domenica 3 marzo 2013

pc 3 marzo - CONCLUSO STUDIO E DIBATTITO SUL CAP. "IL PARTITO" DEI "PRINCIPI DEL LENINISMO" DI STALIN



2° PARTE DELLO STUDIO DEL CIRCOLO PROLETARI COMUNISTI DI TARANTO DEI “PRINCIPI DEL LENINISMO” DI STALIN.

Lo studio sui tratti caratteristici del partito del leninismo è ripartito dal paragrafo “Partito come forma suprema dell’organizzazione di classe del proletariato”, in cui Stalin spiega come il proletariato nella sua lotta contro il capitale possiede varie altre organizzazioni: sindacati, organizzazioni di donne senza partito, unioni della gioventù, organizzazioni culturali, ecc., tutte necessarie per la classe, ma perché tutte queste varie organizzazioni conducano la loro azione in una sola direzione al servizio di una sola classe e non devino verso altri interessi di classe, è necessaria la direzione del partito del proletariato.
Su questa parte del testo il dibattito nel circolo è stato ampio, toccando diversi aspetti, facendo riferimento anche all’esperienza del nostro lavoro. Riportiamo solo alcuni aspetti del dibattito.
L’esempio più evidente – è stato detto – delle organizzazioni extra partito è l’organizzazione sindacale, la prima e più di massa forma di organizzazione dei lavoratori, in cui si temprano, acquistano esperienza nella lotta contro il padronato, il governo, la repressione statale. Ma anche le altre organizzazioni sono necessarie – come scrive Stalin a “consolidare le posizioni del proletariato nelle diverse sfere di lotta… (e a temprarsi) come la forza chiamata a sostituire l’ordine borghese con l’ordine socialista”. Nel dibattito si è fatto l’esempio dell’organizzazione delle donne, del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario, che non è necessaria solo alle donne, ma è altrettanto necessaria alla classe operaia che su questo terreno è spesso più arretrata della borghesia illuminata, spesso impregnata anche delle forme più deteriori di ideologia borghese. (A volte questo valore strategico generale del mfpr viene sottovalutato dalle stesse compagne).

Alla classe operaia, quindi, servono tutte queste organizzazioni extrapartito che portino il suo punto di vista, la sua posizione alternativa a quella della borghesia e lottino contro la borghesia su tutti i fronti, temprando il proletariato come classe che deve prendere il potere, per sostituire tutto l'ordinamento attuale.
Ma questo sistema di organizzazioni per “condurre la loro azione in una sola direzione poiché servono una sola classe, la classe dei proletari” vuol dire due cose:
primo, che tutta la teoria della “indipendenza” e “neutralità” dei sindacati come delle altre organizzazioni della classe è da un lato falsa (anche i sindacati confederali sono legati a partiti e politiche borghesi) dall’altro è volutamente diffusa per impedire che esse servano alla lotta rivoluzionaria del proletariato;
secondo, che questo sistema di organizzazione deve essere diretto da un’organizzazione centrale che ha l’esperienza necessaria, ha l’autorità necessaria, cioè riconoscimento anche morale da parte delle masse per il suo lavoro, la sua abnegazione, disinteresse, che raccoglie gli elementi migliori del proletariato. Questa organizzazione è il partito.
Dice Lenin: il partito è sintesi superiore di un sistema di organizzazione.

