Muore per amianto il re del cemento
shock a Casale, la città della strageBuzzi aveva creato una fondazione contro il mesoteliomadi LORENZA PLEUTERI
TORINO - La polvere che uccide, quella che per decenni a Casale Monferrato è stata l'aria che tutti respiravano dentro e fuori dall'Eternit, ha piantato un'altra croce nello sterminato cimitero dei morti d'amianto. Il mesotelioma pleurico, il cancro che non lascia scampo, si è portato via un imprenditore del paese conosciuto in mezzo mondo, il re del cemento Franco Buzzi, erede dell'impero fondato a fine Ottocento dal nonno Pietro, ampliato dal padre Luigi e mandato avanti da lui e dai fratelli. Le fibre killer dell'asbesto, gli aghi invisibili piantati nei polmoni, gli hanno concesso pochi mesi di vita, come a centinaia e centinaia di compaesani, operai, casalinghe, negozianti, insegnanti e via elencando, in una macabra lista che ogni settimana si allunga e continuerà a crescere ancora. Non aveva mai voluto lasciare la sua Casale, l'epicentro della strage. Se ne è andato a 75 anni, negli occhi i volti della moglie Nicoletta e delle figlie Mia, Barbara, Veronica e Benedetta.
"Non finisce mai", dice costernato il sindacalista della Cgil Bruno Pesce, motore dell'associazione che ha unito coscienze, rabbia e lotta nella battaglia per arrivare al maxiprocesso in corso a Torino contro i due padroni dell'Eternit, 1.649 morti nella conta ferma al 2.008, oltre 600 malati senza prospettive di guarigione, 9mila decessi previsti in Italia da qui al 2020. Anche Buzzi, vicepresidente della multinazionale Buzzi-Unicem, secondo gruppo italiano del settore cemento, da tempo combatteva contro gli effetti dell'amianto sulla sua gente, mettendoci risorse e quell'umanità per cui adesso lo ricordano in tanti. Nel 2003 ha creato una fondazione per promuovere e sostenere la ricerca e la diagnosi delle malattie provocate dall'asbesto, la sperimentazione di terapie, progetti mirati.
"Franco - lo ricorda l'ex sindaco di Casale Riccardo Coppo, quello che con una ordinanza storica nel 1987 mise al bando la commercializzazione e l'impiego del materiale killer - aveva un grande senso della responsabilità, imprenditoriale e sociale. Era l'uomo del fare, uno che agiva in silenzio, schivo, restio ad apparire". Ma lui, aggiunge la nipote Consolata, non si era lasciato vincere da quella che gli esperti chiamano la "sindrome di Chernobyl", il terrore di morire che prende chi abita nei paesi ammorbati dalla polvere d'amianto, al primo dolore al petto, a un malanno di stagione, al fiatone che arriva dopo qualche gradino di scale. "Franco era lucido e razionale e lo è rimasto sino alla fine".
Nessun commento:
Posta un commento