È assolutamente necessario tornare sullo sciopero generale del 29 novembre e collocarlo oggi con una valutazione che guarda a quello che sta realmente avvenendo nelle fabbriche e nei posti di lavoro.
Innanzitutto una valutazione generale: lo sciopero generale è stato da noi condiviso e sostenuto perché era necessario per rispondere alla manovra finanziaria del governo e per rimettere in circolazione la mobilitazione dei lavoratori in tutto il paese in forma generale.
Abbiamo più volte detto che ci vuole uno sciopero generale ma serve uno sciopero generale che penalizzi tutto l'apparato industriale e che si traduca in manifestazioni forti sia nelle piazze sia nel territorio, inteso in senso lato, comprendente blocchi e forme di lotta per rendere chiaro il grado di opposizione tra i lavoratori. Così non è stato, alcune manifestazioni sono state abbastanza partecipate, pensiamo a Bologna, a Genova e, per quanto riguarda il Sud, a Palermo, ma in generale il livello di partecipazione alla manifestazione non è stato niente di che, non solo nei numeri, ma anche nella composizione di questi cortei che hanno
visto una forte presenza di pubblico impiego, di pensionati e la chiamata raccolta di tutto l'apparato sindacale, sia quello di vertice che quello di base, dai rappresentanti sindacali alle RSU.Così i dati che vengono comunicati sono gonfiati e
riguardano quelle realtà in cui effettivamente lo sciopero ha raggiunto numeri
significativi.
Se pensiamo al sud, alle grandi fabbriche del Sud - alcune
delle quali falcidiate dalla cassa integrazione e quindi i lavoratori in
fabbriche che sono al di sotto del numero normale - facciamo un esempio su
tutti: la manifestazione di Taranto, che ha visto la partecipazione di circa 300
lavoratori e con una riuscita bassissima all'interno delle Acciaierie
all'interno di tutto l'appalto Ilva.
E’ chiaro quindi che c'è stata una non corrispondenza
obiettiva tra le dimensioni dello sciopero generale necessario e anche delle
parole espresse dai sindacalisti, in particolare da Landini, e la forma con cui
lo sciopero generale e queste parole sono state poi interpretate realmente
nelle manifestazioni.
Se dovessimo guardarlo da questo punto di vista, questo sciopero non segna tutt'ora un cambiamento né di fase né di livello di scontro tra padroni e governo, ma siamo nello stadio iniziale della ripresa e della lotta generale dei lavoratori e su questo lo sciopero può essere un segnale significativo.
La contrapposizione
manifestatasi tra il governo e i sindacati confederali è stato un fatto
positivo. Le parole di Landini sulla
necessità della rivolta sociale e le altre parole espresse nel comizio di
Bologna sono molto impegnative e sono da noi assolutamente condivise.
Sicuramente è necessario lo sviluppo di una rivolta sociale fondata
innanzitutto sulla mobilitazione dei lavoratori. E’ necessaria una forte
contrapposizione in tutto il paese tra le politiche dei padroni e del governo e
i lavoratori. Sicuramente questo cammino dello sciopero generale avviato il 29
ha bisogno di svilupparsi ed intensificarsi nelle prossime settimane e nei
prossimi mesi, ma sappiamo che le parole di Landini possono restare solo parole
perché l'insieme dell'apparato sindacale rappresentato dal sindacalismo
confederale in tutti questi anni ha dimostrato di non essere in grado di
rispondere alle esigenze di lotta vera dei lavoratori.
Da parte nostra
abbiamo fortemente insistito, prendendo anche a pretesto le parole di Landini
per chiamare i lavoratori presenti allo sciopero - ma anche coloro che non erano presenti - a intraprendere una via di lotta prolungata
che abbia per obiettivo la difesa degli interessi dei lavoratori, il
rovesciamento dell'azione dei padroni e delle politiche del governo a loro servizio.
