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IL GOVERNO AL SERVIZIO SEMPRE E COMUNQUE DEL CAPITALE
IL GOVERNO AL SERVIZIO SEMPRE E COMUNQUE DEL CAPITALE
Renzi proseguendo l'opera
dei governi precedenti si è schierato apertamente al servizio dei
padroni assassini, con una serie di decreti tutti sotto il segno di
contrastare e vanificare l'inchiesta della magistratura e il
processo, usando la gravità della situazione e le preoccupazioni
esistenti nella fila operaie per il lavoro, ma rispondendo in realtà
solo ai diktat dei padroni dell'acciaio e della Confindustria.
I decreti annunciavano
provvedimenti per ambientalizzare la fabbrica ma contengono tutti
all'interno la scappatoia per evitarli. Questo ha portato al fatto
che finora si è fatto poco o niente mentre la situazione in fabbrica
e città è obiettivamente peggiorata.
Su questo esiste un'ampia denuncia articolata dei decreti a cui rimandiamo.
Su questo esiste un'ampia denuncia articolata dei decreti a cui rimandiamo.
Ma è sugli ultimi due
decreti che va posta l'attenzione principale; dal punto di vista del
contrasto al processo nel 7° decreto si esenta di fatto i commissari
di Renzi da responsabilità penali relative a quello che può
succedere in materia di sicurezza e salute – un decreto subito
messo alla prova dei fatti con nuovi morti in fabbrica e nuovi gravi
incidenti.
L'ultimo decreto invece è
quasi un decreto dello scontro corpo a corpo che apparentemente è
nei confronti dell'azione della magistratura ma che in realtà vuole
mettere a tacere qualsiasi voce critica in fabbrica e in città che
voglia dire: ora basta! E pone in termini seri, e non demagogici da
titoli sui giornali, il problema che questa fabbrica, questi
impianti, questa organizzazione del lavoro, questo sistema di comando
non può avere libero corso e licenzia di uccidere. Non tanto perchè
la fabbrica uccide ma perchè il capitale uccide e la condizione
attuale della fabbrica è espressione di questa logica, a
dimostrazione che l'industria può essere nelle mani dello Stato
(perchè così è attualmente per l'Ilva) e fare le stesse cose, se
non peggio, dei padroni assassini.
Può essere gestita da
commissari di Stato e di governo e rispondere agli esclusivi
interessi di Confindustria e dei padroni dell'acciaio.
Può essere una fabbrica
sostanzialmente nazionalizzata e condotta e gestita in funzione di
svenderla ai padroni indiani, che altrimenti non se la prenderebbero - con
buona pace della nazionalizzazione richiesta da Usb e troskisti.
Nazionalizzazione senza dittatura del proletariato è fabbrica del
capitale gestita dai funzionari dello Stato borghese.
Tornando a noi. Il caso ha
voluto (per modo di dire) che la conclusione dell'udienza preliminare
sia coincisa con lo scontro sulla continuità produttiva dell'Afo2 stabilita dall'8° decreto Renzi.
Ciò ha permesso a tutti
di 'parlare a suocera perchè nuora intenda'. Così sono entrati in
campo padroni, l'intero schieramento dei padroni e ancor più
giuristi, politici, economisti, ecc. che hanno sciorinato tutto
l'ampio campionario del perchè non si può fermare una fabbrica pena
la rovina della società e chi si azzarda viola i 'sacri principi'
dell'ordine capitalista.
I GIORNALISTI AL SERVIZIO E MEGAFONO DELLA CONFINDUSTRIA
Il Corriere della Sera con
Dario De Vico ha subito gridato ad un conflitto che è durato troppo
e che deve finire. Deve finire naturalmente nel senso che devono
finire i processi e la messa sotto accusa. Perchè questo? Perchè
gli industriali “nel riposizionamento qualitativo post crisi
dell'impresa hanno ora intrinsicamente una maggiore attenzione all'ambiente e al
capitale umano”. Insomma a prescindere.
