Da Delegati lavoratori indipendenti Pisa. Inviato all'Assemblea proletaria anticapitalista
gennaio 04, 2023
Sul finire dell'anno 2022 i dati della inflazione erano implacabili viaggiando sopra l'11 per cento con piccole oscillazioni tra Ottobre e Novembre. Crescendo l'inflazione si sa che il potere di acquisto di salari e pensioni diminuisce. La spinta inflazionistica è una delle conseguenze della guerra in corso in Ucraina e di tutte le politiche economiche, sanzioni e nuove rotte energetiche incluse, determinatesi in questi ultimi mesi.
Il contenimento della inflazione con le politiche di austerità non ha tuttavia preservato i salari dalla
perdita di potere di acquisto tanto che sono i salari italiani ad essere cresciuti meno in tutta l'area Ue.Da qui la necessità di studiare e comprendere quanto accaduto negli ultimi trenta anni e non limitarsi solo alla inflazione ma tener conto dell'andamento di salari e pensioni .
Infatti riducendo l'inflazione non è automatica la tenuta del potere di acquisto specie se precarizzi i rapporti di lavoro o costruisci meccanismi che prevedano aumenti contrattuali al di sotto del costo della vita. I due aspetti, inflazione e dinamiche salariali, vanno letti insieme e soprattutto in una ottica diversa da quella liberista senza dimenticare il ruolo dello Stato e i suoi interventi che possono far pesare la bilancia o a favore dei padroni e del capitale (come avviene ormai da decenni) o scegliere , in determinati periodi storici, invece una sorta di bilanciamento degli interessi opposti (capitale e lavoro)
Nel 1980 il picco della inflazione pari al 21,2 per cento,, per il 2023 la previsione sembra sia attorno all'aumento dell' 8 per cento.
Sgomberiamo il campo da un equivoco: se mantieni bassa l'inflazione salvaguardi solo in parte il potere di acquisto, devi intervenire con altre misure come l'adeguamento dei salari e delle pensioni al costo della vita, regole in materia di contratti e lavoro non alla insegna della precarietà. Ma negli ultimi anni è accaduto l'esatto contrario e le misure del Governo Meloni guardano alle imprese e solo in misura marginale a famiglie e lavoratori.
L’Inps parla di aumento della spesa previdenziale pari a 24 miliardi di euro per il 2023 e su questa spesa grava anche l'aumento della inflazione. Ma attenzione: l'età media della popolazione italiana è sempre più alta e il numero dei pensionati in aumento per sopraggiunti limiti di età, se si vuole ridurre la spesa previdenziale complessiva dovranno intervenire per abbassare in prospettiva l'assegno pensionistico visto che innalzare ulteriormente l'età pensionabile (l'aspettativa di vita sta calando da almeno 3 anni) non sembrerebbe possibile.
Prima della Legge di Bilancio il Def parlava di aumento della spesa pensionistica di circa 23 miliardi di euro, da qui scaturiscono i recenti interventi del Governo. Cosa è accaduto? La ennesima cortina di fumo attorno all'aumento delle pensioni minime riducendo l'adeguamento al costo della vita per tutte le altre.
La spesa previdenziale è destinata a diminuire con il calcolo degli anni attraverso il sistema contributivo, ora si tratta di rafforzarlo evitando di calcolare anche pochi anni di anzianità con il vecchio retributivo che poi sarebbe vantaggioso per i lavoratori ma dispendioso per le casse statali.
Stanno già parlando di insostenibile sistema previdenziale per ridurre l'importo della spesa pensionistica, cancellare in toto il sistema retributivo (anche se circoscritto ormai a pochi anni e per una platea assai circoscritta), sganciare le pensioni da recuperi effettivi di potere di acquisto, favorire la previdenza integrativa, ritardare l'uscita dal mondo del lavoro.
In questi scenari ogni governo si muove in perfetta continuità con l'Esecutivo precedente e Meloni non fa eccezioni
E sotto attacco potremmo ritrovare anche l’articolo 38 della Costituzione che in teoria obbligherebbe lo Stato a garantire ai pensionati strumenti e assegni adeguati alle esigenze di vita. Ma anche questo Principio è stato disatteso, basta guardare gli assegni previdenziali da fame di quanti hanno vuoti contributivi per lunghi periodi di disoccupazione o di lavori saltuari e precari.
L'obiettivo praticabile per ridurre la spesa previdenziale complessiva potrebbe resta proprio la revisione del meccanismo che adegua l'assegno in base all'aumento dei prezzi al consumo delle famiglie, il cosiddetto indice Foi ( Istat.it FOI) ed è quanto la Meloni ha già iniziato a fare.
Il tutto in continuità con il passato se ricordiamo che nella Finanziaria del 1998 veniva escluso dall'adeguamento all’indice Istat per le pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo salvo poi, in anni recenti abbassare la soglia dei mancati adeguamenti per risparmiare altri soldi.
Qui si aprono scenari di vario genere ad esempio se sia Costituzionale un intervento per arrestare l'adeguamento delle pensioni al costo della vita ma i vari pronunciamenti hanno solo limitato gli interventi facendo valere il principio della riduzione di spesa. Ora per le pensioni elevate il mancato adeguamento dell'assegno al costo della vita non dovrebbe essere un problema ma allora perchè non imporre ai redditi alti una sorta di Patrimoniale? Non sarebbe più equo e corretto lasciare inalterato il meccanismo di adeguamento delle pensioni e dei salari al costo della vita, anzi costruendo un rapporto più stretto ma al contempo tassare i redditi elevati in maniera proporzionale e con il ricorso alla Patrimoniale?
Ma qui entra in gioco la tenuta della inflazione perchè evitandone la crescita non si interviene sul potere di acquisto reale di pensioni e salari o lo si fa in un'ottica errata come quella di pensare che la previdenza integrativa sia una sorta di salvezza per le pensioni di domani.
Per concludere non può esistere solo una politica di tenuta della inflazione, alla lunga l'austerità risulta insostenibile specie nei periodi di crisi del sistema economico.
Al contempo una Legge Patrimoniale scontenterebbe il padronato e farebbe perdere consensi alle destre
E allora la soluzione potrebbe essere una sorta di temporanea sospensione dell’adeguamento per i redditi più elevati, poi si tratterà di trovare una intesa con le parti sociali per stabilire il tetto di questi redditi.
Ma così facendo perdiamo di vista la realtà fatta di bassi salari, assegni previdenziali inferiori a 800 euro mensili (sono quasi un quarto del totale) e l'impoverimento di interi settori della società senza dimenticare le conseguenze derivanti dalla riduzione prima, e cancellazione poi, del reddito di cittadinanza.
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