Ci si interroga sulla necessità per l’Italia di riarmarsi per far fronte a eventuali minacce esterne. La risposta è che il riarmo italiano è già in corso con piani che, una volta giunti a compimento, faranno del nostro Paese una delle principali potenze militari europee. Passando in rassegna i principali nuovi programmi pluriennali di riarmo recentemente approvati o decisi, risulta discutibile la necessità di programmare nuove spese in tal senso, considerando che il costo complessivo solo di questi programmi – ve ne sono molti altri – supera i 73 miliardi di euro.

di Enrico  Piovesana (*)

AERONAUTICA. Il programma Eurofighter è stato appena incrementato con l’ordine di altri 24 caccia Typhoon (7,5 mld) che si aggiungono ai 93 in servizio. Altrettanto si prevede di fare per il programma F-35 con la richiesta di altri 25 bombardieri (7 mld) in aggiunta ai 90 già ordinati. L’Aeronautica italiana sta inoltre potenziando due flotte altamente strategiche: quella – unica in Europa – di aerei radar e per la guerra elettronica basata sui Gulfstream G550 – ne ha 3 cui se ne aggiungeranno altri 2 (550 milioni) – richiestissimi per le operazioni Nato sul fronte orientale; e quella delle aerocisterne per il rifornimento in volo basata sui Kc-767 – ne ha 4 cui se ne aggiungeranno altre due (1,3 mld). Infine, dopo anni di titubanze, si sta anche dotando di una flotta di droni armati basata sui Falco di produzione nazionale e forse anche sui Reaper americani.

MARINA. Alle 10 fregate lanciamissili Fremm se ne aggiungeranno altre 2 (1,5 mld), mentre proseguono spediti i programmi di costruzione e consegna dei 7 pattugliatori d’altura Ppa (5,7 mld) e dei 4 pattugliatori leggeri Ppx (1,2 mld), a cui si aggiungeranno anche 4 corvette europee in fase di studio e due nuove navi per operazioni speciali subacque, Olterra (60 milioni) e Ubos (35 milioni). Ai due cacciatorpediniere Orizzonte in fase di radicale potenziamento (1 mld) sI affiancheranno due nuovi super-cacciatorpediniere/incrociatori Ddx (2,7 mld). Dopo il recente varo della nuova ammiraglia della flotta, la “Trieste”, seconda portaerei per gli F-35B (1,2 mld), sono in cantiere altri 4 sommergibili U212 (2,7 mld) che forse diventeranno 6, 12 nuovi cacciamine (2,6 mld per i primi 8) e 3 navi da sbarco (con dislocamento doppio delle 3 “Santi” che andranno a sostituire). Rinnovata anche la componente aerea imbarcata: non solo con gli F-35B ma anche con altri 9 aerei antisommergibili (560 milioni), con l’ammodernamento e l’ampliamento degli elicotteri Hh101 (680 milioni) e con l’ordine di 14 droni imbarcati (192 milioni) – per i quali è in pianificazione anche un’apposita nave portadroni (progetto “Sciamano Drone Carrier”).

ESERCITO. Spicca su tutti il programma da 23 miliardi per il rafforzamento delle forze corazzate cingolate: 280 nuovi carri armati pesanti Panther (8 mld) e oltre mille carri leggeri Lynx (15 mld) che si aggiungeranno ai 125 carri pesanti Ariete in fase di ammodernamento (1 mld). Arriveranno poi circa 150 nuovi obici semoventi Rch155 (1,8 mld) in aggiunta ai 70 Pzh2000 rimodernati (270 milioni). Rafforzato anche il parco carri ruotati con 150 Centauro 2 (1,5 mld) – che si aggiungono ai 250 vecchio modello – e 76 Freccia Plus (300 milioni) – anch’essi in aggiunta ai 250 già in servizio. Rinnovata anche la flotta degli elicotteri da guerra con un centinaio di nuovi velivoli da combattimento Aw249 e multiruolo Aw169 (4 mld). In arrivo infine anche sei nuove batterie di missili anti-aerei Samp/t (3,7 mld) e una ventina di lanciarazzi Himars (1 mld), oltre a massicce forniture di proiettili da artiglieria da 155 mm (240 milioni).

