Prabhat Patnaik *
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
17/07/2022
Circolano molte idee sbagliate sul capitalismo scandinavo. Una, molto comune, è la convinzione che, poiché i Paesi scandinavi hanno sviluppato economie capitalistiche floride senza aver mai acquisito colonie proprie, costituiscano una chiara confutazione dell'affermazione che lo sviluppo capitalistico richieda necessariamente l'imperialismo. Si tratta di un'argomentazione che ho sentito ripetere per decenni, ma si basa su un'idea sbagliata, non solo sulla Scandinavia, quanto soprattutto sull'imperialismo stesso.
In effetti, si possono dire molte cose positive riguardo le concessioni strappate al capitalismo dalla socialdemocrazia scandinava (anche se molte di queste sono minacciate nell'attuale epoca neoliberista), ma è una lettura totalmente errata del capitalismo affermare che la Scandinavia costituisca un esempio di capitalismo non imperialista. I Paesi scandinavi non avranno avuto colonie, ma hanno cavalcato l'imperialismo di altre potenze, sia prima che dopo la Seconda guerra mondiale. Analizziamo perciò l'assetto imperialista nel dettaglio.
Ogni Paese capitalista di successo non ha bisogno di avere un proprio impero. Esiste un sistema imperiale generale all'interno del quale si verifica lo sviluppo capitalistico e i diversi Paesi capitalisti avanzati beneficiano di tale sistema anche quando non hanno un impero proprio. Nel periodo di massimo splendore dell'imperialismo britannico, ad esempio, il suo mercato era aperto alle merci dell'Europa continentale; quest'ultima non doveva trovare mercati esclusivi per conto proprio, perché poteva entrare liberamente nel mercato britannico per vendere i suoi prodotti; e riusciva a farlo perché la "partenza anticipata" della Gran Bretagna significava che la sua produttività del lavoro era più bassa rispetto ai nuovi [Paesi] industrializzati, quindi (con salari più o meno uguali) il suo costo unitario di produzione era più alto. Allo stesso modo, le materie prime fondamentali estratte dall'imperialismo britannico dalle sue colonie e semicolonie potevano essere accessibili all'Europa continentale e agli altri Paesi capitalisti di recente sviluppo dell'epoca, senza che questi ultimi dovessero prendere accordi esclusivi per ottenere tali forniture.
In effetti, questo è un ruolo che tutti i Paesi imperialisti principali svolgono in qualsiasi momento: è una componente essenziale del loro ruolo di comando, che permette la diffusione del capitalismo nei Paesi rivali e non provoca alcuna seria sfida alla loro guida da parte dei nuovi industrializzati. I "leader" assorbono effettivamente i beni delle potenze rivali impegnate a sviluppare i propri capitalismi industriali, evitando di incorrere in deficit insostenibili delle partite correnti proprio grazie all'accordo imperiale. La Gran Bretagna ha evitato tali deficit insostenibili grazie al "drenaggio" che ha imposto alle sue colonie, la cui entità è stata grande abbastanza non solo per coprire questo deficit, ma anche per realizzare sostanziose esportazioni di capitali verso gli stessi Paesi con cui aveva tali deficit, ossia i Paesi emergenti di origine europea.
Gli Stati Uniti, che sono succeduti alla Gran Bretagna alla guida del mondo capitalista, non avevano possedimenti coloniali del tipo di quelli della Gran Bretagna, ma hanno gestito il loro deficit delle partite correnti stampando dollari, che nell'ambito del sistema di Bretton Woods sono stati decretati "buoni quanto l'oro" (essendo convertibili in oro a 35 dollari l'oncia). Anche in seguito, dopo il crollo dell'accordo di Bretton Woods e della convertibilità dell'oro, i dollari sono stati accettati de facto validi come l'oro dai detentori di ricchezza del mondo, che non hanno esitato a tenerli.
