Riportiamo sotto un commento/bilancio fatto dalla Rete 28
aprile sul crollo della Fiom alle recenti elezioni all'Ilva di Taranto,
attualmente la più grande fabbrica del paese.
Prima ricordiamo la breve analisi fatta dallo Slai cobas per
il sindacato di classe di Taranto nel primo commento ai risultati delle
votazioni:
"...3) La Fiom è crollata e deve dare la colpa solo
a sé stessa perchè:
- non è stata in tutta la vicenda né carne né pesce sia a
livello locale che nazionale;
- ha contrastato negli anni i delegati più radicali fino
alla fuoriuscita o espulsione (Rizzo oggi Usb, Ranieri e Battista oggi Liberi e
pensanti, ecc.) e ora si lamenta delle “lacerazioni interne”;
- è stato il “principale alleato” dell'azienda (come ha
detto Vendola) per fare dell'Ilva una della fabbriche più arretrate a livello
nazionale dal punto di vista della lotta di classe e del contrasto fino al 2
agosto, ma agendo sempre in unità e alla coda di Fim e Uilm; a parole
differente da Uilm e Fim sulla questione magistratura, difesa aziendalista
dell'Ilva, nei fatti, nella quotidianità alla coda di questi sindacati; la Fiom
poi non ha quel potere in fabbrica che per esempio invece permette alla Uilm di
avere un ruolo verso i problemi quotidiani degli operai, mentre la Fim ha un
potere “occulto” che le intercettazioni stanno rendendo palese - sembra Archinà
il segretario reale della Cisl che detta e concorda ogni decisione importante,
perfino quella di chi è meglio che sia segretario...
- la Fiom locale ha un personale dirigente di burocrati
catapultati a Taranto - da Rappa dalla Sicilia all'odierno oscuro Stefanelli
dal regionale, personaggi sconosciuti agli operai e ben presto squalificati e
manifestamente incapaci; delegati onesti ma di scarso attivismo e scarsa presa,
che hanno trovato nella linea Fiom la giustificazione per non far nessuna
battaglia.
Né è andata meglio quando Landini si è occupato
dell'Ilva, non facendo nulla ma attaccando ferocemente gli operai che si erano
ribellati il 2 agosto, o con la CGIL provinciale, il cui segretario Gino
D'Isabella è nella intercettazioni come dialogante, e forse più, con il
faccendiere Archinà...".
La Rete 28 aprile mette sottoaccusa il ruolo nell'Ilva della Fiom
12.2013 - ILVA E VIRGOLA di Sergio Bellavita
Nell'agosto del 2012 davanti alla pesante contestazione da parte di centinaia di lavoratori dell'Ilva di taranto del comizio di Cgil Cisl Uil, mi permisi di invitare ad una riflessione profonda il sindacato e a non sottovalutare quel segnale. Quell' invito venne liquidato da Landini, dalla segreteria di Taranto e dalla maggioranza del gruppo dirigente Fiom come un regalo a teppisti da stadio e delinquenti comuni e divenne parte del processo che di li a pochi mesi opero' la mia destituzione da segretario nazionale con la rottura della maggioranza congressuale che aveva retto la Fiom dal 2002. Si e' incaricato il voto degli operai Ilva della scorsa settimana di mostrare quale fosse la reale portata di quel segnale.
Oggi gran parte del gruppo
dirigente che ha gestito negli ultimi tre anni l'acciaieria di Taranto, a
partire dal segretario Landini, ammette la sconfitta e non potrebbe essere
diversamente. Tuttavia per la fiom
il risultato delle
elezioni rsu all'Ilva di Taranto non e' solo una semplice, per quanto dura,
sconfitta in un rinnovo della rappresentanza sindacale di fabbrica. Non e' un
infortunio, un evento che può essere circoscritto a un territorio o a un
settore.
Se per l'Usb e il
sindacalismo di base il risultato dell'Ilva e' una vittoria senza precedenti
nel settore metalmeccanico privato, per la Fiom e' il primo vero pesante crollo
di consenso tra gli operai negli ultimi vent'anni e come tale ha un valore
generale. Ciò accade a tre anni di distanza dal referendum di Mirafiori, da
quel no della Fiom a Marchionne che, su Pomigliano e quella resistenza operaia,
aveva costruito la straordinaria manifestazione del 16 ottobre 2010
conquistando un consenso tra i lavoratori che andava ben al di la' dei
metalmeccanici. E' quindi in questi tre anni di storia sindacale e politica che
vanno ricercate le ragioni di una debacle di tali dimensioni.