(*) Tratto da MIL€X. Osservatorio sulle spese militari italiane.**

Armi . Boom dell’export italiano: nel 2024 ok a 7,7 mld di ordini, più 57% in 2 anni

di Luca Liverani (*)

L’industria bellica nazionale produce anche per Emirati Arabi Uniti, Egitto, Macedonia del Nord, India e Ucraina in guerra. Ancora armi a Israele. Riforma della 185: l’ultima Relazione trasparente?***

Il comparto industriale bellico dell'Italia è il sesto al mondo

La corsa al riarmo globale è già incominciata. E si traduce in ottimi affari anche per il comparto

industriale nazionale degli armamenti.
La segnalazione arriva dagli analisti di Rete italiana pace disarmo, sulla base dei dati ufficiali contenuti nella Relazione trasmessa dal Governo al Parlamento ai sensi della legge 185 del 1990.
E la riforma in corso di questa normativa, se sarà approvata dalla maggioranza, rischia di rendere molto più opaca la prossima Relazione. Impedendo sostanzialmente alla società civile di verificare le scelte politiche del Paese in tema di export bellico.

Nel 2024 dunque la crescita delle Autorizzazioni complessive all’export militare – cioè di quanto il Governo italiano ha autorizzato a seguito di richieste di contratti di vendita sull’estero delle nostre aziende – è aumentata e in maniera davvero rilevante. L’anno scorso il valore complessivo delle licenze rilasciate per il trasferimento di materiali d’armamento è stato di 8,69 miliardi di euro: 7,94 miliardi sono stati riferiti a esportazioni e intermediazioni mentre 743 milioni ad importazioni (escluse le movimentazioni intra-comunitarie UE/SEE).
Rispetto al 2023 perciò continua il trend di rilevante incremento delle autorizzazioni individuali di esportazione, rilasciate verso singoli Paesi per sistemi d’arma specifici, aumentate del 35% (6,45 miliardi di Euro). Questa forma di autorizzazione traina il totale complessivo delle licenze di autorizzazione a quasi 7,7 miliardi (7,691 milioni), che costituisce a un aumento del 23,5% rispetto al 2023, e di ben il 57% in più rispetto al 2022.

La continua crescita delle autorizzazioni individuali spinge dunque il dato complessivo ad un nuovo aumento del totale export militare italiano del 25% complessivo, dai 6.311 milioni di euro del 2023 ai 7.948 del 2024 (erano 5.289 milioni nel 2022). Numeri che confermano le tendenze evidenziate anche dalle recenti valutazioni del Sipri, l’Istituto di Stoccolma per la ricerca sulla pace, che hanno mostrato un enorme aumento tra gli ultimi due lustri del commercio internazionale di armi italiane pari all’132%. L’Italia è al sesto posto nella classifica globale per Paesi produttori.
A chi vendiamo?
Complessivamente a ben 90 paesi, mentre erano 83 nel 2023 e 82 nel 2022, grazie anche all’aumento del numero complessivo delle autorizzazioni: un salto a 2.569 contro le 2.101 nel 2023. Prima è l’Indonesia, che mel 2024 da sola ha ottenuto autorizzazioni per un valore complessivo superiore al miliardo di euro. Sono stati poi 15 i Paesi con valori compresi tra 100 milioni e 1 miliardo. Dietro all’Indonesia si collocano la Francia (591 milioni), la Nigeria (ben 480 milioni), il Regno Unito, la Germania e vari paesi NATO in pool per oltre 300 milioni ciascuno.
E sopra i 200 milioni si collocano anche stati problematici come Emirati Arabi Uniti, Egitto, Macedonia del Nord, India e Ucraina in guerra, peraltro è già destinataria di invii di armi e munizioni direttamente dal governo italiano, al di fuori quindi della 185 che ne regola il commercio. Il valore dei trasferimenti intracomunitari e delle esportazioni verso i Paesi NATO è si è ridotto al 44,1 %, mentre il restante 55,9 % ha interessato Paesi extra UE/NATO, «con una tendenza preoccupante e contraria allo spirito stesso della Legge», sostengono gli analisti.

La relazione segnala anche che nei dati 2024 non compare Israele: l’intervento israeliano su Gaza ha indotto l’Autorità nazionale UAMA a non concedere nuove autorizzazioni all’export, come stabilito dalla legge 185/1990.
Ciò però non ha fermato la continuazione di precedenti forniture: «Se è vero che nel 2024 non sono state concesse nuove autorizzazioni di esportazione a Israele – commenta Giorgio Beretta analista dell’Osservatorio OPAL – va però notato come dalla Relazione dell’Agenzia delle Dogane risultino 212 operazioni di esportazioni di materiali militari a Israele per un valore complessivo di 4 milioni 208 mila euro, da riferirsi a licenze rilasciate in precedenza«.
Non solo: «Inoltre nel 2024 sono continuati gli interscambi di materiali militari tra Italia e Israele: sono state infatti rilasciate 42 nuove autorizzazioni di importazione armamenti verso il nostro Paese per quasi 155 milioni di euro e, sempre nel 2024, ne sono state fisicamente importate da Israele per oltre 37».