Per questo è
necessario che si incalzino i sindacati perché alle parole che hanno detto
nei comizi corrispondono i fatti, che si incalzino i sindacati sul problema del
salario, sul problema del lavoro, sul problema della Sanità, sul problema delle
condizioni degli appalti, sul problema della sicurezza e salute sui posti di
lavoro e sul territorio.
Un altro problema che è legato a questo è sicuramente il rapporto che c'è tra la
situazione dei lavoratori e l'azione provvedimenti extra economici del governo.
II grandi temi sono la guerra e la
partecipazione italiana alla guerra, la
repressione nei confronti della lotte dei lavoratori che in questo sciopero
ha agito con l’oscena in campagna di Salvini che, prendendo a pretesto la
situazione dei trasporti, ha sviluppato una forte campagna contro il diritto di
sciopero che risulta essere il vero obiettivo di questo governo, in sintonia
con la sua ideologia e il suo programma moderno fascista, di Stato di polizia,
a servizio dell’interesse esclusivo degli interessi del Capitale.
È importante che in questo sciopero sia entrata la questione dei decreti sicurezza nella
piattaforma dello sciopero stesso, perché intorno ai decreti di sicurezza il
governo fa un passo importante e decisivo verso la repressione di tutti i
lavoratori, verso la repressione dei movimenti di lotta, del movimento degli studenti,
del movimento antifascista, del movimento in solidarietà con la Palestina, dei
movimenti territoriali che combattono la devastazione territoriale e
ambientale, dei movimenti ambientalisti e quindi è importante che il movimento
dei lavoratori nel suo insieme, con i sindacati confederali, abbiano assunto l'opposizione
ai decreti sicurezza.
Mentre non è avvenuto lo stesso per le questioni relative
alla guerra imperialista, alla corsa agli armamenti, al riarmo, alla
partecipazione italiana alle guerre. Non è avvenuto per quanto riguarda il
ruolo del governo sul fronte dei migranti, sul decreto flussi, per esempio, che
è una dei decreti volti all'espulsione di massa dei migranti, a bloccare i
porti e le navi al loro salvataggio e alla loro accoglienza, e a rendere sempre
più di tipo schiavistico e repressivo le condizioni di vita dei migranti che
arrivano nel nostro paese. Questi temi non sono entrati in questo sciopero
generale ed è importante che invece,
nella continuità della lotta, vi rientrino pienamente, sia attraverso le
piattaforme, i contenuti, sia attraverso la presenza, l'organizzazione e la
partecipazione diretta allo sciopero generale delle forze che si battono contro
la repressione e i decreti sicurezza, contro la guerra e la corsa agli
armamenti e di tutto il fronte di solidarietà nei confronti dei migranti.
Quindi noi siamo per
un nuovo sciopero generale, un vero sciopero generale da costruire nelle prossime
settimane, soprattutto nei prossimi mesi, che sia corrispondente sia alle
esigenze dei lavoratori e dei movimenti di lotta di opposizione politica e
sociale nel nostro paese, sia alle parole che vengono espresse dai sindacalisti
confederali e in primis da Landini sul carattere e i contenuti e le forme che
lo sciopero deve avere, assolutamente necessario di fronte a un governo del Capitale,
a un governo di stampo moderno fascista, da Stato di polizia, a un governo
della guerra che evidentemente non ha nessuna intenzione di fare passi indietro
rispetto alle politiche che sta portando avanti.
Uno sciopero generale di questa natura che metta sotto
accusa l'intera politica del governo e sostenuto da manifestazioni in fondo e
di lotta delle grandi masse dei lavoratori, è il brodo di cultura necessario alla
richiesta forte e chiara della caduta del governo.
A questo sciopero hanno
partecipato e aderito una parte dei sindacalismo di base e altri ancora
hanno dato vita in occasione di questo sciopero ad iniziative di lotte
particolari in alcune città e in alcune realtà. Tutto questo è innanzitutto di
segno positivo perché uno sciopero generale ha bisogno della partecipazione di
tutte le organizzazioni sindacali, sia quelle confederali non allineate in maniera
organica a governo e padroni in questo particolare momento, sia di tutto
l'arcipelago del sindacalismo che raccoglie una fetta combattiva e
d'avanguardia dei lavoratori.