L'intero mondo capitalista, in breve, è chiamato a portare sulle spalle il Paese capitalista leader; è vero che alcuni Paesi avanzati possono trovare ciò troppo limitante e tentare di ritagliarsi un proprio impero, ma quelli che non lo fanno, come i Paesi scandinavi, non possono essere considerati come se stessero costruendo un proprio capitalismo senza ricorrere all'imperialismo: accedono ai benefici dell'imperialismo della potenza capitalista leader.
Ci sono due ulteriori punti da notare qui. In primo luogo, le potenze capitaliste emergenti rivali godono del libero accesso al mercato del Paese capitalista leader, anche se esse stesse impongono nei propri mercati tariffe protezionistiche contro le importazioni, incluso quest'ultimo. Così, la Germania e gli Stati Uniti hanno imposto tariffe nel periodo precedente la Prima guerra mondiale per isolare i mercati nazionali a favore dei propri capitali, sebbene avessero invaso il mercato britannico. È questa asimmetria che ha permesso loro di industrializzarsi nonostante il vantaggio ottenuto dalla Gran Bretagna; lo stesso vale per altri Paesi dell'Europa continentale. In secondo luogo, queste potenze rivali non solo avevano accesso al mercato britannico, ma anche ai mercati delle sue colonie, almeno fino agli anni Venti e Trenta.
L'introduzione della "preferenza imperiale" nel periodo tra le due guerre, che comportava tariffe differenziate, cioè tariffe più alte contro i beni prodotti al di fuori dell'impero britannico rispetto ai beni prodotti al suo interno, segnò una rottura in questo accordo. Fu progettato principalmente contro la massiccia spinta giapponese volta a catturare i mercati delle colonie asiatiche della Gran Bretagna; ma anche se il Giappone fu l'obiettivo principale della "preferenza imperiale" e della successiva campagna "Buy Empire", le tariffe differenziate significarono un cambiamento generale nel sistema imperialista e furono sia una causa che un sintomo della rivalità inter-imperialista innescata dalla Grande depressione. Ma per tutto il periodo precedente a questa rottura, ossia prima dell'espansionismo economico giapponese che sconvolse l'assetto precedente la Prima guerra mondiale e che si trasformò, quando fu contrastato da queste azioni difensive della Gran Bretagna, in espansionismo militare giapponese, i mercati coloniali britannici erano aperti alle merci non solo della Gran Bretagna, ma anche delle potenze capitalistiche rivali.
Quindi, lo sviluppo del capitalismo scandinavo, nonostante il fatto che i Paesi scandinavi non avessero colonie proprie, non è una confutazione della necessità dell'imperialismo per la crescita del capitalismo; sottolinea solo la complessità dell'accordo imperiale. Ne consegue che i Paesi scandinavi hanno lo stesso interesse a preservare l'accordo imperiale di qualsiasi altro grande Paese capitalista. Non si tratta solo di ragioni politiche, vale a dire che un crollo dell'accordo di "sicurezza" imperiale rende la sopravvivenza del capitalismo in un particolare Paese avanzato molto più difficile, incoraggiando il suo accerchiamento politico; si tratta anche di una necessità economica, per garantire la disponibilità di un'intera gamma di beni tropicali e semi-tropicali che non sono producibili nella metropoli capitalista, i cui rifornimenti verrebbero interrotti con un indebolimento dell'accordo imperiale.
Molti sono stati sorpresi di recente dalla decisione di Svezia e Finlandia di richiedere l'adesione alla NATO e dalla loro disponibilità a stipulare un accordo con la Turchia per superare l'obiezione di quest'ultima alla loro adesione, in base alla quale avrebbero ritirato la protezione ai rifugiati politici curdi, che il governo turco vuole perseguitare. Senza dubbio, la guerra tra Russia e Ucraina ha fornito lo sfondo immediato in cui il Paese ha espresso il desiderio di aderire alla NATO, ma il suo cambiamento di posizione è indicativo di qualcosa di più profondo, ossia di un cambiamento fondamentale che sta avvenendo nel mondo capitalista.