Quali dato De Vico, che
pure dovrebbe essere persona che di dati vive, apporta a conferma di
questa affermazione? Quale
fabbrica grande, media o piccola, nel nostro paese attualmente è
espressione di una maggior attenzione all'ambiente e al capitale
umano? Quando nelle fabbriche grandi, medie, piccole, non solo
siderurgiche, avviene esattamente il contrario.
In realtà De Vico fa da
megafono al ben più consistente comunicato della Confindustria che
sostanzialmente dice “basta” e mette in campo per così dire
tutta la forza dei padroni, annunciando con aria di sfida a settembre
terranno il Consiglio generale della Confindustria a Taranto.
Il giornalista Paolo
Bricco su 'Sole 24 Ore' è più cauto e chiede che si separi la
vicenda processuale dalla questione della fabbrica in queste ore e
che chi ha sbagliato paghi, scaricando di fatto la famiglia Riva; e
che invece ci si concentri sulla vicenda industriale che rischia di
far collassare l'Ilva.
Ma che vuol dire questo?
Che i colpevoli del processo possono essere condannati e la
continuità delle morti operaie e da inquinamento in corso deve
andare avanti? Nonostante si tratti obiettivamente degli stessi
reati.
Ma Bricco, esorcizzato il
passato, ripropone gli stessi argomenti usati quando il processo è
partito: “E' in pericolo il destino industriale e del paese”. Ed
è più preciso, cosa naturale dato che si parla del giornale della
Confindustria, sulla linea e gli obiettivi di quest'ultima rilanciando il grande appuntamento di settembre, presentato così:
“Una scelta coerente con
la preoccupazione che ogni segmento avveduto e non ideologico della
classe dirigente italiana – dal sindacato al ceto politico
nazionale fino ad una parte della stessa magistratura – sta
sviluppando sempre di più, di fronte alla prospettiva del disastro
economico e sociale successivo alla chiusura dell'impianto, un
disastro per Taranto... un disastro per il paese che perderebbe uno
degli architravi del suo sistema industriale”.
Quindi è una chiamata
alle armi quella della Confindustria. Si vuole fare del 24 settembre
una sorta di 'Stati generali', in cui intorno alla Confindustria si
raccolgano i sindacati, il ceto politico borghese nazionale e,
importante, una parte della stessa Magistratura. Un “Comitato di
salute pubblica” a meno di un mese dall'inizio del nuovo processo.
Come dire, i padroni la
guerra la fanno e si preparano a farla sempre di più.
Il giornalista Federico
Pirro, da sempre vicino all'impresa, e l'avvocato dell'impresa
Pellegrino sono particolarmente indignati per il ricorso alla Corte
Costituzionale operato dalla Procura e usano lo stesso argomento: “il
decreto è stato firmato dal presidente Mattarella”. E Pirro
aggiunge: “il decreto legge, come prevede la nostra Costituzione è
stato firmato dal capo dello Stato dopo che i
competenti uffici del quirinale ne hanno verificato la rispondenza ai
requisiti di costituzionalità. Inoltre è facilmente ipotizzabile
che Mattarella, già docente di diritto costituzionale presso
l'Università di Palermo e componente della stessa Corte
Costituzionale fino al giorno della sue elezione a capo dello Stato, abbia letto con particolare attenzione e competenza personale il
testo. Un ultimo ricordo. Sergio Mattarella era già giudice della
Corte Costituzionale che riaffermò la piena costituzionalità della
legge 231, la prima approvata dal parlamento dopo il sequestro senza
facoltà d'uso dell'area a caldo dell'Ilva sulla quale la Procura
tarantina aveva sollevato dubbi di costituzionalità”.
Con il discorso di Pirro,
la Corte costituzionale può andare benissimo in soffitta. Perchè
un decreto, una legge se firmata dal presidente della Repubblica
sarebbe già di per sé al riparo da dubbi di costituzionalità. Per
di più ora, essendoci Mattarella, il discorso sarebbe chiuso.
