Questo blog e il Comitato di sostegno alla guerra popolare in India (https://guerrapopolare-india.blogspot.com/) non hanno mai smesso di condurre campagne per la sua liberazione e per quella di tutti i prigionieri e delle prigioniere politiche in India, il 23 marzo si è svolta una giornata internazionale di mobilitazione con iniziative in vari paesi, dall'Italia, alla Galizia, all'Austria, alla Colombia, al Brasile, per denunciare la guerra che il fascista Modi sta conducendo contro il suo stesso popolo per contro dell'imperialismo e il criminale e inumano trattamento nelle carceri da parte del regime di chi si oppone a questo genocidio.
La lotta per la liberazione del professor Saibaba, per Varavara Rao, per tutti i prigionieri e le prigioniere politiche rinchiusi nelle carceri del regime fascista hindutva, deve continuare!
E' ora che si levi alta e forte la voce di intellettuali e giornalisti in questo paese per rivendicare la loro liberazione
Le poesie e le lettere di un attivista indiano in carcere
di Valeria Cagnazzo | 30 Mag 2022 |
Pagine Esteri, lunedì 30 maggio 2022 – Qualcuno in India dice che già per il fatto di
essere un invalido al 90% in sedia a rotelle avrebbe diritto alla libertà. Per
i suoi giudici e il governo, si tratta, invece, di un attivista pericoloso per
lo Stato e meritevole dell’ergastolo al quale è stato condannato. G.N. Saibaba è probabilmente prima di tutto un poeta,
che affronta quello che la vita gli assegna in sorte, ovvero la disabilità,
l’impegno politico, la persecuzione da parte del governo e, infine,
l’incarcerazione, facendo quello che gli riesce meglio e a cui tiene di più:
scrivere. Anche dalla cella di un carcere di massima sicurezza in India
chiamata “anda”, “uovo”, per la forma oblunga delle sue pareti. Il suo ultimo
libro, una raccolta di poesie, saggi e lettere pubblicata da Speaking Tiger, si
intitola “Perché temi così tanto le mie idee?” (“Why do you
fear my way so much?”).
Nato da una famiglia di contadini dello stato indiano dell’Andhra Pradesh, a cinque anni ha perso l’uso
degli arti inferiori a causa della poliomielite. Ha insegnato inglese all’Università di Delhi per diversi anni. Il titolo di Assistant Professor gli è stato ufficialmente ritirato nel 2021, quando era rinchiuso già da sei anni in carcere. La condanna alla reclusione a vita è stata pronunciata contro Saibaba nel 2017, secondo la Legge indiana per la prevenzione delle attività illegali (UAPA): l’accusa erano i suoi legami con il Fronte Democratico Rivoluzionario, un partito bandito dal 2012 perché considerato un’organizzazione maoista.Quella di Saibaba è una vita di poesia e di impegno politico. Nel 2004, fu
tra gli organizzatori della Mumbai Revolution,
un forum di oltre 310 movimenti politici che si tenne nella città
parallelamente al World Social Forum. Erano gli anni dell’invasione dell’Iraq,
della lotta al terrorismo, del dibattito sulla globalizzazione, gli anni in cui
l’Occidente portava la guerra in Medio Oriente ossessionato dalla paura di
avercela in casa. Lo slogan del World Social Forum, “Un altro mondo è
possibile”, secondo gli attivisti riuniti alla Mumbai Revolution non era
abbastanza. Erano intellettuali provenienti da tutta l’India e dall’estero. Nei
due giorni di forum, discussero dell’insensatezza della guerra, degli effetti
dell’imperialismo e dei governi fascisti sulla vita dei contadini e della
classe operaia, della marginalizzazione delle popolazioni indigene e
dell’isolamento delle minoranze nel Paese e nel mondo. Nessun altro mondo sarebbe stato possibile senza la resistenza
attiva di ciascuno.
Nel 2009, Saibaba
levò la sua voce contro l’Operazione Caccia Verde (Green Hunt),
lanciata dall’allora ministro dell’interno Palaniappan Chidambaram
ufficialmente con lo scopo di reprimere la resistenza maoista naxalita nelle
foreste centrali dell’India. Decine di migliaia di militari e paramilitari
furono dispiegati nelle regioni di Chattisgarh and Jharkhand, un’area che il
governo battezzò “corridoio rosso”. Quella zona, tuttavia, corrispondeva
esattamente alla “cintura tribale”, una larga striscia di
foreste e villaggi abitati dal gruppo etnico degli Adivasi e con un sottosuolo
estremamente ricco di minerali. Un dato che non sfuggì a Saibaba e
ad altri intellettuali di sinistra che manifestarono contro l’operazione
militare del governo indiano.