L'argomentazione avanzata dall'imperialismo per spiegare il cambiamento di posizione sottolinea la minaccia rappresentata dallo "espansionismo russo"; ma questo argomento non regge all'esame. Anche ammettendo che la Russia sia decisa ad essere "espansionista", finora si è ipotizzato che il suo "espansionismo" riguardasse i territori che un tempo facevano parte dell'Unione Sovietica, ma né la Svezia né la Finlandia rientrano in questa categoria. Inoltre, al culmine della Guerra fredda, quando le potenze europee gridavano allo scandalo per la minaccia sovietica e i popoli europei venivano quotidianamente bombardati dall'antisovietismo, questi Paesi erano rimasti lontani dalla NATO. Perché allora dovrebbero improvvisamente richiedere l'adesione alla NATO ora che l'Unione Sovietica è crollata e la sfida ideologica all'egemonia imperialista si è allontanata?
La risposta sta nel fatto che l'imperialismo occidentale sta implodendo sotto l'impatto della crisi prolungata in cui è entrato il neoliberismo. Essere afflitti da una crisi prolungata non favorisce l'esercizio dell'egemonia; il mondo sembra essere sull'orlo di un cambiamento che le potenze occidentali stanno disperatamente cercando di evitare assumendo una posizione ultra-aggressiva. È la paura di questo possibile cambiamento imminente, con il declino dell'egemonia occidentale e l'emergere di Cina e Russia come centri di potere alternativi, che sta unendo i Paesi occidentali come mai prima d'ora, compresi i Paesi scandinavi. Il cambiamento di posizione dei Paesi scandinavi, quindi, lungi dal mostrare l'ultra-aggressività della Russia, è sintomatico dell'ultra-aggressività delle potenze occidentali in una situazione in cui la loro egemonia è minacciata a causa di una crisi economica prolungata.
*) Prabhat Patnaik è un economista indiano.
17/07/2022
Circolano molte idee sbagliate sul capitalismo scandinavo. Una, molto comune, è la convinzione che, poiché i Paesi scandinavi hanno sviluppato economie capitalistiche floride senza aver mai acquisito colonie proprie, costituiscano una chiara confutazione dell'affermazione che lo sviluppo capitalistico richieda necessariamente l'imperialismo. Si tratta di un'argomentazione che ho sentito ripetere per decenni, ma si basa su un'idea sbagliata, non solo sulla Scandinavia, quanto soprattutto sull'imperialismo stesso.
In effetti, si possono dire molte cose positive riguardo le concessioni strappate al capitalismo dalla socialdemocrazia scandinava (anche se molte di queste sono minacciate nell'attuale epoca neoliberista), ma è una lettura totalmente errata del capitalismo affermare che la Scandinavia costituisca un esempio di capitalismo non imperialista. I Paesi scandinavi non avranno avuto colonie, ma hanno cavalcato l'imperialismo di altre potenze, sia prima che dopo la Seconda guerra mondiale. Analizziamo perciò l'assetto imperialista nel dettaglio.
Ogni Paese capitalista di successo non ha bisogno di avere un proprio impero. Esiste un sistema imperiale generale all'interno del quale si verifica lo sviluppo capitalistico e i diversi Paesi capitalisti avanzati beneficiano di tale sistema anche quando non hanno un impero proprio. Nel periodo di massimo splendore dell'imperialismo britannico, ad esempio, il suo mercato era aperto alle merci dell'Europa continentale; quest'ultima non doveva trovare mercati esclusivi per conto proprio, perché poteva entrare liberamente nel mercato britannico per vendere i suoi prodotti; e riusciva a farlo perché la "partenza anticipata" della Gran Bretagna significava che la sua produttività del lavoro era più bassa rispetto ai nuovi [Paesi] industrializzati, quindi (con salari più o meno uguali) il suo costo unitario di produzione era più alto. Allo stesso modo, le materie prime fondamentali estratte dall'imperialismo britannico dalle sue colonie e semicolonie potevano essere accessibili all'Europa continentale e agli altri Paesi capitalisti di recente sviluppo dell'epoca, senza che questi ultimi dovessero prendere accordi esclusivi per ottenere tali forniture.