Questo tipo di partito richiede dei “rivoluzionari di professioni”, cioè compagni e compagne che vedono la militanza, non come una sorta di impegno burocratico, lavoro part time, ma come il centro della loro vita, concentrati con la testa e col cuore. L'attività del circolo, in questo senso, deve tendere a creare le condizioni perché alcuni compagni facciano questo salto.
Nel dibattito si è detto anche che questa militanza alcune volte crea delle contraddizioni nelle relazioni personali, specie per le compagne, che si confrontano/scontrano spesso con forme di maschilismo. Ma questo – hanno detto, proprio le compagne - è un terreno di lotta, e per le compagne di doppia lotta, su cui o si va avanti o si arretra. Occorre imparare a trattare queste contraddizioni in modo che non diventino antagoniste e finiscano per ostacolare la crescita delle compagne e dei compagni; ma se diventano antagoniste, bisogna trattarle con la lotta aperta.
Altro aspetto. Ci possono essere nella vita momenti in cui qualche compagno non può dare il 100%, su questo non c'è da drammatizzare ma affrontare e dare soluzioni collettive. Diventa un problema se il modo in cui viene affrontata la questione invece che frutto di decisione collettiva è frutto della volontà del singolo compagno. In questo secondo caso è inevitabile che questi compagni diventano “elementi instabili”, fatto che porta ad un arretramento ideologico, ad uno spirito rivendicativo, in cui è il partito che deve essere al servizio e deve dipendere dall’instabilità del singolo compagno.

Si è quindi tornati sulla questione, posta da Lenin e ripresa da Stalin nei “Principi del leninismo”, su chi deve essere membro del partito: se deve essere “l'ultimo degli scioperanti” o chi esprime coscienza di classe e svolge un ruolo di avanguardia, per riprendere la critica al codismo e all’opportunismo, con esempi anche a noi vicini. Per esempio gli operai del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti, che aggregano ma non si pongono come avanguardia di classe verso gli altri operai; altro esempio sono gli operai Ilva organizzati da l’Usb, che pur se quando lottano sono avanzati rispetto alla massa degli operai Ilva, spesso sono portatori di atteggiamenti nocivi, di contrapposizione alla massa degli operai, non comprendono la realtà, non fanno un'analisi della condizione oggettiva e soggettiva, non portano parole d'ordine che possano fare avanzare e allargare la lotta. Questo tipo di operai sono ancora lontani da una coscienza di classe, per cui ci si sente parte di tutta una classe, degli operai di tutta la fabbrica, non solo del tuo reparto.
Il partito nel rivolgersi alla classe si rivolge alle sue espressioni più avanzate.
Oggi, a causa di anni e anni di guasti, anche ideologici, del sindacalismo confederale e del riformismo politico, e del dominio invadente delle idee borghesi (in cui un ruolo deleterio è rappresentato da tv, internet/facebook), tra gli operai sono presenti spesso idee confuse, sbagliate, concezioni individualiste, che ostacolano una coscienza di sé come classe e lo sviluppo di lotte avanzate, e che condizionano anche lo stile di vita.  
Questo rende difficile la costruzione del partito del proletariato, e quindi deve essere un terreno di lotta. Perché, come dice Lenin, è la massa degli operai con le loro lotte che spingono gli elementi avanzati al partito.

Un'altra parte del testo “Principi del leninismo” su cui ci si è soffermati con vari interventi è stato il paragrafo, importantissimo, sul “partito, strumento della dittatura del proletariato”. Sintetizziamo brevemente il dibattito.
Il partito comunista è uno strumento per portare il proletariato alla lotta per la conquista del potere; non è una “chiesa” fine a sé stessa, né un fatto di sola adesione politica/ideologica, ma è lo strumento indispensabile al proletariato per fare la rivoluzione e conquistare il potere.

