(dalla stampa)
I ghetti dei braccianti immigratiL’emarginazione degli schiavi dell’agricoltura italiana è prima di tutto fisica. I braccianti sfruttati nelle campagne vivono lontani dagli occhi e dal cuore di chi consuma i frutti del loro lavoro: il Paese è pieno di ghetti...
A Rignano Garganica, a dieci chilometri da Foggia. Oltre 1.500 migranti ammassati in una baraccopoli gigantesca; una città fuori dalla città... Il grande ghetto di Rignano Garganico è la città dell’oro rosso, prima in Italia per produzione di pomodoro: in questi campi ogni anno se ne raccolgono circa 800 mila tonnellate.
Chi ci vive lo chiama le grand ghetto. Sono tutti braccianti africani, da Mali, Gambia, Senegal e Burkina Faso. Il ghetto sorge su tre diverse proprietà terriere: per “costruirci” sopra le baracche si paga un affitto stagionale. Non è comparso all’improvviso: è qui da oltre 15 anni e ogni estate diventa più grande. Il confine è segnato da una discarica a cielo aperto, si supera una vecchia masseria cadente occupata dai caporali, poi iniziano le file di baracche. Decine e decine di case di cartone, coperte da teli di plastica. Il vento alza la polvere e la distribuisce ovunque. I bagni sono buche nel terreno, separate a in un metro quadro da pareti improvvisate.
A Nardò, Stornarella, Borgo Mezzanone, Ortanova, Cerignola (dove il “ghetto Ghana” d’estate si riempie di quasi mille braccianti).
Anche a Brindisi c’è un ghetto “nero”. Era un macello, ora è un dormitorio di proprietà del Comune, affidato a una cooperativa. Ci potrebbero stare in 80, sono circa 200. Dormono ammassati ovunque. Per terra, su stuoie improvvisate di cartone o di stracci. Sui materassi laceri, gettati in ogni pertugio nei cubicoli, separati da file di panni e vestiti. Le pareti e il pavimento erano bianche, sono annerite, lerce. I bagni alla turca non sono più di una dozzina, le docce ancora meno. Il percorso che porta alle latrine è segnalato da una lunga scia gialla sulle piastrelle. Duecento persone compresse in una struttura abbandonata sulla strada provinciale per San Vito, non lontana dal centro di Brindisi.
Ma il caporalato, lo sfruttamento e l’emarginazione non sono esclusiva pugliese.
A ROSARNO, in Calabria, l’esercito dei braccianti è già in movimento. La stagione degli agrumi inizia a settembre ed entra nel vivo tra ottobre e novembre, ma la tendopoli cominciano già a riempirsi. Quando si entrerà nel vivo della raccolta, i braccianti a Rosarno saranno oltre 2.500. Pronti a dare il sudore e a volte ilsangue per un euro a cassetta di frutta... Due anni fa uno dei migranti, Dominique, è morto di freddo mentre dormiva in macchina.
Anche nel casertano a Castel Volturno, come in Calabria, allo sfruttamento dei disperati si sono aggiunti fatti di sangue. Il 18 settembre 2008 sei braccianti africani furono giustiziati da un commando di camorristi. Nei giorni successivi scoppiò la guerriglia.
A sud di Salerno c’è la Piana del Sele, famosa per lo storico mega ghetto di San Nicola Varco, che nei periodi di picco stagionale ospitava oltre mille migranti. La baraccopoli è stata smantellata nel 2009, ma l’“agricoltura d’eccellenza”salernitana continua ad essere basata, neanche a dirlo, su caporalato e sfruttamento.
BOREANO e gli altri paesi del Vulture, in Basilicata, sono terra di pomodori. Tra agosto e ottobre i braccianti africani che cercano un riparo sono oltre mille. Vengono soprattutto dal Burkina Faso. Le condizioni sono disastrose, nei vecchi casolari occupati manca tutto: acqua, elettricità, servizi igienici.
Catania invece fa storia a sé: il lager dei disperati non è lontano dal cuore della città. Al contrario,è in un’ex raffineria, una fabbrica abbandonata di fronte a una scuola elementare. Una cinquantina di migranti africani, principalmente braccianti, vivono su un tappeto di rifiuti ed escrementi.
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