I padroni riuniti in Confindustria, direttamente per bocca di Bonomi, del suo presidente, o attraverso gli articoli del Sole 24 Ore, fanno da tempo pressione sui governi perché diano tutta l’attenzione necessaria alla garanzia dei loro profitti e li aiutino nella concorrenza internazionale.
In questi ultimi giorni ciò vale anche rispetto al governo
che verrà, qualunque esso sia. In questo senso con un articolo del 9 agosto
scorso, cercano di dimostrare di avere fatto la loro parte, di essere pronti e a
posto per quanto riguarda i contratti stipulati a livello nazionale, scaricando
la responsabilità di quelli non ancora firmati, e di essere quindi legittimati
a chiedere altri soldi.
Ma la coscienza a posto proprio non possono averla e non solo perché sono i più feroci difensori del
sistema capitalistica-imperialista e attraverso i loro rappresentanti politici di fatto detentori del potere borghese dominante, ma perché in tutto questo non citano affatto tutto ciò che riguarda il lavoro di cui tanto parlano.Da un lato esaltano nei confronti della politica e della pubblica
opinione le loro “qualità” imprenditoriali, nascondendo il fatto che se non ci
fossero i miliardi a fondo perduto regalati loro dallo Stato, gli “aiuti” sotto
ogni forma non solo in denaro, non starebbero in piedi neanche un giorno, dall’altro
parlano solo di contratti firmati evitando accuratamente di parlare delle
condizioni in cui sono costretti a lavorare queste operaie e questi operai, con
quali salari, con quali orari, in quali condizioni di sicurezza sul lavoro (4 morti
al giorno), della cassa integrazione subita in tutte le sue forme, dei
licenziamenti improvvisi, della pratica ormai costante della delocalizzazione…
Prendiamo in considerazione alcune delle cose che dicono, per
esempio che addirittura hanno ribaltato il rapporto che c’era tra quelli scaduti
e quelli rinnovati nel settore privato: “… nei rinnovi si osserva un’inversione
di tendenza che, nel privato, ha ribaltato la quota di contratti scaduti e
contratti rinnovati. Il rapporto, che in passato era più 60%-40%, adesso è
infatti diventato 40%-60%, secondo una rielaborazione dei dati Cnel fatta dal
dipartimento contrattazione della Cisl, escludendo lavoro domestico e
agricolo. Se il terziario ha tutti i tavoli aperti, da
Confcommercio a Federdistribuzione, Confesercenti, Coop, con i contratti
scaduti da qualche anno, così come il turismo, nel medione [sic] generale, il
contributo più rilevante a questa nuova fotografia arriva dall’industria.”
E cioè: “I lavoratori dipendenti ai quali si applica uno dei
60 contratti collettivi nazionali del sistema Confindustria sono quasi 5
milioni e mezzo. Ad oggi sono oltre 4,5 milioni, quindi quasi l’86% del
totale, gli addetti che hanno un contratto collettivo in vigore. Se
vogliamo guardare a quest’ultima fase, da maggio del 2020, quando è iniziata la
presidenza di Carlo Bonomi, ne sono stati rinnovati 36. Andando ancora più nel
dettaglio dei dati, sono meno di 500mila (il 9 per cento del totale) i
lavoratori interessati da contratti scaduti da poco tempo, non oltre 12 mesi.
Nel complesso, quindi, il 95% dei lavoratori ha un contratto che si rinnova in
tempi fisiologici. I ritardi più lunghi, ovvero superiori a 24 mesi,
interessano 270mila lavoratori, il 5 per cento del totale, e riguardano il turismo,
lo spettacolo e l’ospedalità privata.”
La “rielaborazione della Cisl su dati Cnel” riporta il quotidiano dei padroni, dice che “se escludiamo il lavoro agricolo e quello domestico, nel privato ci sono in totale 856 contratti collettivi nazionali che riguardano 13.697.850 lavoratori. Di questi, ad oggi, 346, circa il 40%, sono scaduti e riguardano 6.697.998 lavoratori. Tra le intese scadute, poco meno di una su tre, il 30%, è firmata da Cgil, Cisl e Uil. I contratti vigenti sono invece 510, circa il 60%, e riguardano 6.999.852 lavoratori.”
Questa una delle tabelle riportate
Tutto questo, ripetono più volte, grazie al Patto per la fabbrica!
Dice infatti il giornalista: «Due gli elementi da considerare:
il primo riguarda il fatto che, pur in mezzo a tante difficoltà che sono
nate in questi due anni del Covid, alla fine il sistema delle regole, ossia
il Patto della fabbrica, ha consentito di fare i rinnovi.”
I padroni, come tanti politici di questi tempi, potremmo
dire, parlano senza bastonate, per esempio lodano “Il ruolo del Patto
per la fabbrica” in questo modo: “Le regole date nel 2018 attraverso il
Patto per la fabbrica, condiviso da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil,
hanno sicuramente aiutato a trovare delle soluzioni e ad aprire riflessioni
sulla centralità che devono avere i contratti per i settori. L’accordo ha
ideato un sistema di regole che, per la prima volta, non sono state orientate a comprimere tout
court le retribuzioni.” Quindi viene detto apertamente che fino
ad adesso le “regole” fissate da padroni e sindacati confederali servivano a comprimere
semplicemente i salari!
E nonostante le chiacchiere sul Patto così è ancora quando
si parla dei salari, visto che l’accordo prevede l’applicazione dell’Ipca (l'indice
dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell'Unione Europea) per
stabilire gli eventuali “aumenti”! Secondo i padroni addirittura gli operai ci
avrebbero guadagnato nonostante l’inflazione: “dal 2018, l’anno del Patto
per la fabbrica, Confindustria stima un aumento medio delle retribuzioni
contrattuali del 4,9% nel triennio 2018-2021.” Perché secondo loro l’inflazione
sarebbe stata del 2,8% ma “al netto degli energetici”!!!
Per non lasciare niente al caso dicono pure chiaramente di
essere contro il salario minimo.
Ebbene, come si vede, i padroni non si stancano di elaborare
piani e “programmi” per i governi per garantire i loro profitti.
I milioni di operai, da quelli metalmeccanici, i “primi
della lista” come si vede dalla tabella, a tutti gli altri sono tenuti ad
elaborare i loro piani di lotta di classe per rispondere punto su punto.
Sono i temi di cui si parla il 17 settembre all’Assemblea Proletaria
Anticapitalista che si terrà alle 14,30 a Roma al Metropoliz di Via Prenestina
913.
Nessun commento:
Posta un commento