«Rimane comunque una minaccia grave all’orizzonte», conclude l’analisi di Rete pace e disarmo: «Se verrà confermata la modifica di legge attualmente in discussione in Parlamento, che punta a una riduzione del controllo della trasparenza, quella del 2025 potrebbe essere l’ultima Relazione annuale a riportare molti dei dati e dei dettagli cruciali per comprendere le dinamiche dell’export militare italiano. Soprattutto per quanto riguarda i dati sul sostegno degli istituti di credito agli incassi derivanti dalle esportazioni».

(*) Tratto da Avvenire.

Ravenna: sequestrato materiale militare. Era diretto in Israele senza licenza

Ottocento pezzi acquistati dall’azienda Imi Systems, che rifornisce l’esercito. Il porto romagnolo teatro di proteste e di blocchi dei portuali di armi e navi israeliane.

di Linda Maggiori (*)

Nel porto di Ravenna da oltre un mese è bloccato un carico di 14 tonnellate di componenti di armi diretto a Israele. In tutto ottocento pezzi metallici classificati come materiale d’armamento e diretti all’azienda israeliana IMI Systems Ltd che rifornisce l’esercito israeliano. Il sequestro d’urgenza risale al 4 febbraio scorso, effettuato dall’Agenzia delle Dogane e convalidato dal Gip.

Una notizia finora passata sotto silenzio, senza comunicati stampa, giunta alla stampa locale solo ieri, quando il Tribunale di Ravenna ha esaminato la richiesta di dissequestro avanzata dall’avvocato Luca Perego che assiste la ditta Valforge di Lecco. Tutto è iniziato a metà 2024 quando la società lecchese, specializzata in fucina e stampa di articoli metallici, ha ricevuto un ordine di oltre 250mila euro dalla IMI Systems e a sua volta ha commissionato la fabbricazione dei pezzi a due aziende di Varese.

LA VALFORGE PERÒ, come contesta la procura, non ha l’autorizzazione a esportare il materiale bellico, né è iscritta nel Registro nazionale delle imprese istituito presso il ministero della difesa. È stato quindi indagato l’amministratore unico della società. La linea della difesa sostiene che l’azienda non era a conoscenza della destinazione militare, essendo questi prodotti dalla «funzione indistinguibile», usati anche nel settore civile.

Eppure la natura totalmente militare della Imi Systems e la classificazione dei pezzi come componenti militari avrebbe dovuto far sorgere sospetti già al momento dell’ordine. Ma a quanto pare non ne ha destato nessuno.

Così la “merce” prodotta a Varese, dopo aver passato il “test di qualità” a Lecco, è stata trasportata tramite tir al porto di Ravenna, dove l’attendeva una nave incaricata dall’azienda militare israeliana e diretta in Israele. Ma qualcosa si è inceppato. Lo spedizioniere avrebbe chiesto all’azienda di Lecco di sottoscrivere una certificazione e, secondo quanto riferisce l’avvocato nel ricorso, l’azienda si sarebbe soltanto a quel punto resa conto della destinazione militare e avrebbe annullato la spedizione, cercando di far tornare a Lecco la merce.

Nel frattempo però è intervenuta l’Agenzia delle Dogane con il sequestro. I container ora si trovano al Terminal container (Tcr) e il Tribunale del Riesame si è riservato alcuni giorni per esprimersi nel merito del ricorso. Non è la prima volta che Ravenna è crocevia di traffici militari. Nel 2023 una protesta aveva atteso il passaggio della nave israeliana Zim e nel maggio 2021 i sindacati del porto di Ravenna avevano bloccato il carico di armi per Israele, proclamando sciopero.

«ABBIAMO a che fare tutti i giorni con tantissimi container – spiega un portuale – Ci accorgiamo degli armamenti solo se abbiamo una soffiata o se sono ben visibili. Ma se sono pezzi smontati chiusi dentro ai container non è facile sapere di che si tratta. Non credo che questo sia l’unico né l’ultimo carico di armi di passaggio nel porto di Ravenna».

