E' importante che giuristi democratici abbiano risposto alla "chiamata" dei lavoratori e lavoratrici della GKN e si siano posti concretamente al lavoro per dare un contributo giuridico nella lotta in corso contro i licenziamenti e la delocalizzazione dell'azienda.
Questa iniziativa, il modo come si è sviluppata ricorda in parte quando avveniva "normalmente" nell'autunno caldo - fine anni '60, inizio anni '70 - in cui la battaglia degli operai chiamava tutti, giuristi, medici, tecnici, giornalisti, intellettuali, ecc. a schierarsi, a mostrare non a parole ma nei fatti da che parte stare e a dare il loro necessario apporto.
Un apporto che viveva e rispondeva al livello della lotta di classe in quel periodo e allo scontro strategico proletariato e capitale e suo sistema politico, statale, giuridico, e che, pertanto, andava necessariamente oltre e contro le gabbie delle normative esistenti, producendo nella lotta effettivamente normative nuove, "rivoluzionarie" sui vari campi: medicina, giurisprudenza, ecc (che venivano imposte solo con la mobilitazione operaia, e popolare).
Questo spirito e apporto, chiaramente, non si può riprodurre senza un "nuovo autunno caldo", ma a questo è giusto puntare.
In questo senso, ci sembra che la proposta di normativa dei giuristi democratici voli ancora "basso", all'interno della possibilità giuridiche esistenti, senza metterle in discussione; e in questo senso, può sembrare più concreta e attuabile ma in realtà rischia di essere illusoria nella sua attuazione, ma soprattutto non può riuscire a frenare, impedire il fenomeno sempre più vasto di delocalizzazione (dove il costo del lavoro è più basso e il capitale può realizzare più profitti) e conseguenti chiusure e licenziamenti.
Nella proposta che riportiamo di seguito non viene posto la questione più importante:
la requisizione da parte dello Stato di macchinari, strutture, locali verso un'impresa che - come scrivono i giuristi democratici - "abbia fruito di interventi pubblici finalizzati alla ristrutturazione o riorganizzazione dell’impresa o al mantenimento dei livelli occupazionali"; imprese che sono il 99%, tanto più negli ultimi anni e in questi due anni di pandemia.
Nella proposta solo al punto 7) vi si accenna, ma si parla solo di "diritto di prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori"; non di requisizione.
Mentre gli altri punti si pongono questioni - informazione preventiva, presentazione di un piano, controlli - che da un lato potrebbero già essere fatti con le normative già esistenti; dall'altro vi è più di una esperienza, anche di questi recenti anni, in cui nè la presentazione di un piano, nè il controllo ha garantito neanche una parziale attuazione di quel piano (es. emblematico l'Ilva, in cui non solo il piano presentato nel 2018 che prevedeva il rientro di 2600 operai lasciati fuori dalla nuova proprietà non è stato attuato, ma lo Stato nel 2020 è sì intervenuto ma per entrare nella società e continuare esso a non rispettare neanche quel piano e, anzi, ad autorizzare altri esuberi).
Nella soluzioni alternative - vedi punto 4 - non si fa cenno neanche ad un estensione della normativa sulla "clausola sociale" per il mantenimento di tutti i posti di lavoro, che c'è in alcuni contratti.
Quanto diciamo vuole essere un contributo propositivo, un appello a sostenere con la propria professionalità la lotta di classe degli operai, ma all'interno di una critica agente allo stato di cose esistenti.
MC
FERMIAMO LE DELOCALIZZAZIONI (stralci)
"...Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti, non costituisce libero esercizio dell’iniziativa economica privata, ma un atto in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione. Ciò
è tanto meno accettabile se avviene da parte di un’impresa che abbia fruito di interventi pubblici finalizzati alla ristrutturazione o riorganizzazione dell’impresa o al mantenimento dei livelli occupazionali.Lo Stato, in adempimento al suo obbligo di garantire l’uguaglianza sostanziale dei lavoratori e delle lavoratrici e proteggerne la dignità, ha il mandato costituzionale di intervenire per arginare tentativi di abuso della libertà economica privata (art. 41, Cost.)...
Per questo motivo è necessaria una normativa che contrasti lo smantellamento del tessuto produttivo, assicuri la continuità occupazionale e sanzioni compiutamente i comportamenti illeciti delle imprese, in particolare di quelle che hanno fruito di agevolazioni economiche pubbliche.
Tale normativa deve essere efficace e non limitarsi ad una mera dichiarazione di intenti. Per questo motivo riteniamo insufficienti e non condivisibili le bozze di decreto governativo che sono state rese pubbliche: esse non contrastano con efficacia i fenomeni di delocalizzazione, sono prive di apparato sanzionatorio, non garantiscono i posti di lavoro e la continuità produttiva di aziende sane, non coinvolgono i lavoratori e le lavoratrici e le loro rappresentanze sindacali.
Riteniamo che una norma che sia finalizzata a contrastare lo smantellamento del tessuto produttivo e a garantire il mantenimento dei livelli occupazionali non possa prescindere dai seguenti, irrinunciabili, principi.
1. A fronte di condizioni oggettive e controllabili l’autorità pubblica deve essere legittimata a non autorizzare l’avvio della procedura di licenziamento collettivo da parte delle imprese.
2. L’impresa che intenda chiudere un sito produttivo deve informare preventivamente l’autorità pubblica e le rappresentanze dei lavoratori presenti in azienda e nelle eventuali aziende dell’indotto, nonché le rispettive organizzazioni sindacali e quelle più rappresentative di settore.
3. L’informazione deve permettere un controllo sulla reale situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dell’azienda, al fine di valutare la possibilità di una soluzione alternativa alla chiusura.
4. La soluzione alternativa viene definita in un Piano che garantisca la continuità dell’attività produttiva e dell’occupazione di tutti i lavoratori coinvolti presso quell’azienda, compresi i lavoratori eventualmente occupati nell’indotto e nelle attività esternalizzate.
5. Il Piano viene approvato dall’autorità pubblica, con il parere positivo vincolante della maggioranza dei lavoratori coinvolti, espressa attraverso le proprie rappresentanze. L’autorità pubblica garantisce e controlla il rispetto del Piano da parte dell’impresa.
6. Nessuna procedura di licenziamento può essere avviata prima dell’attuazione del Piano.
7. L’eventuale cessione dell’azienda deve prevedere un diritto di prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori impiegati presso l’azienda anche con il supporto economico, incentivi ed agevolazioni da parte dello Stato e delle istituzioni locali. In tutte le ipotesi di cessione deve essere garantita la continuità produttiva dell’azienda, la piena occupazione di lavoratrici e lavoratori e il mantenimento dei trattamenti economico-normativi. Nelle ipotesi in cui le cessioni non siano a favore dello Stato o della cooperativa deve essere previsto un controllo pubblico sulla solvibilità dei cessionari.
8. Il mancato rispetto da parte dell’azienda delle procedure sopra descritte comporta l’illegittimità dei licenziamenti ed integra un’ipotesi di condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 l. 300/1970..."
Approvato dall'assemblea permanente delle lavoratrici e dei lavoratori Gkn
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