La Fiom non e' sconfitta
in quanto incompresa e persino contrastata da un sottoproletariato, anch'esso
parte del sistema clientelare costruito dai Riva a suon di milioni di euro, che
non ha riconosciuto la radicalità e determinazione del sindacato, ipotesi
a cui qualche dirigente allude. Un'idea alquanto bizzarra che auto assolve i gruppi
dirigenti e che prevede come unica soluzione la sostituzione degli
operai... La Fiom e' sconfitta perchè vissuta dai lavoratori come parte del
palazzo, parte di un teatrino della politica ormai logoro e privo di ogni
credibilità, specie quando il teatrino e' condito dalla pubblicazione delle
intercettazioni telefoniche che palesano il consociativismo della sinistra
politica e sociale cortigiana. Si paga il prezzo dell'accettazione della Fiom
dei tanti provvedimenti dei governi a difesa degli interessi dei Riva contro i
magistrati, che, per l'acciaio e non solo, hanno derogato al diritto alla
salute dei lavoratori e della popolazione consentendo di continuare a produrre,
inquinare e uccidere.
Dialoganti con i governi e i
potentati ma durissimi nella gestione della vita interna all'organizzazione,
sino al punto da cancellare, destituire parte di delegati e iscritti
Fiom all'Ilva. In una vicenda certamente complessa, delicata e tutt'altro
che trasparente che, ho gia' avuto modo di richiedere nelle sedi formali,
andrebbe indagata con una commissione interna, allo scopo di rendere evidente,
una volta per tutte, al comitato centrale della Fiom quanto accaduto a Taranto.
Quello che sappiamo con certezza e' che c'e' stato un grande consenso dei
lavoratori ai delegati cacciati dalla Fiom e oggi raccolti sotto le
bandiere dell'Usb, un'organizzazione che nell'ultimo anno a Taranto ha
sostenuto scioperi anche a oltranza, proteste e manifestazioni per il diritto
alla salute, alla sicurezza, al lavoro, rivendicando l'esproprio ai Riva
dell'Ilva senza demonizzare la questione del reddito.
Quello che sappiamo con
certezza e' che la parte cacciata e' stata considerata per anni il riferimento
di fabbrica della Fiom,
il volto barricadero
all'Ilva che ha subito licenziamenti, provvedimenti disciplinari e mobbing da
parte dell'azienda.
Se questo e' il quadro, non
e' difficile capire le ragioni del tracollo di consensi tra gli operai e il
travaso di voti dalla Fiom all'Usb.
Quando un'organizzazione si
mostra cosi slegata dalla citta', cosi incapace di misurarsi con la
inevitabile complessita' e contradditorieta' di quel rapporto citta' fabbrica,
quando i proclami di un nuovo modello di sviluppo si infrangono sulle polveri
di un'acciaieria il risultato e' certo. Proprio per queste ragioni il voto Ilva
assume un carattere generale. In un quella che poteva essere una vertenza
esemplare su salute, ambiente, diritto al lavoro e al reddito, contrasto alle
politiche del Governo, nuovo intervento pubblico in economia, denuncia del
malaffare padronale e del suo vasto sistema di corruzione la Fiom e' mancata
clamorosamente o peggio e' apparsa complice.
La sostanza e' che siamo di
fronte al primo esplosivo segnale del mesto rientro della maggioranza del
gruppo dirigente Fiom in quella normalità "confederale" che e'
esattamente la negazione di 15 anni di battaglie dentro e fuori la Cgil.
Anche chi non e' addentro ai
tecnicismi sindacali comprende senza difficoltà che le parole e le azioni della
Fiom di Genova 2001, dei 21 giorni di Melfi, delle lotte per il contratto nazionale,
della battaglia contro il protocollo del welfare nel 2007, dell'alterita' alla
deriva Cgil consacrata in due congressi su posizioni alternative e cementata da
una pratica contrattuale coerente sono ben altra cosa di quelle che accompagnano
l'abbraccio all'accordo del 28 giugno che accoglie le deroghe e di quello
all'accordo del 31 maggio che cancella le libertà sindacali.
I nodi prima o poi vengono
al pettine. Il ripetuto utilizzo dell'orgoglio operaio del no a Pomigliano e
Mirafiori di tre anni fa non paga più per la semplice ragione che parla di un
ricordo appunto, non dell'attualità, non di una pratica che ancora tenta di
rispondere alla condizione dei lavoratori in una fase difficilissima. Il
ricordo di una radicalità e di una determinazione oggi sacrificata al
pragmatismo, alla responsabilità ed al realismo rassegnato dei gruppi
dirigenti. Con il voto Ilva e il rientro nella maggioranza Cgil al congresso si
certifica la chiusura della lunga stagione Fiom che, dal 1996 al 2011,
seppur in maniera
contraddittoria, ha segnato la storia sindacale di questo paese impedendo la
normalizzazione del quadro sindacale e la corporativizzazione del sistema
puntando su democrazia,indipendenza e conflitto.
Emendare il documento
Camusso e' apporre una qualche virgola a un testo che rivendica la bonta' della
propria linea sindacale di questi anni. Guarda caso quella che ha consentito la
distruzione del sistema di protezione sociale senza colpo ferire. Virgole
significative certo, ma pur sempre virgole. Il sindacato e' un'altra cosa.
[www.rete28aprile.it]
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