Quello che diciamo noi è
che purtroppo essendoci Mattarella temiamo davvero che il discorso
sia chiuso.
GIURISTI AL SERVIZIO DEI PADRONI
Gli interlocutori della
Confindustria, giuristi, sono però già scesi in campo schierandosi
in maniera quasi volgare.
Cesare Mirabelli,
presidente emerito della Corte Costituzionale, come si direbbe
“uscendo dal riserbo”, scende apertamente in campo dalle pagine
de Il Messaggero, con uno stile ipocrita. L'obiettivo è apertamente
i Magistrati di Taranto.
Fingendo di volere
equilibrio in uno scontro di potere tra governo e magistrati che “non
fa bene a nessuno”, parte diretto con consigli, “l'attività di
un magistrato ha bisogno di equilibrio quando il suo lavoro ha un
impatto molto forte sull'opinione pubblica”.
Tutto il tono
dell'intervista dimostra che quella che lui chiama “opinione
pubblica” è poi l'opinione dei padroni, governo e di tutto il
sistema di consenso ad essi.
Alla domanda se il futuro
dell'Ilva è sempre più nelle mani della magistratura, Mirabelli
risponde: “La decisione del rinvio a giudizio mi sembra inevitabile
rispetto a 'vecchi episodi' e responsabilità che sono state
individuate... Il punto è come assicurare la continuità della
produzione di un'industria essenziale per il paese, nel rispetto
della tutela primaria...”.
E' esattamente la tesi
della Confindustria. Va bene perseguire reati vecchi ma ora la
priorità della magistratura dovrebbe essere l'altra cosa.
Mirabelli esprime anche il
suo fastidio perchè l'ultimo decreto sia finito davanti alla Corte
costituzionale impugnato dalla Procura di Taranto “uno scontro di
potere che non fa bene a nessuno”. Ma Mirabelli, tu sei 'presidente
emerito' della Corte Costituzionale... Hai già quindi emesso la
sentenza della Corte Costituzionale? Altrochè. Infatti alla domanda
se “i sequestri degli impianti che mettono a rischio migliaia di
posti di lavoro sono indispensabili”, Mirabelli risponde che la
Corte Costituzionale ha già risposto “Ci vuole un ragionevole
bilanciamento degli interessi tra diritto alla salute e quello al
lavoro... Ciò significa non eccedere nell'uso dello strumento del
sequestro preventivo degli impianti”. Alla faccia del
bilanciamento!
Mirabelli, ma di quale
“sequestro preventivo” parli? Il sequestro è successivo alla
morte di un operaio per carenze riconosciute dell'impianto e
chiaramente pericolose per tutti finchè non vengono eliminate.
E che non ci siano
equivoci, il giornalista dice - dando ragione a Mirabelli - “il
contrario di quello che stiamo vedendo a Taranto”.
Ma Mirabelli non si ferma
qui e fa l'esempio della custodia cautelare di cui bisogna fare un
uso sobrio. Siamo d'accordo sulla custodia cautelare ma l'altoforno
non è una persona, o è in condizione di lavorare senza rischio vita
degli operai o va fermato.
L'intervista prosegue –
e appare sempre più come un'intervista richiesta più che
un'intervista concessa – per diventare minaccia ai magistrati di
Taranto. Infatti il giornalista incalza in una domanda obiettivamente
pilotata, quasi simile ad un'autointervista: “Per lei il Csm
condivide questa impostazione, visto che non interviene quasi mai nei
confronti di magistrati che eccedono?” - una domanda che è un
attacco ai magistrati di Taranto e anche al Csm che non interviene
contro di loro.
Mirabelli prima risponde
con una frase di rito e poi scarica la bordata “(il Csm) però può
valutare la professionalità” - con un'allusione esplicita ai
magistrati di Taranto - “a partire dall'equilibrio e in base a
questo fare le necessarie verifiche e decidere avanzamenti di
carriera”. Il messaggio è chiaro e pesante.