Detto questo, però, la seconda questione che va posta è il cambio di passo dello sciopero
generale vero richiede un cambio di passo e di tattica - per non alzare il
polverone della discussione strategica - dell'insieme del sindacalismo di base
e di classe, noi siamo per un passo
indietro che possa portare a un passo in avanti. Il passo indietro sta nel
fatto di puntare alto, puntare effettivamente sullo sciopero generale, puntare
sul fatto di spingere e tallonare i
sindacati confederali in questa direzione perché rispetto ai problemi e
alle rivendicazioni che vengono sollevate, rispetto ai temi che si vogliono
inserire in questo sciopero, è impossibile pensare di poter realizzare un passo
in avanti dell'insieme dei lavoratori senza che si costruiscano scioperi
generali che siano fondamentalmente promossi dai sindacati confederali. Questa
è una necessità oggettiva se si vuole dare forza e contenuti alle battaglie che
il sindacalismo di base deve fare.
In effetti – e questo sciopero parzialmente lo ha dimostrato
- laddove le forze del sindacalismo di base e del movimento sono entrati in
dialettica con questo sciopero, partecipando alle grandi manifestazioni o alle
piccole manifestazioni che però coinvolgevano i settori di lavoratori non
coinvolti dal sindacalismo di base, il sindacalismo di base e i movimenti hanno
potuto influenzarlo, pensiamo al ruolo positivo che c'è stato nella dialettica
tra lo sciopero generale indetto dai confederali e le battaglie condotte dagli
spezzoni del sindacalismo di base che vi hanno aderito in situazioni come Torino,
come Padova, nel Veneto.
Non sono servite
invece obiettivamente le manifestazioni autonome promosse dal sindacalismo di
base, a una delle quali abbiamo partecipato direttamente anche noi che sono
stati marginali e oltre che poco partecipate dalla base reale di queste forze,
sono stati marginali rispetto alle dimensioni generali dello sciopero generale,
non servivano in questa occasione azioni minoritarie come concezione e
marginali rispetto alle masse generali dei lavoratori e che non riuscivano a
portare dentro le dimensioni effettive dello sciopero generale le
rivendicazioni relative alla guerra, alla solidarietà con la Palestina, alla
lotta contro la repressione. In questo senso, la peggiore delle decisioni rispetto a questo sciopero generale è stata
quella di contrapporsi ad esso sviluppata dall'USB convocando in un'altra
data lo sciopero generale che non può che essere che l'ultima forma dell'auto-sciopero
e, sicuramente, non in grado né di incidere sull'universo generale dei
lavoratori e meno che mai nel dare forza al conflitto con padroni e governo,
sia sulle tematiche del salario, del lavoro, delle condizioni di lavoro e
sicurezza, dei servizi sociali, della Sanità, del reddito, sia sul terreno
della contrapposizione alle questioni generali del governo, rappresentate dalla
guerra, dalla repressione, dalle politiche anti immigrati di stampo razzista e
imperialista.
Altro discorso è il
rapporto più generale con le fabbriche e le grandi fabbriche: questo sciopero
non ha rappresentato un sostanziale passo in avanti, se pensiamo alla
manifestazione di circa 20.000 operai della Stellantis hanno prodotto nelle
settimane precedenti, se pensiamo alle vertenze in atto e alle situazioni di altre
realtà produttive come le Acciaierie, sia a Taranto sia di tutte le fabbriche
siderurgiche del nostro paese, se pensiamo all'insieme della condizione operaia
e alle rivendicazioni di salario, di lavoro e sicurezza nelle fabbriche, si
vede bene che questo sciopero non è
stato in grado di raccoglierle.
