale tra gli operai, imposto con la paura da azienda e sindacati di regime. Ma questa “forzatura”, assolutamente legittima (lo ha detto lo stesso giudice della sentenza), non può aspettare i tempi lunghi né fidarsi troppo dell'azione della “giustizia”, ma i tempi della lotta di classe; vi è stato già un precedente negativo su questo: gli operai licenziati nel 2007 per “l'inchiesta sul “terrorismo” alla Sata”, hanno dovuto aspettare tre anni per rientrare finalmente in fabbrica.

Altri operai hanno detto che la Fiat ha sempre fatto affidamento sull'atteggiamento “umile, disponibile, lavoratore” del popolo lucano. Certo noi non ci siamo tirati indietro a fare anche di più, ma quando si tira troppo la corda poi anche noi sappiamo reagire.I 21 giorni – diceva un'operaia – ci sono stati quando la Fiat per giorni ci diceva solo dopo che eravamo già arrivati in fabbrica, aver fatto ore di viaggio, che non potevamo lavorare e che dovevamo tornare a casa, senza neanche essere pagata la giornata. E tra l'altro noi non potevamo tornare perchè non c'erano i mezzi. In Basilicata ci vogliono anche due ore per arrivare al lavoro dai paesi più lontani, io abito vicino, ma gli altri? Poi vi erano i problemi dei turni.
Allora abbiamo detto: basta! Questo ha fatto nascere quella lotta.

La lotta dei 21 giorni, il suo inizio soprattutto, in cui pochissimi delegati, allora dei sindacati di base a cui poi si unì qualcuno della Fiom, dissero ora da qui non ce ne andiamo e iniziò la lotta, i blocchi, mostra che anche ora per riportare in fabbrica i tre licenziati occorre una “forzatura”, questa può raccogliere il consenso della maggioranza operaia; il contrario, aspettare che cambi prima il clima in fabbrica, non può avvenire.
La Sata di Melfi per quei 21 giorni (una lotta che non si vedeva da decenni nelle fabbriche) è una fabbrica particolare, questo lo sa bene la Fiat. E' l'elemento di forza, di diversità che si è visto anche con la grande solidarietà quest'estate, unità intorno agli operai licenziati; ma che resta anche in questi giorni, in cui nonostante l'azione “terrorista” in fabbrica, circa 100 operai e operaie hanno sfidato capi e spioni e sono venuti al processo.

Le operaie sono doppiamente coraggiose. Sto qui contro la volontà di mio marito che mi ha detto di non venire. Anche mio marito non è d'accordo. Dobbiamo lottare anche con i mariti, con la famiglia, con il clima del paese. Dicono: chi te lo fa fare? poi anche tu fai una brutta fine. Anche nei paesi la Fiat con capi e i sindacalisti padronali fa il suo sporco gioco. L'altro giorno mi sono arrabbiata quando ho sentito delle persone che parlando tra di loro dicevano: quelli (riferendosi ai 3 operai licenziati) stanno rovinando la fabbrica.Ma come ha detto un'operaia, "sono stati licenziati perchè lottavano per tutti noi e quindi è un problema di coscienza essere qui".
Un'operaia raccontava con vari esempi l'attività di Giovanni Barozzino: è uno che sta sempre presente, che appena lo chiami per qualche problema viene, che affronta i problemi: una volta era caduta una portella mettendo a rischio gli operai, il delegato presente viene, vede e se ne va; chiamo Giovanni che invece risolve la questione; Giovanni va girando sempre con le tasche piene di fogli, documenti, si informa sulle questioni legali, legge, sta in contatto con l'avvocato. Un giorno un sindacalista della fismic mi disse che non ci spettava il premio di produzione, ho chiamato Giovanni e lui ha subito tirato dalla tasca un documento che diceva invece che ci spettava, il sindacalista si è allontanato facendosi tutto rosso.
Ma non sono tutti come Giovanni. Anche altri delegati della Fiom non li vedi, né si impegnano come i delegati licenziati.
Cosa pensate voi di Landini? – ci ha chiesto un operaio – e concordava lui e altri operai che la Fiom si è messa in un vicolo cieco; dire alla Fiat: conservate i diritti inalienabili, di sciopero, di malattia e poi trattiamo anche su turni, pause, ecc. vuole dire non voler fare battaglia; Marchionne ha già risposto che quell'accordo di Pomigliano non si cambia di una virgola.
Poi la Fiom, alla Fiat non firma gli accordi, in altre parti invece sì: all'Ilva di Taranto, come dice il nuovo segretario nazionale della Uilm Palombella che ha fatto carriera come megafono del padrone all'Ilva, sono già in atto parti dell'accordo di Pomigliano (su orari, turni, pause, riposi, ecc.) e sono frutto di accordi firmati anche dalla Fiom; la firma comune del recente integrativo all'Ilva – che non dà nulla agli operai - è stata presentata come una positiva controtendenza dell'atteggiamento antiunitario della Fiom alla Fiat.

La differenza tra l'Ilva e la Fiat la fanno gli operai, che nonostante una situazione e un clima pesante interno alla fabbrica, esprimono un livello di coscienza buono. Ed è questo “fuoco sotto la cenere” che teme Marchionne.

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