Luigi Bonaparte |
Il ritratto che fa Marx di questa fase del giugno 1849, dopo che si sono risolti i problemi della stabilità del potere borghese nella forma usuale della repressione post rivoluzionaria e controrivoluzionaria delle ribellioni del popolo – repressioni che hanno costretto alla “ragione” la democrazia piccolo borghese – è esemplare come affresco di queste contraddizioni, in verità usuali in tutta la vita del dominio della classe borghese.
Nella classe dell'epoca vi sono
contrasti nelle frazioni monarchiche, pur dominando esse ormai il
governo, in cui la figura di Bonaparte è essenziale per contenerli e
per evitare che le contraddizioni in seno alle frazioni monarchiche
possano esplodere e finire per mettere in discussione l'assetto che
il potere dominante ha raggiunto. Chiaramente questo ormai avviene in
una fase in cui il proletariato e
le sue organizzazioni rivoluzionarie non possono esprimersi nella loro istanza e nella loro rivolta e vivono il periodo in cui il proletariato si riorganizza.
le sue organizzazioni rivoluzionarie non possono esprimersi nella loro istanza e nella loro rivolta e vivono il periodo in cui il proletariato si riorganizza.
La riorganizzazione della forza
rivoluzionaria del proletariato passa sempre attraverso forme
organizzative simili a società segrete che sono la forma possibile e
necessaria, come dice Marx, “a misura che i clubs pubblici
diventavano impossibili”. Le società segrete sono comunque
cosa diversa dalle associazioni operaie dell'industria, che oggi
chiameremmo “sindacati”, che vengono tollerate, e, come dice
Marx, sono altrettanto importanti, “politicamente divennero
altrettanti mezzi di unione del proletariato”.
Si entra, quindi, in una fase in cui
avendo la classe dominante tagliato la testa ai partiti “semi
rivoluzionari”, questa testa doveva comunque ricostruirsi e
rinascere all'interno di quelle forme possibili e necessarie di
riorganizzazione, descritte prima. E così, dice Marx, “le masse
superstiti seppero ritrovare la loro propria testa”.
Si tratta di pagine illuminante anche
per lo stato delle cose dell'odierna fase della lotta di classe.
Tornando al dominio della borghesia e
delle sue contraddizioni interne. Esse si vanno coagulando intorno a
tre problemi essenziali che pur riferite alla Francia descritta da
Marx sono alla fin fine quelli che si ritrovano sempre durante il
dominio borghese in analoghi periodi. E possiamo dire anche nella
situazione politica attuale, in generale.
Una è la revisione della
Costituzione. Necessaria, perchè la Costituzione appare, ed è
nella sua lettera, più avanti – diremmo noi, più “democratica”
- dell'assetto che il potere borghese e le sue istituzioni hanno
realizzato. Ma, chiaramente, sempre la revisione della Costituzione
richiede che il parlamento, in questo caso l'Assemblea nazionale,
decida di sciogliersi e di immolarsi alla revisione della
Costituzione, in nome delle “esigenze del paese” come si suole
dire.
In qualche misura, l'Assemblea
nazionale, cioè il parlamento, da un lato, in quanto parte dei nuovi
assetti del potere, lo voleva ma dall'altra domandava che non fosse
essa stessa a deciderlo e a realizzarlo, ma che provenisse dalle
istanze dal basso, che nella Francia dell'epoca erano i consigli
dipartimentali. Quando questa spinta dal basso però non c'è o non
si è in grado di imporla, tanto vale lasciare le cose some stanno e
fondarsi sulla Costituzione di fatto che ormai è altra cosa dalla
Costituzione formale.
L'altra questione sono le spese.
Innanzitutto le spese militari per il ruolo internazionale svolto
dalla Francia dell'epoca e in particolare dal suo concentrato, le
spese per la spedizione romana con la quale si salvava, e di fatto si
restaurava, il potere del papa.