Un attivista del Coordinamento lecchese Stop al Genocidio e del Bds (la campagna Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni lanciata dalla società civile palestinese nel 2005) commenta: «La notizia è un’ulteriore dimostrazione del triste ruolo di aziende della Provincia di Lecco nell’esportazione di materiale di armamento a Israele sia nel 2023 che nel 2024 come riportano le statistiche del commercio estero dell’Istat e recenti inchieste di Altreconomia. Insieme all’Assemblea permanente lecchese contro le guerre, stiamo combattendo da mesi una lotta per raccogliere dati, denunciare e fermare queste produzioni di morte. Noi monitoriamo l’export autorizzato, che è già troppo, ma se a questo si aggiunge il traffico illegale di armi verso Israele il quadro è ancora più fosco». Per il 29 marzo è indetto un presidio in piazza a Ravenna contro il transito di armi nel porto.

(*) Tratto da Il Manifesto.
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Si ripara ad Augusta una grande unità da guerra della Marina libica

di Antonio Mazzeo (*)

Sulle forze armate navali libiche si è scritto di tutto e di più, specie in tema di violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. Fanno la sporca guerra alle migrazioni nel Mediterraneo: assaltano le imbarcazioni dei migranti per poi deportarli in orribili prigioni-lager e mitragliano le navi delle organizzazioni umanitarie che soccorrono i barchini a rischio naufragio. Ciononostante le unità libiche e i suoi equipaggi sono ospiti graditi e riveriti degli alti comandi della Marina Militare italiana.

Lo staff generale delle forze navali di Tripoli ha annunciato l’invio in Italia della nave da sbarco “Ibn Al-Haritha”. Essa sarà sottoposta a lavori di manutenzione in un cantiere navale “nell’ambito dell’accordo di cooperazione tra le marine militari libica e italiana”.
L’unità da guerra ha lasciato il porto di Tripoli giovedì 13 marzo per approdare la mattina del giorno successivo nella grande base navale di Augusta (Siracusa).
“L’operazione di attracco di poppa è stato eseguito con successo, a riprova dell’alta efficienza, della distinta perizia e della professionalità del personale delle forze libiche nello svolgimento delle manovre navali”, riporta con malcelata enfasi la testata giornalistica di Tripoli, Almenassa. “Gli ufficiali della Marina militare italiana che hanno ricevuto l’unità nella base navale di Augusta hanno lodato il risultato”.
Con un dislocamento di 1.150 tonnellate e una lunghezza di 81,3 metri, l’unità da sbarco “Ibn Al-Haritha” venne acquistata in Polonia dal governo libico del colonnello Gheddafi a metà anni ottanta. Realizzata nei cantieri navali di Danzica, la “Ibn Al-Haritha” fu poi sottoposta a lavori di manutenzione e rinnovamento dei motori in un cantiere navale croato nel 2009.
L’unità uscì indenne dalla campagna di bombardamenti NATO contro la Libia nel 2011; oggi viene impiegata dalla Marina libica come nave appoggio, da sbarco e trasporto di uomini e mezzi militari. Unità della stessa classe sono impiegate in Europa orientale anche per il “supporto di fuoco” alle truppe schierare sul fronte terrestre, con l’impiego di cannoni e sistemi di lancio multiplo di missili a corto raggio superficie-aria.

Non è la prima volta che navi da guerra libiche sono ormeggiate nella grande base navale siciliana. In occasione dell’esercitazione multinazionale “Searborder”, tenutasi nelle acque di Augusta dal 18 al 25 settembre 2023, era presente pure un’imbarcazione della Libia libica a fianco di altre sette unità e 3 assetti appartenenti ad altri paesi nordafricani (Algeria, Marocco e Tunisia) e a Francia, Spagna, Malta ed Italia (presente pure un team di fucilieri della brigata marina San Marco di Brindisi).
I war games aeronavali furono organizzati nell’ambito delle attività di formazione e sorveglianza marittima previste dall’accordo di collaborazione “5+5” siglato a Parigi il 21 dicembre 2004, dai ministri della Difesa dei Paesi delle due sponde del Mediterraneo Occidentale: Francia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna, Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia.
“L’esercitazione Searborder ad Augusta ha incluso un aspetto teorico con letture e workshop sulla conduzione delle attività di navigazione, mentre l’aspetto pratico ha visto lo svolgimento di operazioni di ricerca e salvataggio, interventi contro navi sospette, manovre marittime, combattimento contro un gruppo terroristico, protezione di una nave, mostra di formazioni navali a visitatori VIP ed esercitazioni addestrative notturne per ufficiali dell’intelligence”, ha spiegato a conclusione delle manovre ad Augusta il Capo di Stato Maggiore della marina militare libica.

(*) Tratto da Stampalibera.