Ma cosa è questo potere? Cosa è la dittatura del proletariato? Lo stesso termine dittatura – diceva un compagno - a volte spaventa, perché si pensa subito alle dittature borghesi/fasciste conosciute. Ma si tratta di tutt’altro!
Dice Lenin che essere d'accordo con la rivoluzione ma negare la dittatura del proletariato significa concretamente non volere il potere del proletariato, perchè la dittatura del proletariato è l'unica forma che permette al proletariato di prendere e mantenere il potere.
La dittatura del proletariato, infatti, non è solo una forma necessaria di imposizione del potere proletario contro la borghesia rovesciata, ma una forma indispensabile per salvaguardare il nuovo potere. La conquista del potere è solo il primo passo, subito dopo è necessaria una lotta per mantenerlo, perché non si tratta di un semplice cambio di potere (o di passaggio di gestione nello stesso sistema tra un partito e un altro, come avviene oggi per il governo); si tratta di un cambio di classe al potere e la classe borghese, capitalista scalzata lotta ferocemente su tutti i fronti per recuperarlo. Perciò la dittatura del proletariato è esercizio della forza dei proletari e delle masse popolari contro la borghesia che continua a sopravvive anche dopo la rivoluzione e si organizza per riprendere il potere.
In termini marxisti qualsiasi forma di Stato è una dittatura di una classe sull’altra. Anche la democrazia borghese contraddicendo gli stessi principi proclamati è in realtà una dittatura della borghesia sul proletariato e sulla maggioranza delle masse; ed essa ha un contenuto visibile di aperta coercizione, di dittatura, ogni volta che sono in discussione gli interessi della classe borghese.
Il trucco è che viene presentata questa dittatura come “democrazia”. Il marxismo serve a smascherare questa mistificazione.

La dittatura del proletariato, invece non è un esercizio del potere per sè, ma uno strumento nelle mani della classe che rappresenta la maggioranza dei proletari e delle masse, per liberare tutta l’umanità, per estinguere le classi e quindi per porre fine alla dittatura del proletariato non per perpetuarla.  

Ma la dittatura del proletariato è indispensabile anche sul fronte delle masse. Le masse proletarie e popolari non è che per solo il fatto di aver fatto la rivoluzione si sono trasformate e liberate da tutto il marcio dell'influenza della borghesia. Certo, nel corso della rivoluzione le masse si trasformano, ma resta una lotta prolungata da fare. Su questo Mao è andato avanti, anche sulla base del bilancio dell’esperienza dell’Urss, e ha sviluppato la Rivoluzione Culturale Proletaria, per portare la rivoluzione in tutti i campi, non solo nella struttura ma nella sovrastruttura.
Vanno distinte – è stato detto nel dibattito – le contraddizioni che hanno natura antagonista con le forze borghesi, dalle contraddizioni in seno al popolo che il proletariato al potere deve trattare anche trasformando le condizioni materiale e sociali che producono quella contraddizioni. Qui sono stati portati alcuni esempi: la questione della droga, la questione della violenza sessuale, ecc.
Come scrive Stalin: la forza dell'abitudine di milioni di persone è la forza più terribile da combattere e contro questa forza la dittatura del proletariato è strumento indispensabile per non rendere fragile il potere. La rivoluzione, non è una catarsi immediata e completa. Anche tra chi ha fatto la rivoluzione esiste il peso delle abitudini e restano le influenze delle altre classi (qui, alcuni compagni, hanno fatto esempi di ciò che avviene anche in lotte importanti, es. a Taranto, nelle occupazioni del Comune, in cui anche elementi avanzati sviluppavano comportamenti sbagliati).
D’altra parte lo stesso nuovo potere può essere fonte di pesanti insidie. In Cina si è parlato giustamente di borghesia rossa, e ci si riferiva a quei compagni che una volta preso il potere si sono comportati come i borghesi, esercitando il potere per sé; oggi abbiamo esempi più recenti come tutta la vicenda del Nepal insegna.

Infine il circolo si è soffermato sull’ultimo capitolo dei “principi del Leninismo”, su “Lo stile di lavoro”. Qui Stalin scrive che i tratti caratteristici di questo stile di lavoro sono due: lo slancio rivoluzionario russo e il senso pratico americano.
Si può dire – ha detto una compagna - che i due tratti dello stile di lavoro si traducono in ultima analisi nell’unire la teoria alla pratica
E’ stato poi sottolineato come questi tratti non solo sono complementari, ma sono l’uno l’antidoto dell’altro; l’uno contro un “senso pratico” che rischi di diventare “affarismo”, l’altro contro uno slancio che rischi di sostituire il ‘miracolismo’ ai fatti vivi della politica rivoluzionaria.

2.3.13




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