Luigi Bonaparte cerca di dare una veste
“democratica” alla necessità di queste spese fondandole sulla
richiesta al governo papale di dare garanzie costituzionali –
naturalmente si tratta di una lettera di pura immagine, visto che
l'intervento militare francese era servito proprio a soffocare le
istanze costituzionali e restaurare il potere papale che, una volta
restaurato, non poteva che guardarsi bene dal dare ciò che aveva
soppresso.
Come risolve l'Assemblea nazionale
questa contraddizione? Con l'orgia di parole vuote con cui si è
soliti seppellire queste contraddizioni – basti pensare a ciò che
avviene ad esempio nel parlamento italiano, ogni qualvolta a fronte
di missioni, interventi imperialisti si dibatte ad alta voce ma in
maniera assolutamente sterile dell'art. 11 della Costituzione
italiana odierna che “ripudia la guerra come mezzo di risoluzione
delle controversie”.
Marx descrive con assoluta e feroce
ironia come questo dibattito si svolge nell'Assemblea nazionale sulla
lettera del presidente. Il parlamento si limita a tradurla in
francese, trovando il solo rappresentante dei democratici, l'illustre
Victor Hugo, a chiedere che l'Assemblea nazionale appoggi questa
lettera, facendo la figura di quel democratico che appare in queste
occasioni “più realista del re”, per venire seppellito con
“Allons donc!” “Ma va!”.
Un terzo problema in cui si
manifesta la contraddizione è un problema niente affatto banale nei
periodi di restaurazione post rivoluzionaria o contro rivoluzionaria,
vale a dire il ritorno delle famiglie reali espulse. E qui si
ha l'ardire di mettere in una stessa mozione, dice Marx “il
richiamo delle famiglie reali espulse e l'amnistia degli insorti di
giugno”. Una mozione, per così dire, assurda, dato che per
opposte ragioni la maggioranza è contraria all'una e all'altra. Marx
scrive assai ironicamente “empio accostamento di sacro e di
profano, delle genealogie reali e della genia proletaria, delle
stelle fisse della società e dei suoi fuochi fauti”.
Insomma la maggioranza dell'Assemblea
nazionale non vuole né l'uno né l'altro, perchè il ritorno delle
famiglie reali espulse risulterebbe essere un degrado borghese dei
pretendenti al trono, fatto da un'Assemblea nazionale che ha una
forte e predominante presenza delle frazioni monarchiche le quali
evidentemente continuano ad aspirare che alla fine del gioco venga
pienamente restaurata la monarchia come sovranità; mentre nello
stesso tempo, chiaramente, questa amnistia degli insorti di giugno
non gli sta bene, perchè è meglio che restino nelle prigioni in
quanto percepiti comunque ancora come un “pericolo”.
Il precipitare interno di queste
contraddizioni ora esaminate produce alla fine che il governo,
espressione dell'equilibrio tra il potere del presidente e il potere
dell'Assemblea nazionale si rompe e da spazio a quello che comunque è
il potere più forte e legittimato, come abbiamo descritto
precedentemente, dal voto popolare. La nascita, quindi, del governo
del presidente risulta essere quasi contro l'Assemblea nazionale; un
governo peraltro che serve a registrare un ulteriore passaggio della
crisi e del riassetto del potere borghese. Il presidente eletto come
una sorta di figura “neutrale”, esercitando il suo potere, non si
limita ad essere il punto di unità delle varie frazioni borghesi ma
raccoglie egli stesso una coalizione di interessi, e quindi finisce
per diventare un monarca senza monarchia.
Cioè la repubblica borghese dominata
pur sempre dai monarchici ha finito per partorire un presidente, come
si dirà in seguito nel linguaggio politico, “bonapartista” come
unico e sostanziale rappresentante del partito dell'ordine.