Gridavano al genocidio della popolazione indigena degli Adivasi e al suo
dislocamento operato dal governo per impadronirsi delle materie prime della
zona. Denunciavano che la repressione del pericolo terroristico rappresentato
dai maoisti fosse soltanto il pretesto per militarizzare un territorio da
rivendere alle multinazionali. Una cara amica di GN Saibaba, la
scrittrice Arundhati Roy, accusava in quel
periodo il governo di aver già siglato diversi memorandum di intesa con molte
multinazionali che avevano per oggetto proprio le miniere della “cintura
tribale”: “C’ è un Memorandum d’intesa su ogni montagna,
foresta o fiume in quest’area”, ripeteva l’autrice. Nel 2011, la
Corte Suprema dichiarò incostituzionale l’utilizzo di forze paramilitari e di
“guardiani locali” al quale il governo stava ricorrendo per la sua Operazione
Caccia Verde: la soluzione fu quella di assorbirli nella polizia civile. Un
altro tassello a supporto della tesi, sostenuta da Saibaba e dagli altri attivisti,
della progressiva militarizzazione di uno Stato ufficialmente
democratico. La posizione del poeta contro l’operazione
militare a danno degli indigeni lo mise definitivamente in pessima luce agli
occhi del governo indiano.
Fu arrestato per la prima volta nel 2014, per presunti legami coi Maoisti. Era il pomeriggio
del 9 maggio quando la sua macchina è stata fermata a Delhi sulla strada di
ritorno dal lavoro da un gruppo di poliziotti, è stato trascinato fuori dal
veicolo e trasferito in aereo a Nagpur, in carcere. La sua carrozzina fu danneggiata durante l’arresto.
Secondo l’UAPA, il suo attivismo e i supposti legami politici costituivano una
minaccia terroristica. Era un poeta, si diceva, che “faceva la guerra alla
nazione”. Nel 2015 e nel 2016 due brevi periodi di libertà per motivi
medici, poi nel 2017 la condanna definitiva all’ergastolo.
In un’intervista disponibile in rete, il
poeta afferma: “La polizia mi diceva che sapeva che le accuse contro di me non
stavano in piedi, ma che avevano già raggiunto il loro obiettivo, che è quello
di tenermi dietro le sbarre il più a lungo possibile. [Mi dicevano:] abbiamo
silenziato la tua voce. La finirai di manifestare
contro l’Operazione Caccia Verde, ti terremo dietro le sbarre per impedirtelo”.
“Perché temi così tanto le mie idee?”
(abbiamo tradotto “way” come idee, ma la parola ha sicuramente un significato
più ampio che si riferisce al modo di agire, di pensare e di
vivere del poeta attivista) è una raccolta di poesie, di saggi,
di lettere rivolte a personaggi reali o immaginari, collezionati
durante i suoi anni di carcere. Il destinatario principale di Saibaba è sua
moglie Vasantha. Con lei, Saibaba non può più comunicare nella
lingua madre, il Telugu, perché considerata sediziosa e perché
difficile da decifrare per il sistema di censura del carcere. La poetessa Meena
Kandasamy nella prefazione del libro scrive che vietare a qualcuno di parlare
finanche con il suo coniuge nella sua lingua è “una punizione come
nessun’altra”, “un brutale silenziamento simile al taglio
della lingua alla radice”.
Nonostante la privazione della libertà e
le sofferenze della sua disabilità acuita dai trattamenti subiti in carcere, la
poesia di Saibaba è colma di un’incrollabile forza e
un’indistruttibile fiducia nella parola e nella vita. Un testamento
raccolto in pochi versi:
Ancora rifiuto
testardamente di morire.
La cosa triste è che non sanno
come uccidermi
perché io amo così tanto
il suono
dell’erba che cresce.
Nelle sue parole, si legge l’amore per la
moglie e per qualsiasi essere umano, l’entusiasmo e la convinzione che lottare contro le barbarie e le ingiustizie sia il solo modo
possibile di stare al mondo. Esprime persino compassione per il
secondino posto a vigilare sulla sua cella, che è prigioniero del suo lavoro,
non può trascorrere il tempo coi suoi cari ma solo a controllare “quelle
quattro mura”:
E’ un amico
un cugino e un
compagno.
È la guardia
e il guardiano
della sentenza* della mia vita,
frasi, parole e
sillabe.
*”sentence” in inglese è sia “frase” che “sentenza,
condanna”, nella traduzione abbiamo cercato di preservare l’ambiguità della
parola scelta dal poeta.