Ma ormai l'autostrada è
aperta. Continua Mirabelli “la professionalità delle toghe è
messa a rischio dall'attrazione delle sirene della notorietà”. Il giornalista incalza: “in Puglia stiamo vedendo una cosa del
genere?”. Mirabelli: “Non posso dirlo con certezza. Però
purtroppo una certa pressione dell'opinione pubblica anche attraverso
gli organi di informazione e una certa politica che ha arruolato con
disinvoltura titolari di inchieste poi finite nel nulla inducono
alcuni magistrati a prendere posizioni eclatanti, a sentirsi campioni
di un caso giudiziario”. Siamo ai limiti della diffamazione, se
riferita all'inchiesta del processo di Taranto.
Ma Mirabelli evidentemente
ha obiettivi anche più alti. E l'intervista prosegue:
“tornando a Taranto –
dice il giornalista – intanto ci sono tre commissari che la
bonifica la stanno facendo”. “Già è vero – risponde pronto
Mirabelli – un motivo in più perchè la Magistratura agisca con il
necessario equilibrio. Lo dico con una battuta: i magistrati non
devono mai chiudere gli occhi ma neanche guardare sempre i fatti col
microscopio”. Questa è una aperta e volgare interferenza!
Il pezzo più grosso messo
in campo dal fronte Stato-padroni nella contesa con la Procura di
Taranto è Sabino Cassese, candidato presidente della Repubblica e
considerato “oracolo istituzionale” per eccellenza. E dall'alto
di questo pulpito, rappresentato in questo caso dalle colonne de Il
Messaggero tuona sicuro e determinato: “I giudici rispettino il
decreto sull'Ilva... Spetta al Parlamento e non ai magistrati
decidere qual'è il giusto equilibrio tra i diversi diritti
costituzionali”.
Dire che spetta al
parlamento significa dire che spetta al governo, e quanto questo sia
coerente con la divisione dei poteri Cassese non lo spiega. Il
decreto che per altro come legge deve essere confermato, è stato
impugnato presso la Corte Costituzionale perchè “viola l'art. 2
della Costituzione”. “L'esercizio dell'attività di impresa –
scrive la Procura di Taranto – non può essere garantito pur in
presenza di impianti pericolosi per la vita o l'incolumità umana
senza pretendere dall'azienda l'adeguamento degli stessi alle più
avanzate tecnologie di sicurezza. Dato che – ricorda la Procura –
la Costituzione tutela sì il diritto al lavoro, ma impone quale
presupposto essenziale e inderogabile che il lavoratore operi in
condizione di massima sicurezza”.
Ma per Cassese tutto
questo non è Costituzione: “non ci si può svegliare la mattina e
inventarci il diritto che ci piace” puntualizza infastidito. E per
Cassese il governo con il decreto ha sospeso l'esecuzione del
sequestro. “I giudici sono sottoposti alla legge e questo atto è
legge e devono rispettarlo”.
L'intervistatore pure ha
dei dubbi: “Il principio vale anche per i decreti legge prima della
loro conversione definitiva?”. Cassese aggira la domanda: “I
decreti legge vengono adoperati in casi straordinari, di necessità,
urgenza. In questo caso evidentemente il governo ritiene che la
necessità e urgenza ci siano, altrimenti sarebbe stato inutile
vararlo”.
Che risposta è? Il
governo avrebbe ragione a prescindere. Ma Cassese evidentemente
interpreta così la Costituzione.
Poi anche lui fa il
“difensore degli operai”, senza accertare minimamente se il fatto
realmente esiste se la prende direttamente con i Magistrati per la
presunta incriminazione dei 19 operai dell'Altoforno: “Non è bello
prendersela con i più deboli”. E' bello evidentemente per Cassese
che i più deboli muoiano in fabbrica e continuino a lavorare a
rischio.
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