sabato 4 settembre 2021

Politica proletaria - Disoccupazione e ripresa economica: i dati della borghesia e quelli reali

La borghesia utilizza i dati statistici a proprio uso e consumo e per formare l’opinione pubblica a proprio favore.

In questo caso parliamo dei dati pubblicati dall’Istat riferiti alla disoccupazione e alla cosiddetta ripresa economica.

Cogliendo, infatti, ogni occasione che può sembrare loro favorevole, politici e stampa continuano a parlare di ripresa economica, addirittura di nuovo miracolo economico: il Pil, il prodotto interno lordo, la “ricchezza nazionale”, sarebbe aumentato del 2,7% nel secondo trimestre di quest’anno, ma lo stesso Draghi ha dovuto ammettere che si tratta di normale “rimbalzo” rispetto al terribile calo del pil in questi anni e, infatti, ciononostante, non si è ancora recuperato il livello pre-covid.

E nel mese di luglio c’è stato un altro segnale negativo che ha smorzato in parte l’euforia sbandierata a piene mani.

La “frenata di luglio” dice un economista dell’Ocse, sarebbe causata da un “rallentamento

dell’economia, a partire soprattutto dall’industria per la carenza di materie prime.” Tra cui quella più importante dei semiconduttori, con il relativo rincaro dei prezzi. E per questo la chiama “ripresa precaria”.

Politici, stampa e galoppini vari, come i sindacalisti governativi, continuano, quindi, a fare vera disinformazione per spargere illusioni e distrarre dai dati reali come quello sulla disoccupazione, per esempio.

L’altro “miracolo”, infatti, sarebbe quello dell’occupazione in aumento: le statistiche pubblicate dall’Istat il primo settembre dicono che dall’inizio dell’anno ci sono 550 mila lavoratori in più… e subito aggiunge che però si tratta di oltre 300 mila lavoratori a tempo determinato, precari, e il resto, si legge in un articolo la Repubblica di ieri, potrebbe essere il risultato di un effetto ottico dato che “i cassintegrati da più di tre mesi sono considerati inattivi fino a quando si mettono a cercare un altro posto o tornano al loro. Ecco, quindi, che in quel mezzo milione di occupati ‘recuperati’ da gennaio potrebbe esserci una quota di lavoratori che hanno finito la Cig Covid e sono tornati in ufficio o in azienda.”

Il fatto è che la crisi economica mondiale è tale, aggravata enormemente dalla pandemia, che riprendersi è impossibile e non basterà certo il “miracolo” del Piano nazionale di ripresa e resilienza, a meno che la borghesia dei paesi imperialisti scateni una guerra davvero mondiale, che distrugga e poi “ricostruisca”: un tragico film già visto… ma è il film che la borghesia sarebbe disposta anche a “girare” pur di mantenere in piedi il sistema capitalistico.

È per cercare di mantenere il proprio morale alto che quando l’Istat periodicamente emette i propri bollettini sui dati economici, occupazione disoccupazione ecc., “analisti” di ogni genere al servizio della borghesia si buttano a capofitto per darne una interpretazione utile alla propria parte.

Ma alcuni di questi dati sono davvero pesanti e non si possono nascondere: quanto si deve “recuperare” in termini di occupazione?:

“Ci lasciamo alle spalle – spiega il presidente di Aiso [un’agenzia di ‘collocamento’ privata]- un anno e mezzo di grande difficoltà, in cui circa 1,2 milioni di persone hanno perso il lavoro. Secondo alcune analisi almeno la metà di queste non ritroverà un’occupazione prima della fine dell’anno prossimo. Tuttavia non ci aspettiamo un cataclisma, le uscite hanno riguardato per lo più figure a cui è stato proposto un esodo incentivato o i contratti a termine che non sono stati più rinnovati….” (il Sole 24 Ore 30 agosto).

Dunque, oltre 1 milione e 200 mila posti di lavoro persi (ma per loro non è un cataclisma (!)) in un anno e mezzo e ne sarebbero stati recuperati la metà fino a giugno (e quindi ne mancano appunto circa 600mila); oltre a questi, dice il “commento” sintetico dell’Istat, “a luglio ci sono 23mila disoccupati in più” ma questo dato sembra non preoccuparli più di tanto perché sarebbero quasi tutti lavoratori autonomi, che negli anni stanno subendo un crollo che “va avanti da trent’anni e con la pandemia ha coinvolto non solo gli autonomi-datori di lavoro [le finte partite iva, ndr], ma le partite Iva vere, i professionisti giovani, i consulenti delle aziende che ora hanno tagliato le spese”. (la Repubblica 2 settembre)

Questa categoria di lavoratori comprende “un milione e 150 mila autonomi iscritti agli ordini e alle casse e di circa 350mila non ordinistici e iscritti alla gestione separata dell’Inps” (Il Sole24Ore 2 settembre). Una parte di questa piccola borghesia emigra o si ricicla in qualche modo, una parte cade nella “disoccupazione intellettuale”.

L’Istat conferma che nonostante i nuovi occupati: “Tuttavia non si è ancora tornati ai livelli pre-pandemia (febbraio 2020): il numero di occupati è inferiore di oltre 260 mila unità, il tasso di occupazione e quello di disoccupazione rimangono più bassi, mentre il tasso di inattività è superiore di 0,7 punti … Gli inattivi sono ancora molti: oltre 160mila rispetto a febbraio 2020, tutti uomini, le donne hanno pareggiato il conto, ma mancano da recuperare 106mila occupate.”

Questa serie di dati sulla disoccupazione deve essere completata con quella dei lavoratori in bilico perché appartenenti ad aziende in crisi (al Ministero dello Sviluppo economico se ne contano almeno un centinaio per migliaia di operai): sempre il Sole24Ore ne riporta un parziale schemino di quelle che considera principali: “Stellantis – in tutta Italia – 54.000; Ilva – Taranto, Cornigliano e Novi Ligure – 10.700; Ex Lucchini – Piombino – 1.800; Ex Sicilfiat – Termini Imerese – 700; Whirlpool – Napoli – 340; Alcoa – Portovesme – 100

C’è la possibilità di invertire questa tendenza all’aumento della disoccupazione? E con i padroni che insistono pure nella “delocalizzazione”?

No, non si può invertire con l’attuale livello di mobilitazione degli operai. Bisogna per forza alzare il livello dello scontro, della lotta di classe.

P.s.: A proposito di dati: la montagna di numeri e percentuali nasconde una realtà veramente assurda che va sotto il nome di tasso di occupazione, che indica quante persone, uomini e donne, lavorano rispetto al totale delle cosiddette “forze di lavoro”, che per l’Istat è del 58,4 per cento, cioè poco più della metà di uomini e donne che sono in grado di lavorare: una vera follia dal punto di vista sociale.

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