Dobbiamo guardare a ciò che realmente succede e si produce
in questo fronte di classe in termini attenti e corrispondenti alla condizione
reale, la crisi del gruppo Stellantis interna alla crisi dell'auto a livello
mondiale, dove si intrecciano la crisi di sovrapproduzione, le guerre
commerciali e i processi di ristrutturazione, anche in funzione del cambiamento
cosiddetto “epocale” che la produzione dell'auto domanda a fronte del
cosiddetto passaggio alle auto elettriche. In questo contesto in cui
sovrapproduzione e crisi di mercato convivono, i padroni su scala mondiale
scaricano sui lavoratori e sulla classe operaia, sugli operai, il peso di
questa crisi, traducendolo in licenziamenti di massa, chiusure di stabilimenti,
che è un fenomeno che avviene su scala mondiale o, almeno, su scala dei grandi
complessi automobilistici che vi sono nei paesi imperialisti e capitalisti. Su
questo il problema è di opporre ai padroni la lotta di classe, la lotta
effettiva degli operai, la lotta effettiva negli stabilimenti, il coordinamento
della lotta tra i vari stabilimenti, la visione internazionale e
internazionalista della lotta dei lavoratori.
Avevamo già posto questo problema in occasione dei grandi scioperi dell'auto che hanno toccato
gli Stati Uniti e bisognava - e bisogna - riprendere la piattaforma generale di
quegli scioperi e trasformarle in una piattaforma generale all'interno di tutti
i paesi, ma oggi questa piattaforma generale si muove all'interno dei piani che
per la Stellantis sono di licenziamenti di massa, chiusura degli stabilimenti e
per altri settori industriali sono processi di ristrutturazione, di cambio di
proprietà, vedi la questione Acciaierie ex Ilva, che avranno un'influenza non
solo immediata ma strategica sulla struttura generale delle fabbriche e sulla
condizione generale del settore, che rimane centrale per la classe operaia nel
nostro paese e nel mondo. Torneremo, come abbiamo già fatto in diverse
occasioni, sull'analisi concreta della situazione concreta esistente, almeno
per quanto riguarda il nostro paese, in tutto il gruppo Stellantis, da Melfi a
Mirafiori e, per quanto riguarda la questione delle Acciaierie, da Taranto
all'intero universo della siderurgia.
In queste prime settimane, oltre che verificare il grado di
risposta che ci può essere nelle file dei lavoratori a questa situazione deve
servire a preparare le condizioni di Piattaforma
operaia, di linea generale, di unità
e di collegamento tra le realtà operaie e, innanzitutto tra le avanguardie
operaie esistenti in questo stabilimento che sono diversamente collocate sia
sul piano sindacale sia sul piano dell'orientamento politico. E in questo
contesto che ci dobbiamo preparare a quello che non potrà più essere un “autunno
caldo” ma sicuramente non può essere però un “inverno freddo” e che a gennaio,
febbraio, marzo, in quei mesi si giocherà una partita importante per
l'effettiva ripresa della lotta della classe operaia, per riaffermare la
centralità operaia nell'insieme del movimento dei lavoratori che interagisca in
forma decisiva nello sviluppo di un vero sciopero generale e di una effettiva
rivolta sociale.
A conclusione del ragionamento che abbiamo svolto, ribadiamo la nostra indicazione generale: serve un vero sciopero generale, serve che le fabbriche, le grandi fabbriche, abbiano un ruolo d'avanguardia in questo sciopero generale. Serve che l'insieme del sindacalismo di base, di classe faccia un cosiddetto passo indietro, cioè che lavori per incalzare l'intero movimento sindacale verso lo sciopero generale per poter fare due passi in avanti, portare e influenzare l'intero movimento dei lavoratori e in particolare le fabbriche in uno scontro di classe che raccolga le rivendicazioni di classe, il carattere di lotta intransigente contro padroni e governo e che introduca nell'insieme del movimento dei lavoratori le grandi tematiche politiche che si uniscono alla condizione economica e di vita dei lavoratori e fondamentalmente la questione della guerra e della solidarietà alla Palestina, l'opposizione ai decreti sicurezza, al moderno fascismo, allo Stato di polizia, l'opposizione alla politica razzista, imperialista, nei confronti dei migranti.
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