In effetti, questo è un ruolo che tutti i Paesi imperialisti principali svolgono in qualsiasi momento: è una componente essenziale del loro ruolo di comando, che permette la diffusione del capitalismo nei Paesi rivali e non provoca alcuna seria sfida alla loro guida da parte dei nuovi industrializzati. I "leader" assorbono effettivamente i beni delle potenze rivali impegnate a sviluppare i propri capitalismi industriali, evitando di incorrere in deficit insostenibili delle partite correnti proprio grazie all'accordo imperiale. La Gran Bretagna ha evitato tali deficit insostenibili grazie al "drenaggio" che ha imposto alle sue colonie, la cui entità è stata grande abbastanza non solo per coprire questo deficit, ma anche per realizzare sostanziose esportazioni di capitali verso gli stessi Paesi con cui aveva tali deficit, ossia i Paesi emergenti di origine europea.
Gli Stati Uniti, che sono succeduti alla Gran Bretagna alla guida del mondo capitalista, non avevano possedimenti coloniali del tipo di quelli della Gran Bretagna, ma hanno gestito il loro deficit delle partite correnti stampando dollari, che nell'ambito del sistema di Bretton Woods sono stati decretati "buoni quanto l'oro" (essendo convertibili in oro a 35 dollari l'oncia). Anche in seguito, dopo il crollo dell'accordo di Bretton Woods e della convertibilità dell'oro, i dollari sono stati accettati de facto validi come l'oro dai detentori di ricchezza del mondo, che non hanno esitato a tenerli.
L'intero mondo capitalista, in breve, è chiamato a portare sulle spalle il Paese capitalista leader; è vero che alcuni Paesi avanzati possono trovare ciò troppo limitante e tentare di ritagliarsi un proprio impero, ma quelli che non lo fanno, come i Paesi scandinavi, non possono essere considerati come se stessero costruendo un proprio capitalismo senza ricorrere all'imperialismo: accedono ai benefici dell'imperialismo della potenza capitalista leader.
Ci sono due ulteriori punti da notare qui. In primo luogo, le potenze capitaliste emergenti rivali godono del libero accesso al mercato del Paese capitalista leader, anche se esse stesse impongono nei propri mercati tariffe protezionistiche contro le importazioni, incluso quest'ultimo. Così, la Germania e gli Stati Uniti hanno imposto tariffe nel periodo precedente la Prima guerra mondiale per isolare i mercati nazionali a favore dei propri capitali, sebbene avessero invaso il mercato britannico. È questa asimmetria che ha permesso loro di industrializzarsi nonostante il vantaggio ottenuto dalla Gran Bretagna; lo stesso vale per altri Paesi dell'Europa continentale. In secondo luogo, queste potenze rivali non solo avevano accesso al mercato britannico, ma anche ai mercati delle sue colonie, almeno fino agli anni Venti e Trenta.
L'introduzione della "preferenza imperiale" nel periodo tra le due guerre, che comportava tariffe differenziate, cioè tariffe più alte contro i beni prodotti al di fuori dell'impero britannico rispetto ai beni prodotti al suo interno, segnò una rottura in questo accordo. Fu progettato principalmente contro la massiccia spinta giapponese volta a catturare i mercati delle colonie asiatiche della Gran Bretagna; ma anche se il Giappone fu l'obiettivo principale della "preferenza imperiale" e della successiva campagna "Buy Empire", le tariffe differenziate significarono un cambiamento generale nel sistema imperialista e furono sia una causa che un sintomo della rivalità inter-imperialista innescata dalla Grande depressione. Ma per tutto il periodo precedente a questa rottura, ossia prima dell'espansionismo economico giapponese che sconvolse l'assetto precedente la Prima guerra mondiale e che si trasformò, quando fu contrastato da queste azioni difensive della Gran Bretagna, in espansionismo militare giapponese, i mercati coloniali britannici erano aperti alle merci non solo della Gran Bretagna, ma anche delle potenze capitalistiche rivali.