L’isolamento in una cella in un carcere di massima sicurezza non sembra aver indebolito l’animo vigoroso di Saibaba: “Aforismi della nostra epoca”, nel libro, è una sequenza di aforismi di sorprendente ironia politica:
Se commetti un piccolo reato,
la legge fa il suo corso.
Lanciati lontano in reati molto più
grandi,
finirai per fare le leggi
–
Più grande è il complesso
militare-bellico,
superiore sarà la tua democrazia
tra le Nazioni del mondo.
–
Le scorregge di un dittatore
democratico
hanno un dolce odore.
Nella lettera datata 31 agosto 2017, G.N. Saibaba si rivolge ad Anjum, il personaggio del romanzo “Il ministero della Suprema Felicità” scritto dalla sua amica e collega Arundhati Roy. Ad Anjum, destinatario immaginario, scrive: “Mentre i giorni e i mesi scorrono nella mia cella solitaria, scopro che nessuno è più interessato a leggere le mie lettere e a rispondermi… All’improvviso, ho sentito che sei l’unica persona che prenderebbe davvero sul serio le mie lettere e farebbe qualcosa di concreto per la mia libertà”.
Arundhati Roy protesta sin dal 2014 contro l’incarcerazione del professor Saibaba. Di fronte alla notizia del peggioramento delle sue condizioni di salute e dei maltrattamenti in carcere, insieme al rifiuto da parte delle autorità di sprigionarlo per permettergli cure mediche, ha denunciato: “Non è più una questione politica, è una questione patologica”. In un pezzo per il quale è finita sotto processo scriveva che il governo indiano doveva urgentemente liberare un intellettuale “disabile, la cui carrozzina era stata rotta e che era costretto a gattonare a quattro zampe per terra per muoversi nella sua cella”. Correva l’anno 2015.“Il suo vero crimine è stato
quello di aver organizzato una campagna contro quella che viene chiamata
“Operazione caccia verde”, in cui il governo aveva creato dei gruppi
di vigilanti e migliaia di paramilitari nelle foreste dell’India centrale, a
circondare villaggi che le popolazioni autoctone furono costrette ad
abbandonare per far posto alle miniere. Le persone che hanno protestato contro
questo sfratto sono state accusate di anti-nazionalismo e sono state arrestate
sulla base della Legge per la prevenzione delle attività illegali”, ha detto
Roy. “Ci chiamiamo uno Stato democratico, ma abbiamo una legge come la legge
per la prevenzione delle attività illegali: qualsiasi pensiero contro il
governo è considerato un’offesa criminale”.
E’ stata proprio Arundhati Roy a
presentare il libro di Saibaba in India: “Cosa stiamo facendo qui oggi?”
ha chiesto alla platea nel giorno del lancio della raccolta. “Siamo
riuniti per parlare di un professore che è paralizzato al 90% ed è in carcere
da sette anni. Questo è sufficiente. Non abbiamo bisogno di dire altro. E’
abbastanza per dirvi in che razza di Paese viviamo”. Poi ha descritto l’India come un aereo che voli in retromarcia,
partito dai momenti rivoluzionari degli anni ’60 in cui si redistribuivano la
terra e la ricchezza alla popolazione per diventare il posto in cui i leader
vincono le elezioni regalando 5 chili di riso e un chilo di sale a testa.
Accanto a lei, la moglie di Saibaba, Vasantha Kumari, che proprio in questi giorni sta
combattendo con le autorità indiane affinché venga rimossa la telecamera che il
10 maggio è stata posizionata nella cella di Saibaba e che lo segue anche in
bagno e mentre fa la doccia. Una violazione alla sua privacy e alla sua
dignità, secondo Kumari, che ha scritto una lettera al Ministero dello Stato di
Maharashtra: “È intimidazione, insulto e violazione della sua integrità fisica. I
detenuti hanno diritto a tutti i diritti costituzionali, tranne il diritto alla
mobilità e pochi altri. In queste condizioni di tensione, (Saibaba, ndr) ha deciso di intraprendere uno
sciopero della fame a tempo indeterminato fino alla morte o
alla rimozione della telecamera”.
Malgrado le sue condizioni critiche di
salute e la paralisi che ha colpito quasi interamente il suo corpo, da metà maggio il poeta è quindi in sciopero della fame per
proteggere la sua dignità. Fuori dalla sua cella, a poca distanza
dal carcere, vengono lette le sue poesie sarcastiche e i suoi delicati versi
pervasi di amore per la vita. Saibaba è un poeta che continua a non dubitare nella potenza della poesia e nella sua superiorità
davanti a qualsiasi barbarie.
E’ poesia, stupido
E’ stupenda poesia.
Non ha bisogno di armi
per fondere il ferro
dei tacchi rotti della storia.
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