La borghesia utilizza i dati statistici a proprio uso e consumo e per formare l’opinione pubblica a proprio favore.
In questo caso parliamo dei dati pubblicati dall’Istat riferiti
alla disoccupazione e alla cosiddetta ripresa economica.
Cogliendo, infatti, ogni occasione che può sembrare loro
favorevole, politici e stampa continuano a parlare di ripresa economica,
addirittura di nuovo miracolo economico: il Pil, il prodotto interno
lordo, la “ricchezza nazionale”, sarebbe aumentato del 2,7% nel secondo
trimestre di quest’anno, ma lo stesso Draghi ha dovuto ammettere che si tratta
di normale “rimbalzo” rispetto al terribile calo del pil in questi anni e,
infatti, ciononostante, non si è ancora recuperato il livello pre-covid.
E nel mese di luglio c’è stato un altro segnale negativo che
ha smorzato in parte l’euforia sbandierata a piene mani.
La “frenata di luglio” dice un economista dell’Ocse, sarebbe causata da un “rallentamento
dell’economia, a partire soprattutto dall’industria per la carenza di materie prime.” Tra cui quella più importante dei semiconduttori, con il relativo rincaro dei prezzi. E per questo la chiama “ripresa precaria”.Politici, stampa e galoppini vari, come i sindacalisti
governativi, continuano, quindi, a fare vera disinformazione per spargere
illusioni e distrarre dai dati reali come quello sulla disoccupazione, per
esempio.
L’altro “miracolo”, infatti, sarebbe quello dell’occupazione
in aumento: le statistiche pubblicate dall’Istat il primo settembre dicono che
dall’inizio dell’anno ci sono 550 mila lavoratori in più… e subito
aggiunge che però si tratta di oltre 300 mila lavoratori a tempo
determinato, precari, e il resto, si legge in un articolo la Repubblica di
ieri, potrebbe essere il risultato di un effetto ottico dato che “i
cassintegrati da più di tre mesi sono considerati inattivi fino a quando si mettono
a cercare un altro posto o tornano al loro. Ecco, quindi, che in quel mezzo
milione di occupati ‘recuperati’ da gennaio potrebbe esserci una quota di lavoratori
che hanno finito la Cig Covid e sono tornati in ufficio o in azienda.”
Il fatto è che la crisi economica mondiale è tale, aggravata
enormemente dalla pandemia, che riprendersi è impossibile e non basterà certo
il “miracolo” del Piano nazionale di ripresa e resilienza, a meno che la borghesia
dei paesi imperialisti scateni una guerra davvero mondiale, che distrugga e poi
“ricostruisca”: un tragico film già visto… ma è il film che la borghesia
sarebbe disposta anche a “girare” pur di mantenere in piedi il sistema capitalistico.
È per cercare di mantenere il proprio morale alto che quando
l’Istat periodicamente emette i propri bollettini sui dati economici,
occupazione disoccupazione ecc., “analisti” di ogni genere al servizio della
borghesia si buttano a capofitto per darne una interpretazione utile alla propria
parte.
Ma alcuni di questi dati sono davvero pesanti e non si
possono nascondere: quanto si deve “recuperare” in termini di
occupazione?:
“Ci lasciamo alle spalle – spiega il presidente di Aiso [un’agenzia
di ‘collocamento’ privata]- un anno e mezzo di grande difficoltà, in cui circa
1,2 milioni di persone hanno perso il lavoro. Secondo alcune analisi almeno
la metà di queste non ritroverà un’occupazione prima della fine dell’anno
prossimo. Tuttavia non ci aspettiamo un cataclisma, le uscite hanno riguardato
per lo più figure a cui è stato proposto un esodo incentivato o i contratti a
termine che non sono stati più rinnovati….” (il Sole 24 Ore 30 agosto).
Dunque, oltre 1 milione e 200 mila posti di lavoro persi
(ma per loro non è un cataclisma (!)) in un anno e mezzo e ne sarebbero stati
recuperati la metà fino a giugno (e quindi ne mancano appunto circa 600mila); oltre
a questi, dice il “commento” sintetico dell’Istat, “a luglio ci sono 23mila
disoccupati in più” ma questo dato sembra non preoccuparli più di tanto perché
sarebbero quasi tutti lavoratori autonomi, che negli anni stanno subendo un crollo
che “va avanti da trent’anni e con la pandemia ha coinvolto non solo gli autonomi-datori
di lavoro [le finte partite iva, ndr], ma le partite Iva vere, i professionisti
giovani, i consulenti delle aziende che ora hanno tagliato le spese”. (la
Repubblica 2 settembre)
Questa categoria di lavoratori comprende “un milione e
150 mila autonomi iscritti agli ordini e alle casse e di circa 350mila
non ordinistici e iscritti alla gestione separata dell’Inps” (Il Sole24Ore
2 settembre). Una parte di questa piccola borghesia emigra o si ricicla in
qualche modo, una parte cade nella “disoccupazione intellettuale”.
L’Istat conferma che nonostante i nuovi occupati: “Tuttavia
non si è ancora tornati ai livelli pre-pandemia (febbraio 2020): il numero
di occupati è inferiore di oltre 260 mila unità, il tasso di occupazione e
quello di disoccupazione rimangono più bassi, mentre il tasso di inattività è
superiore di 0,7 punti … Gli inattivi sono ancora molti: oltre
160mila rispetto a febbraio 2020, tutti uomini, le donne hanno
pareggiato il conto, ma mancano da recuperare 106mila occupate.”
Questa serie di dati sulla disoccupazione deve essere
completata con quella dei lavoratori in bilico perché appartenenti ad aziende
in crisi (al Ministero dello Sviluppo economico se ne contano almeno un centinaio
per migliaia di operai): sempre il Sole24Ore ne riporta un parziale schemino di
quelle che considera principali: “Stellantis – in tutta Italia – 54.000;
Ilva – Taranto, Cornigliano e Novi Ligure – 10.700; Ex Lucchini
– Piombino – 1.800; Ex Sicilfiat – Termini Imerese – 700; Whirlpool
– Napoli – 340; Alcoa – Portovesme – 100”
C’è la possibilità di invertire questa tendenza all’aumento
della disoccupazione? E con i padroni che insistono pure nella “delocalizzazione”?
No, non si può invertire con l’attuale livello di
mobilitazione degli operai. Bisogna per forza alzare il livello dello scontro, della
lotta di classe.
P.s.: A proposito di dati: la montagna di numeri e
percentuali nasconde una realtà veramente assurda che va sotto il nome di tasso
di occupazione, che indica quante persone, uomini e donne, lavorano
rispetto al totale delle cosiddette “forze di lavoro”, che per l’Istat è del 58,4
per cento, cioè poco più della metà di uomini e donne che sono in
grado di lavorare: una vera follia dal punto di vista sociale.
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