mercoledì 1 settembre 2021

Sindacato di classe - Stellantis, ex Fiat, ferma la produzione in Italia a settembre e prepara il piano di ristrutturazione e la sua “delocalizzazione”

Solo 5-6 giorni di lavoro a settembre! I problemi più urgenti, per così dire, per le operaie e gli operai che dovevano riprendere il lavoro a settembre sono quelli legati al fermo produttivo deciso dall’azienda per la mancanza di microchip, per il blocco temporaneo delle forniture come acciaio e plastiche… ma anche al fatto che l’attuale Amministratore Delegato della Stellantis (ex Fiat), Carlos Tavares, sta mettendo in atto i piani già previsti di ristrutturazione del gruppo, che è il quarto produttore mondiale di auto (oltre 7 milioni di auto).

Una ristrutturazione fondata, come avrebbe detto lui stesso, secondo alcuni organi di stampa, sull’abbattimento dei costi per gli stabilimenti italiani che sono superiori a quelli delle fabbriche spagnole e francesi, perché nel nostro Paese “non si può mantenere lo status quo”.

La riduzione dei costi per ogni padrone significa semplicemente riduzione del numero di operai e del loro salario! E ciò tocca gli operai e le operaie del gruppo, non solo Stellantis, che sono 7.200, ma anche dell’indotto, e cioè altre migliaia.

Alcune cifre sulla crisi che dura da anni e costringe le multinazionali ad unirsi, a diventare sempre più

grandi per reggere la concorrenza mondiale, le ha date lo stesso Tavares che ha prima vantato i profitti che si aggirano intorno ai 5 miliardi, e poi ha parlato del calo nel primo semestre dell’anno di 700.000 veicoli in meno (circa il 20% della produzione) che può ancora salire a fine anno e che potrebbe continuare anche nel 2022 soprattutto per la carenza di microchip e altre forniture.

A complicare tutto c’è la forte pressione per la “riconversione verde”, la cosiddetta transizione ecologica, verso le auto ibride ed elettriche su cui stanno investendo tutte le multinazionali dell’auto con la necessità di grandi impianti per la produzione di batterie (le cosiddette gigafactory) e che costringe alla riconversione anche interi comparti dell’indotto.

Nell’immediato lo stabilimento di Melfi ridurrà la produzione a 8 mila auto, per un totale, come si diceva di circa 5-6 giorni lavorativi complessivi nel mese, visto che nel primo semestre dell’anno sono state prodotte 112.976 vetture, il 37,5% in più rispetto al 2020 ma ancora sotto del 26% rispetto ai volumi pre-Covid. E il passaggio, per gli operai, dai contratti di solidarietà alla cassa integrazione.

Per quanto riguarda lo stabilimento di Sevel, dove si assembla il Ducato con una produzione di 300 mila furgoni, la questione riguarda la possibilità concreta, viste appunto le dichiarazioni dello stesso Tavares, di uno spostamento della produzione negli stabilimenti in Polonia, a Gliwice, dove Stellantis ha deciso di anticipare a febbraio (rispetto ad aprile prossimo, con un investimento di 280-300 milioni) la produzione del Ducato che a regime sarà di 100 mila unità (ma potrebbe essere maggiore) e che a fine 2022 potrebbe raggiungere già le 40-50 mila unità.

Dal reparto Lastratura della Sevel, infatti, stanno partendo per Gliwice, come raccontano i sindacati, intere fiancate del furgone da assemblare in Polonia e alcune aziende dell’indotto abruzzese (Proma, Plastic e Isringhausen) stanno già producendo per lo stabilimento polacco.

Ciò permette ai padroni di aprire nuove fabbriche anche per sfruttare la decisione di Varsavia di estendere nell’area dal 2020 al 2026 gli incentivi fiscali delle Zes (Zone Economiche Speciali) e l’elevata infrastrutturazione in una zona strategica per servire tutto il mercato europeo.

I costi di produzione dei nuovi furgoni sono più bassi di circa 900 euro e gli impianti sarebbero automatizzati al 96%! Dice un articolo di “affaritaliani” che pubblica anche un video. Meno costi, meno salari, e ciò, secondo il sistema di produzione capitalistico, almeno in un primo momento favorisce la concorrenza.

Per poter fare tutto questo in santa pace, Tavares e Agnelli/Elkann hanno fatto una mossa per superare l’ostacolo dell’accordo che avevano fatto con il governo italiano, quello che prevedeva, a fronte di un prestito di oltre 6 miliardi, investimenti e mantenimento dell’occupazione in Italia: il gruppo automobilistico ha appena “rimborsato a Banca Intesa 6,3 miliardi di prestito per cui valeva la garanzia pubblica, prevista dal decreto liquidità in piena pandemia Covid (acceso dall’ex Fca Italy nel 2020), dopo aver sottoscritto con un pool di banche nuove linee di credito per oltre 12 miliardi (da estendere anche all'ex Psa).”

Il giochetto, quindi, consiste nel prendere a prestito soldi da altre banche, addirittura il doppio, anche a interessi più alti rispetto “agli interessi pagati con il paracadute dello Stato, pur di non avere più, (appunto) i vincoli occupazionali (impossibilità di licenziare) e di investimento nazionali (no delocalizzazioni e impiego delle risorse anche a favore della filiera) a cui prima invece il duo Tavares-Elkann doveva sottostare.” (affaritaliani)

Davanti a queste manovre del Capitale, che se ne frega degli “accordi”, che prevedono cassa integrazione che alla lunga diventa licenziamento, salari più bassi, “guerra tra poveri” tra operai di diversi paesi e quindi comunque peggioramento delle condizioni… manovre che non sono più un mistero per nessuno, visto che le notizie vengono spesso fornite dagli stessi padroni e girano su internet! i sindacati continuano a fare finta di avere scoperto all’improvviso questi piani, e chiedono con una lettera firmata da Cisl-Cgil-Uil-Fismic-UglM-AqcfR un incontro del tavolo…

Mentre, quindi, come si vede, Stellantis fa quello che vuole e, come dice un giornale, si prepara a “sbaraccare” prospettando tempi durissimi per gli operai, il segretario generale della Cisl, Uliano, per esempio, vuole “comprendere con quali logiche i microchip che il gruppo riesce a farsi consegnare dai fornitori vengono ripartiti fra i vari impianti…” (La Repubblica)

La “logica” è quella dei padroni, è chiaro a tutti, compreso questi sindacati che continuano a prendere in giro gli operai per i quali la battuta “è il capitalismo, bellezza” suona piuttosto amara, ma è la pura verità, e gli operai è tempo che se ne facciano una ragione, devono imparare a “leggere il Capitale” per trovare le risposte adeguate e tempestive alla sua potenza distruttiva di uomini e cose.

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