Attesa per la decisione del tribunale sugli scontri di giugno e luglio 2011, chieste condanne per 200 anni
Il processo ai 53 attivisti No Tav si è celebrato
nell’aula bunker del carcere di Torino per motivi di sicurezza, con un presidio
costante di carabinieri e polizia: scelta a lungo contestata dai difensori degli
imputati
«Non ci fanno paura le vostre condanne» avevano gridato i No Tav, tre mesi
fa, ascoltando le richieste della procura, pronunciate nell’aula bunker delle
Vallette: quasi 200 anni di carcere, complessivamente, per i 53 imputati finiti
alla sbarra per gli scontri con le forze dell’ordine nell’estate 2011. E in più
occasioni gli imputati hanno gridato «La Valsusa paura non ne ha» alzando la
tensione in aula, difendendo gli ideali del movimento, in lotta da un ventennio
contro l’Alta Velocità. Oggi è il giorno della sentenza. Quasi due anni di
udienze: in questo processo si è raccontata la storia di un conflitto di
territorio, dallo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, agli
attacchi al cantiere. Tra lanci di pietre, nuvole di lacrimogeni, poliziotti,
carabineri e finanzieri feriti negli scontri. La sentenza è attesa per le 14,30.
Le forze dell’ordine sono in allarme, si temono reazioni.
Gli scontri
Il processo è iniziato nell’inverno del 2013, in un crescendo di tensione. Soprattutto per quella sede, l’aula bunker delle Vallette, evocatrice di processi storici, alle Br e ai clan criminali. Più volte gli avvocati difensori hanno chiesto di celebrare il processo nella sua sede naturale, in Tribunale, ma le proteste, gli slogan, i cortei improvvisati degli attivisti, hanno spinto le autorità a non recedere. E così si è arrivati alla fine: un centinaio di udienze, di fronte al collegio presieduto dal giudice Quinto Bosio. Nel corso del dibattimento, in più occasioni, scontri tra procura e difese. E poi centinaia di testimonianze e la visione di decine di filmati, ripetuti all’infinito, esaminati fotogramma per fotogramma, con le immagini degli scontri. Sotto processo due giorni d’estate.
Le ruspe
Il 27 giugno del 2011, quando le forze dell’ordine, con ruspe e operai, spazzarono via il presidio dei No Tav, le barricate erette per difendere quella porzione di valle, battezzata Libera Repubblica della Maddalena, un campeggio di tende e sacchi a pelo ai margini dei boschi. Per la procura i No Tav fronteggiarono le forze dell’ordine con «organizzazione militare, sotto un’unica strategia: impedire l’accesso ad ogni costo nell’area». Scontri ravvicinati, barriere divelte, manifestanti in fuga, autostrada per il Frejus bloccata. Così l’area fu sgomberata e recintata, per essere trasformata in cantiere. E poi il 3 luglio. Un giorno infernale. Iniziò con un corteo di pacifisti: attivisti, amministratori locali, famiglie. Degenerò in un assedio. «I manifestanti - ha sostenuto la procura - tentarono di forzare la protezione del cantiere, attaccando forze dell’ordine e operai». Quel giorno furono sparati sui manifestanti 2400 lacrimogeni. Per i due episodi le accuse sono di lesioni, violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento. Tra gli imputati, figurano alcuni esponenti storici dell’antagonismo torinese.
Oggi alle 18, a Bussoleno, in risposta alla sentenza, è previsto un presidio No Tav.
Gli scontri
Il processo è iniziato nell’inverno del 2013, in un crescendo di tensione. Soprattutto per quella sede, l’aula bunker delle Vallette, evocatrice di processi storici, alle Br e ai clan criminali. Più volte gli avvocati difensori hanno chiesto di celebrare il processo nella sua sede naturale, in Tribunale, ma le proteste, gli slogan, i cortei improvvisati degli attivisti, hanno spinto le autorità a non recedere. E così si è arrivati alla fine: un centinaio di udienze, di fronte al collegio presieduto dal giudice Quinto Bosio. Nel corso del dibattimento, in più occasioni, scontri tra procura e difese. E poi centinaia di testimonianze e la visione di decine di filmati, ripetuti all’infinito, esaminati fotogramma per fotogramma, con le immagini degli scontri. Sotto processo due giorni d’estate.
Le ruspe
Il 27 giugno del 2011, quando le forze dell’ordine, con ruspe e operai, spazzarono via il presidio dei No Tav, le barricate erette per difendere quella porzione di valle, battezzata Libera Repubblica della Maddalena, un campeggio di tende e sacchi a pelo ai margini dei boschi. Per la procura i No Tav fronteggiarono le forze dell’ordine con «organizzazione militare, sotto un’unica strategia: impedire l’accesso ad ogni costo nell’area». Scontri ravvicinati, barriere divelte, manifestanti in fuga, autostrada per il Frejus bloccata. Così l’area fu sgomberata e recintata, per essere trasformata in cantiere. E poi il 3 luglio. Un giorno infernale. Iniziò con un corteo di pacifisti: attivisti, amministratori locali, famiglie. Degenerò in un assedio. «I manifestanti - ha sostenuto la procura - tentarono di forzare la protezione del cantiere, attaccando forze dell’ordine e operai». Quel giorno furono sparati sui manifestanti 2400 lacrimogeni. Per i due episodi le accuse sono di lesioni, violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento. Tra gli imputati, figurano alcuni esponenti storici dell’antagonismo torinese.
Oggi alle 18, a Bussoleno, in risposta alla sentenza, è previsto un presidio No Tav.
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