Con linguaggio articolato Marx descrive
questo passaggio. Non lo riprendiamo ma invitiamo a leggerlo dalle
sue stesse pagine. Alla fine cita Thiers quando esclamava “siamo
noi monarchici i veri sostegni della repubblica costituzionale”.
Ma, finiti i giochi della politica e
dei contrasti istituzionali, quali sono gli interessi economici che
si sono alla fine scontrati e cosa hanno prodotto?
E qui come in un gioco dell'oca in cui
si torna alla casella iniziale, si arriva ad una nuova ratifica del
potere dell'aristocrazia finanziaria.
La repubblica borghese, dice Marx,
finisce per restaurare gli interessi che la monarchia rappresentava e
che collocava nell'universo della restaurazione monarchica ma che
invece la repubblica borghese realizza. Scrive Marx “essa (la
repubblica borghese – ndr) tirò giù sulla terra ciò che
quelli avevano collocato nei cieli”.
Nella Francia di allora tutto ciò si
rappresenta nel fatto che nel governo del presidente “il suo
ministro delle finanze si chiamava Fould... Fould ministro delle
finanze voleva dire l'abbandono ufficiale della ricchezza nazionale
francese alla Borsa, voleva dire gestione del patrimonio dello Stato
per mezzo della Borsa e nell'interesse della Borsa”.
Ma come è stato possibile che tutte le
altre frazioni della borghesia abbiano finito per consolidare e
restaurare il potere dell'aristocrazia finanziaria? Innanzitutto vi è
stata la convergenza della grande proprietà fondiaria con l'alta
finanza che, dice Marx, è un fatto normale; ma l'altro anello
decisivo della questione è che la Francia di allora, ma diremmo noi
quasi sempre, anche ai giorni nostri, si trovava in una condizione in
cui “l'entità della produzione nazionale è enormemente
inferiore all'entità del debito nazionale... dove la rendita dello
Stato costituisce l'oggetto più cospicuo della speculazione e la
Borsa è il mercato principale per l'impiego del capitale che si
voglia valorizzare in modo improduttivo”.
Continuando con Marx “Quale è la
causa del fatto che il patrimonio dello Stato cade nelle mani
dell'alta finanza? E' l'indebitamento continuamente crescente dello
Stato. E quale è la causa dell'indebitamento dello Stato? E' la
permanente eccedenza delle sue spese sulle entrate; sproporzione che
è nello stesso tempo la causa e l'effetto del sistema di prestiti di
Stato. Per sfuggire a questo indebitamente lo Stato deve o limitare
le proprie spese, cioè semplificare l'organismo governativo,
ridurlo, governare il meno possibile, impiegare meno personale
possibile...”. Ma, allora come adesso, Marx ci spiega “questa
via era impossibile per il partito dell'ordine i cui mezzi di
repressione, il cui intervento ufficiale a nome dello Stato, la cui
onnipresenza a mezzo di organi dello Stato dovevano necessariamente
aumentare, a misura che da sempre più versanti venivano minacciati
il suo dominio e le condizioni di esistenza della sua classe. Non si
può diminuire la gendarmeria nella misura in cui aumentano gli
attacchi alle persone e alla proprietà”.
Quindi, è la lotta di classe e le sue
potenzialità rivoluzionarie, dettate dall'insorgenza proletaria, il
vincolo assoluto per la classe dominante all'effettiva diminuzione
delle spese dello Stato che possa ridurre l'indebitamento.
Oppure, riprende Marx “lo Stato
deve cercare di evitare i debiti e arrivare ad un momentaneo ma
transitorio equilibrio del bilancio facendo pesare imposte
straordinarie sulle spalle delle classi più ricche”. Ma come
potrebbe, ci insegna Marx, il partito dell'ordine borghese
sacrificare la ricchezza sull'altare della patria?
“Senza un rivolgimento totale
dello Stato francese - dice Marx – dunque non era possibile
nessun rivolgimento del bilancio dello Stato francese”.
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