Quindi, lo sviluppo del capitalismo scandinavo, nonostante il fatto che i Paesi scandinavi non avessero colonie proprie, non è una confutazione della necessità dell'imperialismo per la crescita del capitalismo; sottolinea solo la complessità dell'accordo imperiale. Ne consegue che i Paesi scandinavi hanno lo stesso interesse a preservare l'accordo imperiale di qualsiasi altro grande Paese capitalista. Non si tratta solo di ragioni politiche, vale a dire che un crollo dell'accordo di "sicurezza" imperiale rende la sopravvivenza del capitalismo in un particolare Paese avanzato molto più difficile, incoraggiando il suo accerchiamento politico; si tratta anche di una necessità economica, per garantire la disponibilità di un'intera gamma di beni tropicali e semi-tropicali che non sono producibili nella metropoli capitalista, i cui rifornimenti verrebbero interrotti con un indebolimento dell'accordo imperiale.
Molti sono stati sorpresi di recente dalla decisione di Svezia e Finlandia di richiedere l'adesione alla NATO e dalla loro disponibilità a stipulare un accordo con la Turchia per superare l'obiezione di quest'ultima alla loro adesione, in base alla quale avrebbero ritirato la protezione ai rifugiati politici curdi, che il governo turco vuole perseguitare. Senza dubbio, la guerra tra Russia e Ucraina ha fornito lo sfondo immediato in cui il Paese ha espresso il desiderio di aderire alla NATO, ma il suo cambiamento di posizione è indicativo di qualcosa di più profondo, ossia di un cambiamento fondamentale che sta avvenendo nel mondo capitalista.
L'argomentazione avanzata dall'imperialismo per spiegare il cambiamento di posizione sottolinea la minaccia rappresentata dallo "espansionismo russo"; ma questo argomento non regge all'esame. Anche ammettendo che la Russia sia decisa ad essere "espansionista", finora si è ipotizzato che il suo "espansionismo" riguardasse i territori che un tempo facevano parte dell'Unione Sovietica, ma né la Svezia né la Finlandia rientrano in questa categoria. Inoltre, al culmine della Guerra fredda, quando le potenze europee gridavano allo scandalo per la minaccia sovietica e i popoli europei venivano quotidianamente bombardati dall'antisovietismo, questi Paesi erano rimasti lontani dalla NATO. Perché allora dovrebbero improvvisamente richiedere l'adesione alla NATO ora che l'Unione Sovietica è crollata e la sfida ideologica all'egemonia imperialista si è allontanata?
La risposta sta nel fatto che l'imperialismo occidentale sta implodendo sotto l'impatto della crisi prolungata in cui è entrato il neoliberismo. Essere afflitti da una crisi prolungata non favorisce l'esercizio dell'egemonia; il mondo sembra essere sull'orlo di un cambiamento che le potenze occidentali stanno disperatamente cercando di evitare assumendo una posizione ultra-aggressiva. È la paura di questo possibile cambiamento imminente, con il declino dell'egemonia occidentale e l'emergere di Cina e Russia come centri di potere alternativi, che sta unendo i Paesi occidentali come mai prima d'ora, compresi i Paesi scandinavi. Il cambiamento di posizione dei Paesi scandinavi, quindi, lungi dal mostrare l'ultra-aggressività della Russia, è sintomatico dell'ultra-aggressività delle potenze occidentali in una situazione in cui la loro egemonia è minacciata a causa di una crisi economica prolungata.
*) Prabhat Patnaik è un economista indiano.
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