lunedì 9 aprile 2012

pc 8-9 aprile - Ddl RIFORMA MERCATO DEL LAVORO - 1° PARTE


INCERTEZZA E PRECARIETA' IN ENTRATA
CERTEZZA IN USCITA


L’art. 1 del Capo I del Ddl mostra già il carattere reazionario di questa riforma, pregna di una filosofia fortemente antilavoratori secondo cui gli operai, i lavoratori a tempo indeterminato rappresentano l’ostacolo alla “crescita” (dell’economia capitalista).
Una riforma che si vuole far passare attraverso un grande bluff rappresentato proprio dal primo capoverso di questo art. 1 che parla di creazione di occupazione e nello stesso tempo stabilisce le norme che la impediscono. Da un lato al punto a) dice che il contratto a tempo indeterminato deve essere quello dominante, ma dall’altro subito dopo al punto b) stabilendo che l’apprendistato è la modalità prevalente di ingresso dei giovani lo smentisce, visto che l’apprendistato è un contratto a termine e non vi è alcuna penalizzazione se l’azienda alla fine non lo trasforma a TI; da un lato al punto c) parla di voler contrastare gli elementi di flessibilità in entrata dovuti alle troppe tipologie contrattuali, dall’altra scrive che bisogna adeguare la disciplina del licenziamento alle esigenze del mutato contesto (eliminazione art. 18); da un lato al punto d) parla di rendere più efficiente, coerente ed equo l’assetto degli ammortizzatori sociali, dall’altro parla di eliminazione della mobilità e dopo il 2016 anche della cassintegrazione straordinaria, mentre lascia sempre fuori i disoccupati di lunga durata; da un lato al punto f) parla di una maggior inclusione delle donne nella vita economica, dall’altro tutta la riforma del mercato del lavoro – tra permanenza dei contratti ultraprecari e art. 18 – favorisce la precarizzazione a vita e il licenziamento soprattutto delle donne.

Restano tutte le tipologie dei contratti precari e ultraflessibili.

Basta poi scorrere il testo, perché l’attacco reale emerga chiaramente.
Sulle tipologie contrattuali. All’inizio si legge che tutti i contratti devono essere a Tempo Indeterminato, ma….
Nell’ipotesi di un primo rapporto è previsto il contratto a tempo determinato - qui la riforma rende unicamente più difficile alle aziende una successione di contratti a termine, allungando i tempi (da 60 a 90 gg) tra un contratto e l’altro; ma nello stesso tempo aumenta a 50 gg. la possibilità per le aziende di continuare il rapporto a tempo determinato dopo il termine del contratto, senza quindi procedere alla sua trasformazione a TI. Nei contratti inferiori ai sei mesi l’azienda non deve mettere neanche la causale, quindi viene meno anche questo vincolo per cui le aziende possono assumere molto più di prima a tempo determinato. Viene introdotta per questi contratti un’aliquota contributiva aggiuntiva dell’1,40% (che dovrebbe servire a finanziare la nuova indennità di disoccupazione – Aspi), ma subito si inseriscono delle eccezioni, a cui questo incremento non si applica: lavoratori assunti in sostituzione di colleghi assenti, lavoratori stagionali, apprendisti.
Tranquilli, però, a fronte di questo irrilevante incremento contributivo, arriva un premio per i padroni. Chi assume a TI un lavoratore a tempo determinato (dopo avergli fatto fare tutti e 36 mesi previsti, anche discontinui, di lavoro a termine) potrà recuperare fino a sei mesi dei contributi versati.
Resta il contratto di somministrazione (lavoratore in affitto) - qui l’unico cambiamento, certo non gradito dai padroni, è che anche i periodi di somministrazione si cumulano con i periodi di contratto a termine per arrivare ai 36 mesi complessivi di durata massima; così come resta il contratto di staff leasing – anche questo periodo si cumula fino a concorrenza dei 36 mesi.
Restano le false partite Iva che vengono trasformate in falsi contratti a progetto, non certo in contratti subordinati quali sono se, come è scritto nella stessa riforma: durano più di sei mesi, i lavoratori ricevono i tre/quarti del reddito “autonomo” dalla stessa azienda, e quindi di fatto una retribuzione, lavorano nella sede dell’azienda. In ogni caso, questa parte della riforma verrà applicata dopo l’approvazione del Ddl solo ai nuovi rapporti instaurati, mentre per quelli in corso le disposizioni trovano applicazione dopo un anno dall’approvazione della riforma.
Restano i contratti a progetto, che nel 99% mascherano veri e propri rapporti subordinati - il testo della riforma vuole far intendere che pone dei paletti più rigidi circa il progetto, il risultato da conseguire, l’autonomia, ma questi erano già presenti nella lettera dei co.co.pro. solo che nessuno li osservava; quindi, la “novità” non sta affatto in un più rigido uso di essi ma solo in un aumento dell’aliquota contributiva (che però era già nelle cose anche prima).
Restano i contratti a chiamata – unico cambiamento è che prima di ogni prestazione l’azienda deve inviare una comunicazione (obbligo che nei fatti salterà) e che l’indennità di disponibilità deve essere corrisposta da parte dell'azienda anche se non avviene la chiamata (ma anche qui, mai nei fatti questa indennità anche prima è stata data).
Restano i contratti di associazione in partecipazione, in cui l’unica modifica è la fissazione di un tetto di tre associati per la stessa attività, oltre però familiari, parenti ed affini.
Restano i contratti di lavoro occasionale accessorio, dove non solo sostanzialmente la riforma ha lasciato la loro disciplina come prima, ma li ha estesi in tutti i settori e anche nel pubblico.
Restano i tirocini formativi, che di “formativo” non hanno nulla e di lavoro normale subordinato hanno tutto, e che vengono usati dalle aziende, bene che vada per il lavoratore o più spesso lavoratrice, solo per risparmiare sei mesi di retribuzione contrattuale e di contribuzione.
Viene eliminato, dopo il 31 dicembre 2012, solo il contratto di inserimento.

Il contratto di apprendistato diventa il contratto di ingresso prevalente – che si punta ad estendere anche nella Pubblica Amministrazione. Questo rapporto di lavoro che nei fatti spesso non ha nulla di formativo, ma solo di possibilità di risparmio del costo del lavoro, e che è stato già pericolosamente utilizzato dalle grandi aziende metalmeccaniche, anche quelle siderurgiche, dove invece dovrebbe essere vietato, come altri contratti a termine, dato l’alto rischio per la sicurezza e la complessità delle lavorazioni, ora viene esteso a tutte le aziende in forza della legge. Viene poi stabilito anche un congruo vantaggio economico per i padroni sia attraverso forti sgravi contributivi sia con l’inquadramento del lavoratore a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante.
L’azienda non ha l’obbligo di trasformare a TI questi contratti al termine, dovrà solo pagare all’Inps un contributo; e scende dal 50 al 30% la quota di lavoratori da stabilizzare se l’azienda vuole assumere nuovi apprendisti. Aumenta poi il numero di apprendisti che un’azienda può assumere rispetto ai lavoratori qualificati: mentre oggi il rapporto è 1/1, con la riforma il rapporto diventa tre apprendisti ogni 2 qualificati – quindi alla fine in un’azienda vi saranno più apprendisti che lavoratori a TI.
(continua)

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